Se c’è una squadra che ha onorato alla lettera la propria ragione sociale questa è l’Atalanta, Dea della corsa. In quattordici anni, che si compiranno il prossimo 4 giugno, Antonio e Luca Percassi l’hanno portata dalla Serie B alla prima finale europea dalla fondazione, addì 17 ottobre 1907. L’andatura della squadra e della società procede a perdifiato e, come confermano l’eliminazione del Marsiglia, il duello per il quinto posto con la Roma e la finale di Coppa Italia con la Juve, una cosa non faranno mai quelli di Bergamo: rallentare. D’altronde, bastano due parole per riassumere il carattere della Casa: mòla mia e non c’è bisogno di traduzione dalla lingua di Bartolomeo Colleoni, non casualmente dotato di tre attributi. L’ha compreso bene anche Stephen Pagliuca, 69 anni, origini abruzzesi, copresidente e comproprietario dell’Atalanta; copresidente di Bain Capital, uno dei principali fondi d’investimento mondiali (gestisce patrimoni per circa 190 miliardi di euro), comproprietario dei Boston Celtics, 17 volte campioni Nba. Giovedì notte, nel delirio del Gewiss impazzito di gioia, Pagliuca sgranava gli occhi e ripeteva estasiato ai Percassi: «It’s amazing, it’s amazing». E anche qui, non c’è bisogno di traduzione. La verità è che nulla succede mai per caso, anche nel mondo dove si diceva e si dice ancora: la palla è rotonda (Brera, perdonaci) e basta un palo o un rigore sbagliato per cambiarti la vita.
L’età dell’oro
Certo, è già successo e succederà ancora, come no? Però, capisci che il fato c’entra sino a un certo punto, che questo non è un miracolo italiano, ma una grande impresa italiana quando pensi che quattordici anni fa, la Dea era in B; che quattro anni fa era al n.104 del ranking Uefa e oggi occupa il n.19 a ridosso di Juve e Napoli e prima del mitologico Benfica (87 trofei in bacheca), per dire; che negli otto anni gasperiniani, ha contato tre partecipazioni di fila alla Champions League con una semifinale persa all’ultimo respiro; quattro campagne in Europa League, sopravanzando ora il quarto di finale perso con il Lipsia; che in campionato, dov’è attualmente quinta, con quattro partite ancora da giocare, si è lasciata alle spalle un ottavo, un settimo, un quinto, un quarto e tre terzi posti consecutivi, tre finali di Coppa Italia in cinque anni, la terza prossimamente sugli schermi dell’Olimpico. A Bergamo la chiamano l’Età dell’oro e fra cent’anni, non ci piove, si parlerà ancora dell’Atalanta dei Percassi e di Gasp.
Il cittadino onorario
Ecco, appunto. Gian Piero Gasperini, 66 anni, grugliaschese cittadino onorario di Bergamo, 380 partite atalantine, 196 vittorie, 91 pareggi, 93 sconfitte, percentuale di successo 51,58 per cento. Dopo avere eliminato Marsiglia ipse dixit: «L’Atalanta dimostra che non c’è bisogno delle Superleghe». Parole sante. E prima del Marsiglia: «Si è grandi solo se si vince un titolo? Questa è un’idiozia. Allora, se fai solo il giornalista e non sei un direttore, sei un perdente? Così sono tutti perdenti e si ammazzano. È un’idiozia grande come una casa, alimentata da chi è frustrato». Sacchi ha rivoluzionato il calcio, Guardiola l’ha cambiato, Gasperini sta accanto a loro, per ciò che ha proposto e per quanti hanno cercato di imitarlo, in Italia e all’estero. La difesa a tre, con gli esterni che salgono a sostegno dell’azione offensiva e pronti a ripiegare sulla linea difensiva, portandola a cinque uomini; la marcatura uomo su uomo a tuttocampo; le ripartenze brucianti; il difensore centrale pronto ad avanzare a centrocampo; i ribaltamenti di gioco da una fascia all’altra, le verticalizzazioni improvvise, le triangolazioni degli attaccanti. Su tutto, sopra tutto, la mentalità spiccatamente offensiva di una squadra che si para davanti all’Om allineando dal primo minuto Koopmeiners, De Ketelaere, Scamacca e Lookman. What else?
Di padre in figlio
Su tutti, sopra tutto, ci sono loro. I Percassi. L’Atalanta ce l’hanno nel Dna e non è un modo di dire. Antonio, 70 anni, cresciuto nel vivaio insieme con Gaetano Scirea, suo indimenticabile amico, stopper di quelli che portavano la maglia numero cinque e dai quali era meglio girare alla larga, in quanto “roccioso” e “pieno di grinta”, Capitan Futuro ante litteram, sette stagioni in prima squadra, prima del passaggio al Cesena in cambio di Bertuzzo e di un grave infortunio al ginocchio. Gli tronca la carriera, ma gli cambia la vita. E non solo la sua. Oggi, Antonio è uno dei più importanti imprenditori italiani; secondo Real Time Forbes (ultimo rilevamento, 26 aprile scorso) è dotato di un patrimonio personale di 1,5 miliardi di dollari, circa 1,4 miliardi di euro. Ha sempre pensato quanto essere sia meglio di apparire. Tant’è vero che giovedì notte, l’intervista congiunta con Luca davanti alle telecamere di Sky Sport è stata un evento più unico che raro. Per loro natura, i bergamaschi apprezzano chi parla con i fatti. L’applaudono, pensando a che cosa sia stato capace di fare, per l’Atalanta e per Bergamo, il figlio dell’impresario edile di Clusone, Valle Seriana. Rimirano il nuovo Gewiss Stadium che dalla prossima stagione, terminata la ristrutturazione della Curva Morosini ormai in dirittura d’arrivo, sarà la Bombonera della Serie A con 25 mila posti, il museo del club, bar e ristoranti. Una spesa complessiva di 100 milioni di euro, «un investimento che resterà per sempre il nostro dono a Bergamo e ai bergamaschi». Gewiss, il marchio della multinazionale orobica ramo elettrotecnica, sponsor dello stadio, in tedesco vuol dire “sicuro”. Quando si dice nomen omen. «Il nostro impianto è l’ottavo colle di Bergamo, anche se è ai piedi di Città Alta». L’immagine è di Luca Percassi 43 anni, figlio di Antonio, amministratore delegato da quel 2010, autentico regista e indefesso stakanovista dell’Età dell’Oro (praticamente vive a Zingonia, lì potete chiedere chi sia il primo a presentarsi in ufficio e l’ultimo a spegnere la luce).
Pensando a Vialli
Come il padre, Luca è cresciuto nel vivaio. A 17 anni vola al Chelsea, dove incrocia Gianluca Vialli, al quale lo lega un rapporto di profonda stima. Tornano alla mente le parole pronunciate da Luca in morte di Gianluca: «La tua scomparsa mi provoca un dolore immenso. Grazie a te sono cresciuto molto e mi hai trasmesso tantissimo. Anzitutto valori e principi, sportivi e umani, che ho trasferito in Atalanta e che ancora oggi sono fiero che siano fra i nostri segni distintivi. Grazie di tutto, buon viaggio e un abbraccio commosso alla tua famiglia, ai tuoi cari, ai tuoi amici e a tutte le persone e sono tantissime che ti hanno voluto bene e che,come me, non ti dimenticheranno mai». Le capacità manageriali di Luca sono direttamente proporzionali alla passione per l’Atalanta e per la collezione di migliaia di maglie (il conto deve averlo perso anche lui) che possiede. Naturalmente, l’ultima è la marsigliese. Deus ex machina delle operazioni di mercato, titolare di un invidiabile record di bilancio (otto utili consecutivi), secondo Calcio e Finanza, nell’era Percassi, al 31 dicembre 2023 l’Atalanta ha guadagnato complessivamente 504 milioni di euro grazie alle cessioni. Il record è stato stabilito dal passaggio di Hojlund al Manchester United: surplus di 53, 2 milioni di euro. Il fiore all’occhiello di Luca è il Gewiss Stadium: nella notte più bella della storia (aspettando le prossime), ha ricordato: «Abbiamo comprato l’impianto nel giorno dei 110 anni del club. L’investimento è stato il più grande della storia della società, per noi bergamaschi è molto significativo avere questo stadio in città. Sarà la casa dell’Atalanta e dei suoi tifosi».
D’amico e Zamagna
Come il padre, anche Luca disdegna le luci della ribalta: le frequenta solo lo stretto necessario. Dev’essere una regola aziendale non scritta, perché Tony D’Amico è un altro signore di evidente ispirazione sartriana («Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche»). Non era facile per l’ex direttore sportivo del Verona raccogliere l’eredità di Giovanni Sartori che a Bologna sta lasciando le sue impronte, profonde come negli otto anni atalantini, scanditi da magistrali colpi a ripetizione. D’Amico c’è riuscito alla grande: lavorando sodo, sempre a pelo d’acqua, in totale sintonia con Percassi, battendo la concorrenza sul tempo (l’ultima operazione da applausi si chiama Isak Hien, chiedere referenze ad Aubameyang che non l’ha vista mai). Con D’Amico lavora Gabriele Zamagna, la migliore risposta all’algoritmo, perché lui i giocatori va a vederli e rivederli, prima di prenderli. Nel 2023 ha percorso oltre 150 mila km in auto, ha saltabeccato su almeno cinquanta aerei e, a fine 2024, avrà fatto ancora di più. Zamagna è scuola Favini, per intenderci. Basta il nome di Mino per capire quanta strada abbia fatto Gabriele.
Marino e Zanforlin
Un’altra architrave dell’Atalanta società è Umberto Marino, dg, padre putativo dell’Under 23, nata in un mese nel luglio scorso grazie al grande lavoro del ds Fabio Gatti, già capace di superare il primo turno dei playoff della Serie C, sotto la guida di Francesco Modesto, allievo prediletto di Gasperini. Negli uffici di Zingonia ce n’è uno metaforicamene adibito a forziere del club. Ne è titolare Romano Zanforlin, il mago del marketing. Sotto la sua regia, i partner commerciali a vario titolo sono diventati 350 (trecentocinquanta), tanto che il regista di questo boom si schermisce: «Sono diventati così tanti che fatichiamo a stare loro dietro». L’abbiamo detto: la Dea della corsa non si ferma mai. LEGGI TUTTO