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    Pagelle Toro: Casadei frenato, Anjorin illumina, Gineitis non sorprende più

    Pagelle Torino

    Paleari 6.5 Il Toro ha un vice-Israel pronto, affidabile e che dà ampie garanzie di rendimento: confeziona almeno tre interventi pregevoli.

    Pedersen 5.5 Finisce nel mirino di Baroni nel primo tempo: il tecnico cerca di telecomandarlo, ma il norvegese va spesso in sofferenza.

    Dembélé (15′ st) 6 Approccio positivo.

    Maripan 5.5 Sul piano fisico è in apnea: stesso film dell’anno scorso.

    Ismajli 5.5 Biereth è un cliente davvero scomodo e lui non è sempre sul pezzo.

    Biraghi (15′ st) 6 Rimette ordine al pacchetto arretrato.

    Masina 5.5 Il terzino sinistro della difesa a quattro non lo può fare. Lo sa anche Baroni, ma ci ha provato lo stesso. L’alter ego di Biraghi serve eccome: va preso sul mercato.

    Coco (1′ st) 6 Buon piglio e fisicamente dà risposte convincenti: le sirene di mercato ormai sono spente.

    Anjorin 7 Illumina lui l’azione del vantaggio: dimostra di saper leggere bene il gioco e si muove sempre a testa alta. Migliorerà il passo, ma l’attitudine è quella giusta.

    Ilic (1′ st) 5 Grave l’errore in occasione del tris di Golovin. Si fa soffocare dal pressing del Monaco: brusco passo indietro rispetto alla prova contro la Cremonese.

    Casadei 5.5 Sfortunato sulla deviazione del tiro di Camara, ma non è questo il problema. Verticalizza troppo poco e in generale sembra un po’ frenato, probabilmente dai carichi di lavoro. Da lui è lecito aspettarsi di più.

    Tameze (1′ st) 5.5 Il fallo che porta al giallo è il ritratto del suo stato attuale.

    Lazaro 6 Baroni gli chiede molti compiti: alcuni li svolge bene, soprattutto quando c’è da spingere, ma quando il Monaco riparte arranca.

    Balcot (1′ st) 6 Piace all’allenatore e sa che ogni minuto in campo può valere la conferma.

    Vlasic 5.5 Si fa vedere, cerca il pallone spesso, ma il Monaco lo raddoppia costantemente.

    Cacciamani (15′ st) 5.5 Sbaglia lui, prima di Ilic, in occasione del 3-1: peccati di gioventù accettabili. Per il resto non sfigura.

    Gineitis 7 Il gol è nelle sue corde, non c’è più da sorprendersi. Piuttosto Baroni dovrà fargli spazio: il lituano è ormai un titolare.

    Aboukhlal (15′ st) 6.5 Entra e calcia almeno tre volte verso la porta. Sì, agisce un po’ da solista, ma la qualità si vede lontano un chilometro. Adams 5.5 Non è il pomeriggio giusto per spiccare il volo.

    Sanabria (15′ st) 5.5 Vita dura pure per il paraguaiano, mai pericoloso.

    All. Baroni 6 Per ora del suo Toro si intuiscono solo le richieste. Vuole che la squadra giochi a un tocco e che verticalizzi con più scioltezza: ci vorrà del tempo per amalgamare tutto.

    Pagelle Monaco

    Majecki 6 Gestisce poche insidie.

    Vanderson 5.5 Il Toro attacca troppo facilmente dalla sua parte.

    Kehrer 6 Primo manovratore dell’azione.

    Dier 5.5 Troppo statico sul gol di Gineitis.

    Caio Henrique 6.5 Si propone molto spesso: Pedersen non ha vita facile.

    Akliouche 7 Lo voleva il Milan: comprensibile.

    Zakaria 6 Tanta applicazione, ma pochi spunti vincenti.

    Camara 6.5 Calcia da casa sua: fortunato a trovare il 2-1 così.

    Golovin 7 Il piede sopraffino gli è rimasto.

    Biereth 7 Bravissimo a farsi trovare pronto davanti a Paleari al secondo tentativo.

    Brunner 6.5 Spigliato e intraprendente.

    All. Hutter 6.5 Il Monaco è già in versione campionato.  LEGGI TUTTO

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    Cura dimagrante Genoa. Scendono costi ed età

    Con gli arrivi di Ostigard, ieri in campo per il primo allenamento e di Colombo, la rosa agli ordini di Vieira si è allargata ancora. Eppure rispetto al passato in casa Genoa si respira un’aria tutta nuova. Perché al di là dei giocatori che si sono allenati in questi giorni, LEGGI TUTTO

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    Chiellini: “Comolli, descrizione un po’ distorta. Il mercato Juve? Neanche Moggi negli anni ’90…”

    Calcio italiano, Champions ed evoluzione

    Il calcio italiano manca di managerialità? «Sì, ma occhio che manca anche all’estero. Siamo sempre molto severi nel giudicare a casa nostra, ma non è che all’estero stiano molto meglio, sfruttano buone scelte fatte in passato o club che vanno oltre qualsiasi momento di crisi. Penso alla Spagna o all’Inghilterra. I problemi ci sono anche lì e sono palesi. Tutte le dinamiche del Barcellona non sono indice di grande managerialità, ma il Barcellona è un club mondiale, che ha un seguito globale e, anche se ora sta sistemando le cose, errori in passato ne ha commessi, altrimenti non si ritroverebbe in quella situazione. Anche la Premier, che ha una potenza enorme per i diritti tv, sta comunque affrontando problemi economici, forse legati a qualche errore di managerialità. Quindi non per forza siamo messi peggio degl i altri da qual punto di vista. È chiaro che il nostro valore internazionale sta andando sempre più giù e il rischio è di non essere più competitivi a livello internazionale e questo provochi un livellamento verso il basso di tutto il calcio italiano. Poi se ti dicessi che ho un piano sarei presuntuoso e bugiardo, ma stiamo cercando di combattere questo».  Del Mondiale per club ne parleremo tra vent’anni, nello speciale per i cento anni di Tuttosport, oppure sarà un episodio curioso nella storia del calcio? «Per me è la prima di una lunga serie di edizioni. Sicuramente, un torneo che in Italia si è apprezzato un po’ meno per il fuso orario non è stato vissuto così intensamente. Io ero negli Usa e mi sono visto tante partite belle, che non avevo mai visto e la possibilità di confrontarsi con il calcio sudamericano e con le loro tifoserie mi ha emozionato. Ne ho parlato con Wenger e Infantino, l’idea di vedere un torneo del genere, chessò, a Londra e sobborghi, nei mesi di giugno e luglio, con temperature più fresche e distanze ridotte, credo sia un sogno per qualsiasi tifoso che può vedere calcio dal mattino alla sera. È un torneo bello per chi ama il calcio, poi gli Usa avevano logistiche difficili, quindi è da capire bene dove rifarlo. La finale è stato uno spettacolo a 360 gradi bellissimo, ero in presenza e me lo ricorderò tra tanti anni».  Da tifoso guardava la Coppa dei Campioni, da giocatore ha partecipato alla Champions, poi ha assistito a un’ulteriore evoluzione della Champions. Prossimo step? «Io sono partito alla Coppa dei Campioni in cui ci andava uno solo, il campione, appunto, con l’eliminazione diretta. E poi ho visto l’evolversi a due, tre, quattro… Io non sono un nostalgico e mi piace molto questo nuovo torneo, anche se mi rendo conto che vada aggiustato perché i calendari si stanno affollando e complicando, ma trovo che sia un torneo bello, che ha dato adrenalina e quell’ultima giornata del girone è piaciuta a tutti e ha appassionato tutti. Poi, cambieranno ancora le cose, ma è normale che sia così, è naturale».  Parliamo della sua, di evoluzione. Non tutti hanno capito cosa fa, molti si aspettano che lei comandi sulla Juve in modo assoluto. Spieghiamo la cosa un po’ meglio? «Io sono entrato in società l’anno scorso e ho seguito la parte istituzionale e ho scoperto un nuovo mondo che va oltre il campo, come Lega, Federazione e istituzioni internazionali come Eca e Uefa, scenari che credo sia giusto conoscere per avere una preparazione più completa. Poi ci sono dinamiche interne, tante persone che conosco da anni, ma un conto è conoscerle e un conto è lavorare con loro tutti i giorni. Quella l’ho iniziato a fare l’anno scorso e continuerò a fare quest’anno, entrando in una parte della Juventus poco conosciuta, ma è che è il motore di quell’altra Juventus. Prima bisogna conoscere come funziona una macchina, poi si possono avere opinioni e dare idee, altrimenti sarebbe presuntuoso e controproducente. Poi c’è il campo e sono sempre stato a supporto delle persone che c’erano l’anno scorso e lo sono quest’anno. È un processo che non mi piace affrettare o saltare, ma resto sempre a disposizione di tutti. Come ha specificato Damien, non partecipo alle scelte di mercato, ma non c’è una persona sola al comando della Juventus, siamo un gruppo che lavora e collabora insieme per cercare di ottenere il massimo. Neanche ai tempi di Andrea Agnelli c’era un uomo solo al comando, perché anche lui delegava molto alle persone sotto di lui. Sarà sempre così».  Una scelta di mercato da quante persone viene condivisa in una società come la Juventus? «Dipende dall’importanza della scelta. Anche la proprietà viene coinvolta nelle più importanti. Il mercato da solo non lo fa nessuno, neanche Moggi negli Anni 90, se parli con Giraudo… Poi logico il direttore sportivo si prende la responsabilità della scelta tecnica, come l’allenatore della formazione che manda in campo. Ma alla Juventus non c’è mai stato il presidente che faceva le scelte da solo».  LEGGI TUTTO