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    Giorgio Porrà racconta la storia di Andrea Fortunato su Sky: «Corri ragazzo corri»

    Fortunato era un predestinato

    Andrea Fortunato aveva ambizione e talento sconfinati, qualità tecniche e tattiche che lo rendevano un prototipo del difensore moderno, grazie a quella sua naturale inclinazione a lanciarsi anche in fase offensiva. 

    Giuseppe Marotta (conobbe Fortunato al Como e lo cedette al Genoa):“Lo considero un predestinato”.

    “È arrivato al Como giovanissimo e ha avuto la fortuna di entrare in uno dei migliori settori giovanili d’Italia di quel momento. Mi colpì di lui, pur essendo giovanissimo, che fosse una persona di grande intelligenza e cultura. Era moderno per quei tempi, in una fase in cui il terzino aveva più compiti di copertura, oggi forse sarebbe stato ancora di più il suo calcio”.

    La sua carriera è stata breve ma sgargiante e ha lasciato a tutti quelli che lo hanno conosciuto, compagni di squadra e allenatori, il rammarico di non averlo visto esprimersi in tutto il suo potenziale. Partito dalle giovanili del Como, con cui debutta a 18 anni in Serie B, approda in Serie A con la maglia del Genoa, per essere poi notato e richiesto da Giovanni Trapattoni alla Juventus, dove arriva nell’estate del 1993, destinato per tutti a diventare l’erede di Antonio Cabrini. 

    Billy Costacurta: “Ciò che mi lascia la morte di Andrea è la fragilità di ognuno di noi”

    Andrea Fortunato era forte fisicamente e caratterialmente, aveva energia da vendere, in campo e fuori, coraggio e determinazione. Eppure, la malattia se l’è portato via in pochissimo tempo. Nonostante questo, il ricordo che ha lasciato in chi lo ha conosciuto e amato, è più vivo che mai. “La sua esperienza mi ha cambiato la vita, il mio modo di pensare – dice Fabrizio Ravanelli suo compagno di squadra e amico fraterno – oggi sono molto più attaccato ai sentimenti, ai valori umani, all’educazione, al rispetto, sono molto più attaccato alla famiglia, perché immagino il vuoto che ha lasciato Andrea nella sua famiglia”.

    Quando il Trap disse: “Abbiamo risolto il problema a sinistra”

    “C’era proprio bisogno di lui sulla fascia sinistra – ricorda un altro compagno di squadra alla Juventus, Giancarlo Marocchi – aveva esuberanza, era proprio spavaldo, ma aveva anche buona tecnica, quella fascia sinistra, sin dal primo giorno la macinò tutta”. “Mi colpì tremendamente la sua passione, la sua energia, la sua vivacità – racconta Billy Costacurta, in campo con lui nella sua unica partita con la maglia dell’Italia, il 22 settembre 1993, contro l’Estonia – soprattutto la sua tecnica, il dribbling, l’uscita palla al piede, all’epoca era un pochino strano… emanava una intensità incredibile, strana, aveva questa grande capacità di emozionare”. 

    La promessa, mancata, di Usa ’94 

    Di lui Arrigo Sacchi, C.t. di quella Nazionale, disse che Andrea era un terzino moderno, velocissimo, perfettamente a fuoco nel suo sistema, ma anche un ragazzo sensibile e pieno di vita. Il prototipo dello sportivo ideale. “La duttilità di Fortunato – spiega il giornalista Maurizio Crosetti, che ad Andrea fece l’ultima intervista – era sicuramente funzionale ad un gioco moderno, ad un gioco di ruoli interscambiabili, ad una agilità di pensiero, non solo di corsa, che Fortunato aveva, era un giocatore moderno, e lo si dice spesso di giocatori capaci di anticipare un’epoca. Vista la stima di Sacchi, vista la sua duttilità, vista la squadra in cui giocava, sì, credo proprio che sarebbe stato anche uno dei grandi del calcio azzurro”.

    Un tragico destino

    La malattia, però, era già in agguato. Dopo una partenza di stagione straordinaria arrivò una spossatezza inspiegabile, della quale solo a maggio del 1994 si scoprì la causa scatenante, la peggior diagnosi possibile: la leucemia. “Una sera a cena – ricorda ancora Ravanelli – in un ristorante di Torino, Andrea si sentì male e iniziò a sanguinare dal naso, il giorno dopo dovevamo partire per una tournee è arrivata la società a che ci disse che Andrea era stato ricoverato per una forte anemia. Ci misero veramente in allarme e lì scatto un momento veramente difficile per tutti, un silenzio glaciale…”. Per quasi un anno, Andrea si sottopose alle cure a Perugia, ospite con la sua famiglia a casa di Ravanelli, e sembrò per un po’ che le sue condizioni stessero migliorando, tanto da fargli accarezzare la speranza in un ritorno in campo. Ma il destino non aveva finito con lui e il 25 aprile del 1995 arrivò la notizia che nessuno avrebbe voluto ricevere: Andrea se n’era andato per sempre, troppo indebolito dalle cure per riuscire a combattere anche una banale influenza. Del giorno del suo funerale, a Salerno, ancora riecheggiano nelle orecchie di amici, familiari e compagni di squadra, le parole, recuperate dagli archivi di Telecolore Salerno, di Gianluca Vialli, al quale Andrea era unito da un legame di amicizia profondissimo, frasi che oggi sembrano quasi una profezia: “Speriamo che in paradiso ci sia una squadra di calcio, così che tu possa continuare a essere felice correndo dietro a un pallone. Onore a te, fratello Andrea Fortunato”. LEGGI TUTTO