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    Giannini: “Roma sogna e Pellegrini merita il rinnovo”

    Giannini, davvero non si aspettava quell’accoglienza? 

    «Il calore, la passione e l’amore che arrivano da quella Curva ti fanno sentire unico. Ho ancora i brividi. Mi sono tornate alla mente tante immagini del mio passato». 

    Ce ne dica una. 

    «Quando mostrai le tre dita dopo un derby vinto 3-0, mentre i compagni mi alzavano come una bandiera. E tutte le corse dopo i gol». 

    Ha ritrovato un pubblico che sogna. 

    «È più bello quando ti aspetti delle incertezze e vedi la squadra così in palla». 

    È l’effetto Gasp? 

    «Si vede una squadra aggressiva a tutto campo, che dialoga bene con il pallone, che velocizza il fraseggio. Diciamo che vedere la Roma non mi annoia. In passato spesso restavo attaccato al televisore solo per amore». 

    Lo scudetto è possibile? 

    «Guardate che l’affetto porta entusiasmo e l’entusiasmo ti fa volare eh…». 

    È un sì? 

    «La Roma deve crederci perché questo campionato sembra non avere padroni. Poi se il mercato…». 

    … porta un centravanti? 

    «Certo. Uno che possa dare una mano a chi non sta brillando. Allora sì che ci divertiamo». 

    Molti rivedono in lei il percorso di Pellegrini. 

    «Anche io ho convissuto con i giudizi. Lorenzo ha dimostrato di essere fondamentale per questa Roma. Ha deciso il derby, non ha mai perso la testa, ha mostrato una classe e un temperamento da campione e ha sempre protetto i compagni. Si è comportato da capitano». 

    La fascia però l’ha persa. 

    «Avrà sofferto. Però mai una parola fuori posto». 

    Ha il contratto in scadenza. A lei è mai capitato? 

    «Che io ricordi no. Giocare con un punto interrogativo sul futuro è tosta. Oltre a essere romanista, giocherebbe titolare nel Napoli, nella Juve, nel Milan. Perché perderlo? Sarebbe un peccato grave. Meriterebbe il rinnovo».  

    In Nazionale manca uno come Giannini? 

    «Alla Nazionale manca carisma e non è certo colpa di Gattuso. Ai miei tempi ci temevano, oggi negli avversari non la vedo questa paura di affrontare l’Italia».  

    Dicono ci sia la crisi del talento.  

    «E invece ci i talenti ci sono eccome. Serve più coraggio nel mandarli in campo».

    È per questo che, da dirigente dell’Albalonga, continua a dedicare la sua vita ai giovani?

    «Cardarelli mi fece esordire in Serie C a 15 anni e mezzo. Nella Roma Liedholm mi portò in ritiro a 16 anni con Pruzzo e Bruno Conti. Non ho mai smesso di credere che i giovani sono sempre la soluzione e mai il problema». LEGGI TUTTO

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    Sentita spesso. «La vita è piena di sorprese. A me ne ha riservate tante. Da piccolo andavo a dormire con un pallone tra le braccia, stringevo il pallone al posto del peluche. Sognavo di diventare calciatore e ci sono riuscito. Il castello, la Rossanese…». 

    E l’Emilia. «Mio fratello studiava all’Università di Modena, decisi di raggiungerlo. Conoscevamo uno della Finanza, un calabrese, che mi fece fare un provino alla Spal». 

    Bocciato. «Macché. Mi presero, ma non ce la facevo a stare su, non mi piaceva, troppo presto. Così dopo una settimana tornai in Calabria. Il Sassuolo è arrivato nel 2010 e adesso sono quindici anni in Emilia e altrettanti in Calabria». 

    Confesso di essere rimasto sorpreso dalla tua disinvoltura, il grande pubblico ti conosce poco da questo punto di vista, perché ti sei sempre un po’ nascosto. «Non ho mai amato i riflettori, mi piace far parlare il campo. Non ho agevolato le interviste». 

    E hai fatto male, credo. «Ho fatto quello che mi sentivo. Oggi sono maturato sotto tutti i punti di vista». 

    Ultimamente ho rivisto in campo il vero Berardi. «Non è stato facile. Rottura del tendine d’Achille dopo che ero appena rientrato da un intervento al menisco. Avevo rivisto la luce e sono riprecipitato nel buio totale. Le ho pensate tutte, per la prima volta ho temuto che fosse finita. Il professor Zaffagnini, a Bologna, mi ha aggiustato e dopo due mesi ho ricominciato a lottare. La famiglia mi ha aiutato parecchio. Sono rimasto fuori otto mesi. L’ultimo anno in B mi è servito, anche se – sono sincero – non ho fatto bene. Non ero al cento per cento. È stato utile per ritrovare il campo, la partita, la condizione». 

    Cosa ti è rimasto della Calabria? «Il sangue. L’istinto lo governo ormai, prima reagivo al fallo dei difensori, adesso o rido o la prendo male. Un miglioramento c’è stato, ed è sensibile». 

    Ne hai prese e ne prendi ancora tante, di botte, essendo uno dei pochi dribblatori del campionato. «Non ci casco più. So come affrontare i provocatori. Non è stato semplice adattarsi, ma ci sono riuscito». 

    I trattamenti più severi chi te li ha riservati? «La Roma di Mourinho, undici assatanati, in campo alimentavano il caos. Devo dire che un altro bel soggetto era Chiellini. Ti menava e poi ti ringraziava. Una marcatura esperta e fisica. Quand’eri a terra semidistrutto da lui, Giorgio era il primo a consolarti. Un martello, ma educato». Ride davvero di gusto. 

    Il Var rappresenta una tutela maggiore per gli attaccanti. «C’è più attenzione da parte di chi difende. La gomitata, il pugnetto tirato a tradimento vengono molto spesso individuati». 

    Ci sono allenatori che hanno segnato la tua carriera. Non è una domanda, è un’affermazione. «A Di Francesco devo tanto, ha avuto il coraggio di buttarmi nella mischia a diciassette anni. Grosso in questo calcio ci sta benissimo, è uno che si confronta, che ci ascolta. Ma mi sento tanto legato a De Zerbi. Con lui giocavamo col joystick. Maniacale, totalmente assorbito dal lavoro, poteva stare sul campo diciotto ore. Possesso stretto, a campo aperto, la tecnica con le sagome. Se sbagliavi un passaggio semplice e spedivi il pallone sul piede sbagliato del compagno, interrompeva l’allenamento. Insisteva fino a quando il pallone non arrivava al piede giusto. (Si ferma). Per noi si sarebbe buttato nel fuoco». 

    Non ho ancora toccato il tasto della Nazionale. «Riconquistarla da Sassuolo sarebbe magnifico». 

    Quattro anni fa c’eri anche tu in Inghilterra. «Mancini riuscì a unire il gruppo ed era piacevole stare insieme. Finita la partita tornavamo a Coverciano, alle quattro di notte la spaghettata aglio, olio e peperoncino. Il pensiero della vittoria non ci aveva sfiorato. Ci provammo e andò bene. Con un po’ di fortuna». 

    Confermo: ti compro. Almeno io.  LEGGI TUTTO

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