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    Pagelle Inter-Bayern Monaco: spavento Thuram, show Lautaro, Kim horror

    Bravo a evitare l’autogol di Kane: nulla può sui gol. 

    Laimer – 6.5

    Soffre quando l’Inter affonda dal suo lato, però quando si alza è lui a mandare in apnea i nerazzurri. Ottima chiusura su Thuram in avvio di ripresa.

    Coman (39′ st) ng 

    Dier – 6.5

    Sul lato difensivo è rivedibile, anche se salva un gol fatto su Darmian. Grazie al vento, la sua torre diventa il 2-2 che riaccende la partita. 

    Kim – 4.5

    Soffre la profondità di Lautaro e Thuram, infatti è costretto a usare più volte le cattive. I buchi dietro sono soprattutto suoi, si fa sovrastare da Pavard sul 2-1.

    Guerreiro (20’ st) 6 Spinge a sinistra. 

    Stanisic – 5

    Darmian non ha la cilindrata di Dumfries, ma lo sfianca comunque. Finisce da centrale e, soprattutto, con una vergognosa spinta a un raccattapalle. 

    Goretzka – 6

    Si abbassa spesso sulla linea dei centrali, poi si inserisce. Suo il tocco che libera Kane sullo 0-1.

    Pavlovic (39′ st) ng 

    Kimmich – 5.5

    Pressato da Calhanoglu, quando ha libertà, fa girare la palla. Non riesce a contrastare Lautaro sull’1-1. 

    Olise – 7

    Parte forte, poi Bastoni gli prende le misure. Rimane però una spina nel fianco fino alla fine. 

    Muller – 6

    Titolare a furor di popolo, parte forte, poi si affloscia. Ha due chance, non calcia con precisione. 

    Sané – 5

    Come all’andata è il meno ispirato davanti.

    Gnabry (20’ st) – 6.5 Suo il cross per Dier. 

    Kane – 6

    Nel primo tempo arginato da Acerbi, a inizio ripresa su di lui c’è Dimarco e non si fa sfuggire l’occasione: destro e gol. 

    ALL. Kompany – 6

    Rispetto all’andata fa tutto per bene, ma in semifinale va l’Inter. 

    ARBITRO Vincic – 6

    Metro largo, ammonisce Kim e Dier perché non può esimersi dal farlo. Il contatto Goretzka-Thuram è involontario e leggero, può starci sorvolare. LEGGI TUTTO

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    Caprile: “Prima la salvezza, poi il futuro”

      

    Caprile, i primi calci a pallone nella tua città natale, Verona. Subito tra i pali? 

    «Sì, sono nato portiere. Era il 2006 e negli occhi avevo le immagini del Mondiale vinto dall’Italia in Germania. Ammiravo Buffon, il più grande di tutti i tempi. Sono diventato portiere nel tentativo di emularlo». 

    Hai avuto modo di incontrarlo in campo. 

    «Sì, lui era tornato a Parma e ci affrontammo in un Bari-Parma finito 4-0. Ricordo che gli avevo chiesto la maglia tramite un amico. A fine gara temevo che non avrebbe onorato la promessa a causa della delusione. Mi piazzai davanti allo spogliatoio attesi per 45 minuti che uscisse». 

    Che accadde?  

    «Aveva in mano la maglia per me, fu molto gentile, parlammo a lungo. Dimostrò di essere non solo un grande portiere ma anche una persona speciale». 

    Dopo il campetto dietro casa il Chievo, il Leeds, la Pro Patria e il Bari. Poi? 

    «Finii all’Empoli, dove ho conosciuto Nicola. Una bella esperienza chiusa con la salvezza». 

    Quindi al Napoli, che deteneva il cartellino. 

    «Mio padre è napoletano, sono molto legato alla città. Volevo mettermi in gioco. Le cose, però, non sono andate come avrei voluto». 

    A gennaio si è fatto avanti il Cagliari. Con quale stato d’animo hai accolto la proposta? 

    «Con entusiasmo. Ho deciso di accettare la sfida e ne ho parlato subito con Conte. Volevo essere protagonista, il ruolo di secondo non fa per me». 

    Sei arrivato a Cagliari con un carico di responsabilità notevole, con il destino di salvatore della patria. 

    «Niente affatto, ricopro un ruolo da solitario in un collettivo. Il portiere determina, nel bene e nel male, perché è l’ultimo baluardo, ma fa parte di una squadra. Il Cagliari si salverà per merito di tutti, squadra, staff, dirigenti e tifosi, non per un singolo. Da solo, sono nessuno». 

    Però, il ruolo del portiere prevede una certa personalità. 

    «E’ vero, si sta a lungo soli, in porta. Ma mi piace essere protagonista, avere la possibilità di incidere. Certo, se fai un errore quasi sempre è fatale. Ma fa parte del gioco e mi sta bene così». 

    A in rossoblù inserimento immediato e esordio da protagonista, Milan-Cagliari 1-1 con parate decisive.  

    «Sono stato accolto benissimo, tra l’altro conoscevo già il mister, il preparatore Squizzi che avevo avuto al Chievo, Luperto e Marin con i quali avevo giocato a Empoli, e Gaetano, mio compagno al Napoli. Insomma, è venuto tutto facile».  

    Ora, però, inizia il difficile, sei partite nelle quali si decide la salvezza. 

    «Ho fiducia, siamo in una buona situazione e consapevoli che saranno sei gare difficili. Possiamo conquistare punti contro chiunque. Bisogna crederci». 

    Contro la Fiorentina il tuo rivale in porta sarà De Gea, 545 partite con il Manchester United, 45 con la Spagna, così per dire. 

      «Un mito, uno dei grandi di tutti i tempi. Spero di avere la sua maglia».  

    E nella Nazionale ci credi? 

    «Come non potrei? E’ il sogno di qualsiasi calciatore. Direi che la concorrenza è notevole, nel giro azzurro ci sono super portieri ma il modo per arrivarci è fare bene con il Cagliari, Quindi penso al presente». 

    E al tuo futuro in rossoblù o altrove non pensi? 

    «Al momento no. Intanto, conquistiamo la salvezza, poi le società si parleranno». 

    Che persona è Caprile fuori dal campo? 

    «Normale. Guardo il basket, l’Nba in particolare, esco con la mia fidanzata Emily, portiamo a spasso il nostro cane, un samoiedo di nome Wendy, entriamo in un bar a prendere il caffè. Se è bello, passeggiate in spiaggia. Ma vedo che la primavera si sta facendo desiderare». 

    Matrimonio in vista? 

    «Può attendere, prima vorrei un figlio». 

    Ma Emily è d’accordo? 

    «Sì, la pensa come me. Avere un figlio è la più bella cosa che possa capitare». 

    Sul braccio hai tatuate alcune date. 

    «Nel braccio sinistro ho l’anno di nascita di mio nonno Alberto, mentre sul polso destro quelle dei miei genitori, Luigi e Elisabetta, e di mio fratello Jacopo». 

    Lunedì in campo. Ansioso? 

    «Voglioso di giocare. Mi piace il riscaldamento, il momento in cui posso “sentire” lo stadio, i suoi rumori, il pubblico. Al fischio di inizio, ho orecchie e occhi solo per la partita».  LEGGI TUTTO

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    Juve e Milan, la spesa non dà resa: ecco le rose più costose della Serie A

    I costi alti

    L’attuale rosa bianconera è stata pagata la bellezza di 504,6 milioni. Questi soldi non li ha tutti spesi Giuntoli, ovviamente, anche se i vari Koopmeiners, Nico Gonzalez, Douglas Luiz (solo per loro ne sono partiti 150), Di Gregorio, Thuram e tutti gli altri arrivati in estate spostano, e non di poco, la bilancia. Per far decollare il nuovo progetto sono usciti dalle casse 260 milioni, inclusi i riscatti già certi e i pagamenti spalmati su più annualità. Negli oltre 500 milioni spesi ci sono anche i 70 per convincere la Fiorentina, nel gennaio del 2022, a cedere Vlahovic, così come i 35 dati al Sassuolo per Locatelli, giusto per fare due esempi. Questo Milan è costato invece 354,4 milioni, quasi 150 in meno della Juve. Ben 120 sono stati investiti nelle ultime due sessioni di mercato dall’attuale dirigenza, che ha portato a Milanello i vari Gimenez, Fofana, Pavlovic, Emerson Royal, Morata e non solo. Il risultato? Deludente, visto il nono posto in classifica e il timore, piuttosto diffuso nell’ambiente rossonero, che senza la vittoria della Coppa Italia sarà durissima agguantare un posto per l’Europa passando dal campionato. Nel differenziale tra posizione nella classifica di A e posizione nella graduatoria delle spese pluriennali, Juve e Milan sono agli ultimi posti, rispettivamente 17ª e 20ª. La Signora è infatti quella che ha messo più moneta sul mercato per allestire il roster attuale; attualmente però è quarta e, se il campionato finisse così, avrebbe perso simbolicamente tre posti. Il Diavolo, 9°, ha il secondo gruppo più costoso: le posizioni lasciate per strada, in questo caso, sarebbero 7. Con il segno meno ci sono anche Venezia, Como e Roma (tutte a -1) – la rosa giallorossa è la sesta più onerosa, i Friedkin l’hanno costruita con 200 milioni – oltre che Monza e Parma, con 5 posizioni perse a testa.

    Su e giù

    I dati transfermarkt premiano invece, in questo ordine, Verona (+5 posizioni guadagnate, solo 21 milioni spesi), Inter (+3), Genoa, Udinese, Lazio, Bologna, Atalanta (+2), Empoli, Lecce, Cagliari, Fiorentina e Napoli (+1). Solo il Torino è 13° per spesa e 13° in classifica, galleggia dunque nella posizione che pare più consona. A completare il podio di quelli che hanno investito il numero maggiore di risorse nel corso degli anni c’è De Laurentiis (3° per spese, 2° sul campo) e, dietro il suo Napoli, ecco l’Inter a 291 milioni, che nel tempo ha saputo rinforzarsi senza spese folli per i cartellini; poi troviamo Atalanta e Roma poco sopra l’asticella dei 200 e il quartetto Bologna, Lazio, Fiorentina e Torino che sono tutte oltre i 100. Curioso il caso del Parma, prossima avversaria di Tudor a Pasquetta: la rosa degli emiliani, neopromossi, non è costata mica poco. Parliamo, dati alla mano, di 98,2 milioni; una cifra che dovrebbe evitare al patron Krause, sulla carta, di navigare nelle cattive acque della zona retrocessione. È l’ennesima dimostrazione che nel calcio non contano solo gli acquisti top. Le idee, gli allenatori bravi, la crescita dei singoli, le occasioni a buon mercato e la programmazione a medio-lungo termine possono ancora fare la differenza. LEGGI TUTTO

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