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«L’Heysel è di tutti, memoria è rispetto»

«La memoria ha bisogno di costante manutenzione perché è un ingranaggio fondamentale del nostro presente, ma ancora più essenziale per costruire il nostro futuro. E dimenticare l’Heysel significa togliere un pezzo di futuro al calcio». Emilio Targia, il 29 maggio del 1985, era all’Heysel; giornalista e scrittore, ha rielaborato magnificamente emozioni e pensieri in «Quella notte all’Heysel» (Sperling & Kupfer). Oggi, trentacinque anni dopo, spospira: «Questa storia degli anniversari a cifra tonda non la condivido granché, è vero che sono l’occasione per speciali e approfondimenti, ma andrebbe pilotata su un’asse più costante Voglio dire: meno fiammate più fuoco costante, un po’ più dettagliato e costruttivo. Anche perché ricordare l’Heysel signifca evitarne degli altri, significa riflettere costantemente sull’assurdità di perdere la vita per una partita di calcio o, meglio, per un evento. Perché l’Heysel è il frutto della violenza del tifo inglese di quel periodo, è vero, ma anche e soprattutto della clamorosa disorganizzazione delle autorità belga che avevano tragicamente sottostimato la pericolosità di quella partita. Con pochi poliziotti, e oltretutto i meno esperti, e la folle idea di separare gli hooligan dai tifosi normali con una rete da pollaio, la tragedia poteva accadere anche in un concerto o in una qualsiasi manifestazione pubblica. L’Heysel non è una tragedia calcistica, è una tragedia civile. Ecco perché parlo sempre della morte di trentanove cittadini, non tifosi. Ed è per questo che è demenziale, oltre che aberrante, che ci siano ancora cretini che sbeffeggiano quei morti per insultare la Juventus o i suoi tifosi, come fanno a non capire che quello è un insulto rivolto a tutte le persone, perlomeno quelle con un briciolo di intelligenza e umanità». E tutto, come al solito, affonda le radici nell’ignoranza, intesa nell’accezione più pura: «Perché forse chi manca di rispetto alle vittime dell’Heysel non sa che fra di loro non c’erano solo tifosi della Juventus, ma che anzi ce n’erano addirittura tre dell’Inter, c’era un belga a capo di un club di supporter del Bruges, c’era un nordirlandese, persone che si ritrovano infilati nei beceri cori antijuventini, perché ormai nella memoria collettiva quella è la “tragedia della Juventus” e forse non si riuscirà a cambiare granché nella testa di certi pseudotifosi. […]


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


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