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    Zhang: “Vorrei un giocatore cinese. Dopo l’Inter la mia squadra preferita è…”

    MILANO – Il presidente dell’Inter Steven Zhang pensa già alla prossima stagione alzando maggiormente l’asticella dopo lo scudetto vinto in questa stagione. Nell’intervista rilasciata al canale Tik Tok di Liu Teng (opinionista cinese) Zhang ha rilanciato le ambizioni dei nerazzurri: “Ogni stagione l’obiettivo è puntare al massimo, ogni trofeo ha il suo significato. Molti tifosi dicono di abbandonare certe competizioni, ma questo non è realistico, non si può rinunciare facilmente a nessun onore. Stabiliremo gli obiettivi a seconda delle circostanze specifiche”.

    Il ruolo di presidente dell’Inter e la dedica a Moratti

    “Inizialmente non avevo intenzione di diventare presidente, ma poi alcune parole di Moratti mi hanno spinto in questa posizione. Durante i miei studi non immaginavo cosa significasse gestire un club, non sapevo nemmeno cosa fosse lo sport. Puoi percepire questa cultura solo attraverso gli occhi dei tifosi, dagli stadi, puoi sentire la cultura di questa terra e capire che la cultura sportiva americana è diversa da quella europea. Qui è veramente una fede nel cuore di ogni persona – aggiunge – Ho chiamato Moratti per ringraziarlo, forse senza di lui, noi tifosi cinesi non avremmo mai sentito parlare dell’Inter. Da piccolo avevo sentito parlare dell’Inter, della Juventus e del Milan; se non fosse stato per lui e per suo padre, forse noi fan cinesi non avremmo avuto questo legame. Oggi sono io a mettere la seconda stella, ma senza i trofei che ha vinto lui prima, non avrei raggiunto quello che ho raggiunto oggi”.

    Tifo

    “Dopo l’Inter la mia squadra preferita è la Nazionale argentina. Prima di quell’Inter-Udinese quando mi presentai con la delegazione di Suning non avevo ancora visto una partita di calcio”.

    Rapporto con i giocatori

    “Io e i giocatori abbiamo un’età relativamente simile. All’epoca avevo solo 24 anni, non molto tempo dopo la laurea, e molte persone in Italia pensavano che fossi solo un bambino. Glielo leggo negli occhi, hanno sempre 10.000 punti interrogativi: questo è il presidente dell’Inter? Ormai sono tante le volte in cui vado allo stadio e mi fermano. Ho sempre la sensazione che i miei giocatori siano i migliori e quelli che lavorano più duramente, se guardi molti di loro come Mkhitaryan, Nicolò Barella, Stefan De Vrij, si sente che la loro vita è seria, concentrata e semplice. Tornano a casa dopo l’allenamento, prestano grande attenzione al cibo e alle bevande, e prestano attenzione alla famiglia e all’ambiente circostante. Penso che l’attuale competizione sportiva si sviluppi sempre più in questa direzione. Quanto più le star sono importanti, tanto più prestano attenzione ai loro aspetti personali. Quando sono entrato nel team per la prima volta, in effetti non era così coeso come lo è adesso. Dal punto di vista quotidiano, devo prestare attenzione ai dettagli e prendere sul serio il mio lavoro, che può finalmente riflettersi nei risultati del gioco. A quel tempo, sentivo che i nostri concorrenti avevano tali qualità”.

    Mercato e stadio

    “Mi sono sempre ricordato del gol che Eriksen ci fece col Tottenham nella prima partita in Champions League del 2018. Quando mi è stato detto c’era l’opportunità di ingaggiare Eriksen, ho detto subito sì. Con Pavard è successa la stessa cosa: ci fece gol l’anno scorso col Bayern Monaco, lo ricordo sempre. Rinnovi? Non dovrebbero esserci problemi con il rinnovo contrattuale dell’attuale rosa. Non avverrà nell’immediato, ma richiederanno un iter – sullo stadio – In Italia il problema è molto complicato, rischia di essere una lunga questione”

    Tournèe in Cina e giocatori cinesi

    “Non credo che questa cosa sia definitiva al 100% e non lo do per certo adesso, ma questo è quello che abbiamo pensato. L’attuale direzione dei lavori è simile a quella di molti altri club più grandi, non so se hanno fatto un annuncio ufficiale, e probabilmente non l’hanno fatto. Si andrà a Chengdu nel caso? Sì, ho parlato con i giocatori ieri. È un posto dove puoi vedere molti panda giganti – aggiunge – In questi otto anni ho pensato a questo aspetto di avere un giocatore cinese in rosa, ma ho voluto pensare soprattutto alla formazione dei calciatori. Al momento non ci sono giocatori adatti, poi se ne spuntassero, uno spero di portarlo in Italia. Del resto, la società si chiama Internazionale: già quando venne fondata aveva giocatori di diverse nazionalità”. LEGGI TUTTO

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    Moratti, una grande famiglia e una passione unica per l’Inter

    Dopo Sandrino, conobbi e legai con altri ragazzi di Herrera, di Angelo Moratti, di Lady Erminia – come veniva chiamata da Nicolò Carosio nelle telecronache di Coppa dei Campioni la mamma di Adriana, Bedy, Gian Marco, Gioia, Massimo e Natalino. Nel tempo, avevo lavorato con Guarneri e Burgnich, arrivati a Bologna il primo come giocatore, l’altro come allenatore. Picchi l’avevo incontrato a Torino quand’era diventato allenatore della Juve e aveva smontato quell’aria da colonnello cubano che mostrava in nerazzurro. Jair me l’aveva presentato un giorno il suo scopritore, Gerardo Sannella, più tardi sbeffeggiato per aver portato alla Pistoiese Luis Silvio, il calciatorecameriere. Bellissimo l’incontro con Suarez, in tv e a cena, dove scoprii quant’era spiritoso, affabile, così diverso dal tuttagrinta di campo e di spogliatoio. E Corso? Facemmo amicizia a Chieti, quando veniva al Premio Prisco. Sembrava un duro, non amava le interviste, era sempre sul punto di andarsene stanco e annoiato – Brera l’aveva perfidamente definito “participio passato del verbo correre – invece lo conobbi allegro e disponibile, pieno di simpatici amarcord del ‘64: «Quel giorno all’Olimpico – continuavo a passare davanti alla nostra panchina e dicevo a Herrera “Mago, Capra non è un attaccante, non sostituisce Pascutti, rompe le balle a me”, ma lui non capiva…». A proposito, Gian Marco Moratti mi aveva ricordato – finalmente sorridente – che tutti gli anni, finito il campionato, Helenio andava in vacanza lasciando una lista dei desideri: il primo, cedere Corso ad ogni costo. «E a me che non dedicavo tempo all’Inter – ci pensava Massimo – era stato dato un incarico: rivelare ai cronisti che nessuno l’aveva mai chiesto».  

    Con Giacinto eravamo diventati amici davvero fin dal ‘66, dopo la Corea, quando lo incontrai per farmi confermare la sua firma sul dossier che Edmondo Fabbri aveva consegnato alla Federazione, un documento firmato da Bulgarelli, Mazzola e fra gli altri da Giacinto dove si diceva che un medico federale prima della partita gli aveva fatto un’iniezione di liquido rosa. Forse erano stati drogati. Ma quei fogli – consegnatimi da Fabbri nel convento di Camaldoli dove si era rifugiato – non servirono a nulla. Intanto, Giacinto mi rilasciava interviste, mi aveva preso in simpatia e quando ci ritrovammo ai Mondiali del ‘74, a Ludwigsburg, successe qualcosa che ci fece diventare amici. Avevo scritto, dopo la sconfitta della Nazionale a Stoccarda, che Bernardini avrebbe dovuto eliminare tutti i big litigiosi, da Mazzola a Rivera, da Chinaglia a Anastasi, tenendo però Facchetti, “il monumento azzurro”. Mi chiamò al telefono: «Perché darmi del monumento? Sono ancora in forma, corro, combatto…». Inutile dirgli che avevo voluto fargli un complimento. Più tardi fui fra i pochi che chetarono Bearzot quando Allodi gli impose di portare Facchetti in Argentina “capitano non giocatore”. L’ultima telefonata di Giacinto la ricevetti mentre ero al Mondiale del 2006, ancora in Germania. Lo sentii stanco, abbattuto, sapevo che stava male ma capii quanto dalle sue parole. Aveva sofferto il ruolo di presidente che gli aveva dato solo pensieri, non riusciva più a capire il nostro mondo dopo Calciopoli. Le sue parole mi strinsero il cuore. Se ne andò a settembre. Con la sua bellezza, signorilità, con la sua eroica tenerezza. 

    Arrivato a dirigere il Corriere dello Sport cominciai ad avere con Massimo Moratti un rapporto cordiale che non era mai nato a Stadio, al Carlino, al Guerin Sportivo. In particolare ci avvicinò il suo ruolo di presidente del Comitato per le Olimpiadi di Milano, idea naufragata nel nulla. Finché un editore-tifoso reggiano, Tiziano Pantaleoni, mi pregò di realizzare una storia della famiglia Moratti con l’Inter. Massimo accettò di buon grado, scrisse anche la prefazione dedicata al “nemico” tifoso del Bologna e assieme a Nicola Calzaretta realizzai un bellissimo “Moratti-Inter Album di famiglia” dal quale ricavo oggi, giorno della Seconda Stella, qualche momento della Grande Inter.  

    28 maggio 1955: è il grande giorno, quello che cambierà l’esistenza di una società di calcio, già ricca di gloria e di onori, e di una famiglia. Angelo Moratti, 46 anni, rileva la proprietà dell’Inter per una somma che si aggira intorno ai cento milioni. È lui il nuovo presidente nerazzurro, succede a Carlo Rinaldo Masseroni. È un sabato sera, Milano assiste al passaggio di consegne. Sospirato e atteso dal popolo interista. Un po’ meno dal commendator Moratti che fino alla fine aveva confidato in una soluzione diversa. Un accordo di gestione. C’era un fondo di verità nelle speranze di Moratti. Aveva da poco installato una raffineria in Sicilia. Sua volontà e, anche suo dovere, era quello di seguire da vicino l’avvio del nuovo impianto. Invece adesso c’era anche l’Inter… Ma al cuore non si comanda. E una bella fetta del suo cuore era occupato dall’amore per la moglie Erminia che amava il football, tifava per l’Ambrosiana che il marito nemmeno sapeva cosa fosse. Ricorda la figlia Adriana: «L’aveva scoperta, l’Ambrosiana, in una trasferta a Roma, mamma l’aveva portato a vedere la partita, lui si era sentito straniero ma coinvolto tanto che, quando nel Trentasei mamma stava per partorire Gian Marco, tre anni dopo di me, papà le diede una mossa: “Fa’ alla svelta che devo andare a vedere Ambrosiana-Sampierdarenese”. Aspettò la nascita e andò felice allo stadio per annunciare: “Mi è nato un maschio”. Il commendatore ormai da tempo seguiva le sorti dell’Inter. C’era anche lui in tribuna il 6 novembre 1949, quando i nerazzurri batterono il Milan per 6-5, dopo che i rossoneri si erano portati sul 4-1. Una delle partite emblematiche dell’Inter: una rimonta eccezionale per una squadra folle e fantastica. Da amare senza riserve. E quella partita in tribuna papà Angelo aveva portato con sé per la prima volta anche i suoi due ragazzi, Gian Marco, 13 anni, e Massimo che di anni ne aveva poco più di 4 e che ha ricordi confusi. Rivedo un’immagine fuggente e lontana. Davanti a me la gente scattò in piedi urlando, mio padre applaudì, mio fratello mi saltò addosso, abbracciandomi. Forse si stava festeggiando il sesto gol, quello decisivo».  

    Grande festa il 16 ottobre 1955 per il primo derby di Moratti presidente. Spalti gremiti e tribuna d’onore invasa dai flash dei fotografi che immortalano un sereno Angelo con un raggiante Gian Marco poco distante, mentre il piccolo Massimo appare un po’ sorpreso da tanta attenzione. Vince l’Inter quel primo derby. 2-1. Gol di Nesti, Nordahl e Lorenzi. Benito Lorenzi detto Veleno impressiona subito Massimo che lo ricorda così: «Veleno? No, non era cattivo, aveva un caratteraccio che in campo si sentiva. Se ne accorgevano anche gli arbitri. Era un buon soldato con tanta grinta e una totale dedizione alla bandiera nerazzurra, fu lui a tirar su Sandrino e Ferruccio Mazzola perché diventassero giocatori d ell’Inter».  

    Dopo il primo derby vittorioso a casa Moratti si fa festa, perché l’Inter è veramente un affare di famiglia. Coinvolge tutti, la passione non conosce limiti, né di età, né di sesso. La famiglia, un concetto che ritorna. Un modello che Moratti fa suo anche nel suo nuovo ruolo di presidente di una squadra di calcio. I giocatori come suoi figli. Ai quali vanno amore e rispetto, ma anche insegnamenti e disciplina. Oltre alla richiesta del massimo impegno e onore per la maglia che si indossa e per i tifosi che trepidano. Un meccanismo vincente, che lega ancora di più i giocatori tra di loro e con il loro presidente che diventa così parte attiva della squadra. La Beneamata. L’Inter è squadra che seduce, ma che può anche abbandonarti all’istante. Le prime stagioni sono travagliate. Nessuna vittoria, un tourbillon di allenatori che si alternano sulla panchina nerazzurra e qualche polemica di troppo. Angelo è pensieroso. Pensieri che arrivano anche a minare il suo entusiasmo e che lo inducono, per il senso di giustizia che governa le sue azioni, anche a proteste clamorose, come quando decide di schierare la formazione dei ragazzi contro la Juventus nel giugno 1961. La sconfitta è pesante (9-1) per una protesta che fa rumore e lascia il segno.  

    Un segno storico perché avvelena – forse per sempre – il Derby d’Italia e raffredda anche i rapporti fra le due famiglie, Agnelli e Moratti. Anche se Massimo parla di «rispetto reciproco e anche d’amicizia. Sempre rivali, però. Con Umberto, ch’era stato compagno di università di Gian Marco, diventato prima presidente della Federazione poi della Juve, abbiamo avuto scontri durissimi, ma veniva lo stesso a mangiare a casa nostra».  

    Già, Umberto Agnelli, come dire l’origine di una sfida calcistica senza fine e lui, il Dottore, non Gianni l’Avvocato, provocatore della Guerra dei Due Secoli. Che continua. Ma adesso – archiviate le battute spiritose di Peppino Prisco alle quali Boniperti rispondeva con un silenzio vittorioso – Massimo Moratti pensa ad altro, si gode l’Amarcord della Grande Inter e della prima Stella insieme al forte contributo dato per conquistare la seconda. E non abbandona la “sua” Inter, se non altro perché ha un ottimo rapporto con la famiglia Zhang, in particolare con Steven che gli fu affidato al suo arrivo a Milano. Dispensa consigli e pacche sulle spalle, pochi giorni fa si è fatto vedere in visita ad Appiano nel bel mezzo della crisi finanziaria dei cinesi. La spiegazione? Un giorno mi disse: «Perché la famiglia è stata sempre dietro l’Inter anche quando non c’era». Accompagnando altri presidenti alla conquista della Seconda Stella. «La Prima – racconta orgoglioso “Inter-calcio” – è nata alla fine del campionato 1965/1966 con il decimo scudetto. In campionato l’Inter si era confermata squadra solidissima e replicava il successo della stagione precedente, conquistando così il diritto di fregiarsi della stella dorata riservata ai vincitori di dieci scudetti. Alla fine del Girone di andata guidiamo la classifica, precedendo Milan, Napoli e Juventus. Vinciamo il campionato con una giornata di anticipo, a 50 punti, con ben settanta gol segnati». Si tratta del massimo assoluto, che può ben rispondere alle critiche di “gioco utilitaristico” del periodo. Già. Quando si parla di Catenaccio tutti pensano a Rocco e al suo Milan catenacciaro con quattro punte, ma Helenio Herrera non gli fu da meno. Come tanti anni dopo Mourinho.  

    I “giochisti” di oggi – fortunati che non c’è più Brera – sanno che con l’Inter, Beneamata o Pazza, non possono recitare poesie guardiolesche. Proprio con Angelo Moratti nasce e si concretizza la Grande Inter dei tre scudetti, delle due Coppe dei Campioni e delle due Coppe Intercontinentali. Durante la sua presidenza ebbe collaboratori importanti come Italo Allodi, Peppino Prisco, Franco Servello, Arrigo Gattai e Fortunato De Agazio. Altri tempi. Ma «una volta interisti, interisti per sempre».  LEGGI TUTTO

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    Mazzola esclusivo: “Come brilla la mia Inter a due stelle”

    È il 15 maggio 1966, a San Siro c’è il sole e in campo dall’altra parte c’è la Lazio, penultima giornata di Serie A. L’Inter è campione d’Europa in carica e pure del mondo, perché a settembre aveva vinto la seconda Intercontinentale di fila. Sandro Mazzola ha ventiquattro anni, è già una leggenda: spinge il pallone del 2-0 in rete e alza le braccia al cielo in un’esultanza iconica fotografata in bianconero. Finisce 4-1, l’Inter è campione d’Italia per la decima volta e fa brillare la prima stella nel cielo di Milano.
    È il 22 aprile 2024, a San Siro c’è la luce dei riflettori e quella dei telefonini usati come tante piccole torce, in campo dall’altra parte c’è il Milan. Sandro Mazzola ha 82 anni e il suo mondo ha sempre due colori, quelli del cielo e della notte. Il derby più derby che c’è l’ha visto dal divano di casa. Sul tavolino una bottiglietta di Coca Cola e una copia di “Cuore nerazzurro. Una bandiera è per sempre”, l’autobiografia da poco in libreria. Sulla copertina c’è una stella che brilla in primo piano. «Ho i miei riti, ho invitato solo i miei figli, tutti devono vestirsi in un certo modo. Questa vigilia è stata lunga, continuavo a dirmi: non ci devo pensare. Potevo distrarmi per un paio d’ore, ma poi il pensiero tornava sempre alla partita decisiva, al ventesimo scudetto».
    Dal 1966 al 2024, cosa significa per l’Inter la seconda stella?«È qualcosa di fantastico, un grande traguardo per il club nerazzurro. Siamo stati i primi a portare la stella a Milano, siamo i primi a conquistare la seconda. Un momento storico».
    Che immagine ha di Inter-Lazio del 15 maggio 1966?«Un’emozione indescrivibile, che atmosfera a San Siro! Eravamo tutti impressionati, stavamo negli spogliatoi in silenzio, concentrati, ognuno seduto al proprio posto. Entrò il presidente Moratti e ci disse: “Ma cosa fate, non andate a giocare?”. Ma noi con la testa eravamo già in campo prima del fischio d’inizio».
    Emozionati? Ma se avevate già vinto tutto…«Vero. Ma a San Siro c’erano anche più di settantamila spettatori: i cori dei tifosi, il rumore degli spalti, l’atmosfera era qualcosa di impressionante. Avevamo già vinto tutto, direi che non eravamo male come squadra, no? E a inizio stagione avevamo rivinto la Coppa Intercontinentale, nella finale d’andata segnai una doppietta all’Independiente. Però noi avevamo un segreto».
    Quale?«La voglia di dimostrarci sempre superiori agli avversari, anche dopo tante vittorie. Ed era un qualcosa che partiva dagli allenamenti. Se c’era un compagno che non si impegnava o non era concentrato, beh eravamo tutti pronti a farlo rimettere in pista subito, non aspettavamo che fosse Herrera a dirgli qualcosa».
    Cosa c’è in comune tra la Grande Inter e la squadra della seconda stella?«La voglia di vincere, la voglia di prendere subito il controllo della partita. Può anche passare qualche minuto, sembra che l’Inter non attacchi e invece eccola: a quel punto non ce n’è più per nessuno».
    Pochi giorni fa è stato in visita ad Appiano Gentile, ha incontrato Inzaghi e la squadra. Cosa pensa di Simone?«Lo conoscevo già e l’ho sempre apprezzato come persona e come allenatore. E ora che è andata come speravamo, posso fargli i complimenti».
    Si può dire che la seconda stella è nata nella notte di Istanbul?«La squadra è cresciuta e dà la sensazione di poter decidere quando è il momento di vincere la partita. Corrono tutti, si aiutano, danno davvero la dimostrazione della forza del lavoro di squadra. È un’Inter troppo bella, sta giocando un calcio piacevole e lo ha fatto vedere anche a livello internazionale». LEGGI TUTTO

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    Scudetto Inter per Simone, l’Ernesto e il Moratti

    Sono felice per Simone Inzaghi, con quel modo tutto suo di fare l’allenatore. Non è un grande comunicatore, sa però parlare ai giocatori, li responsabilizza e tranquillizza, ed è la cosa che più conta.

    Il dominio stagionale è stato fin troppo evidente, frutto anche di assolute sorprese quali Thuram e Sommer. L’estate scorsa non immaginavo che potessero fare addirittura meglio di Lukaku e Dzeko, che metto insieme, e Onana. Ho il sospetto, fondato, che i due abbiano stupito, e non poco, anche chi li ha presi, Piero Ausilio, e chi ne ha avallato l’acquisto, Beppe Marotta.

    La squadra apprezza la lealtà, oltre alle idee, di Simone. Che ha una sola parola perché ha una sola convinzione.Stella o non stella, mai così Inter come quelle di Pellegrini e Moratti. Non ce l’ho con Steven Zhang, lui non ha colpe, ma almeno quelli i soldi li mettevano sul serio ed erano i loro soldi, miliardi di lire e poi milioni di euro. E genuina e potente e soprattutto antica era la passione che li muoveva.

    Ieri ho letto l’intervista di Franco Vanni all’Ernesto, del quale mi onoro di essere amico. Un paio di passaggi mi hanno colpito. Quando dice che «la notte sogno ancora i giorni dello scudetto. Al risveglio impiego qualche istante a realizzare che è successo davvero. Lo stesso succede con la coppa Uefa di trent’anni fa. Ed è incredibile come certe imprese uniscano gli uomini che le hanno compiute». Al punto che due mesi fa lo stesso Pellegrini organizzò un volo privato per consentire agli ex compagni di squadra di Andy Brehme, morto il 20 febbraio scorso, di andare a Monaco di Baviera a ricordarlo in presenza.

    «Zhang mi piace», questo l’altro momento segnalabile della chiacchierata con l’ex presidente. «Educato, rispettoso, eravamo seduti vicini a San Siro, poi lui ha smesso di venirci». Perché non lo stanno facendo uscire dalla Cina.

    Di Massimo Moratti credo di aver raccontato negli ultimi trent’anni tutto quello che sapevo: nell’autunno del ’94 mi rilasciò un’intervista esclusiva per questo giornale nella quale ipotizzò la sua Inter, a quel tempo non pensava di poterla acquistare. Qualche mese dopo, a febbraio, l’impresa gli riuscì. Ogni venerdì – lui scaramantico anche più del sottoscritto – lo raggiungevo in Saras ed erano racconti e battute e piccole provocazioni. Nel suo ufficio tutto sapeva di Inter, alle spalle di Moratti la foto di “Veleno” Lorenzi.

    Moratti resta il più grande presidente della storia interista, con il Triplete di Mourinho ha raggiunto e verosimilmente superato il padre Angelo.

    La seconda stella dell’Inter non sarebbe mai arrivata senza Pellegrini, Moratti e un calcio che per chi ha avuto la fortuna di viverlo resta ineguagliabile. Non sono mai stato un tipo nostalgico, vivo il presente e del passato non conservo nulla. Ma Pellegrini e Moratti non trasmettono il veleno della nostalgia, solo la speranza o l’illusione di qualcosa di più vero e autentico. Più di calcio.  LEGGI TUTTO

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    Inter-Cagliari diretta ore 20:45: dove vederla in tv, streaming e formazioni

    Inter-Cagliari, l’orario
    La sfida tra Inter e Cagliari si disputerà oggi, domenica 14 aprile, alle ore 20:45 allo “Stadio Giuseppe Meqazza-San Siro”.
    Dove vedere Inter-Cagliari in diretta tv
    Inter-Cagliari sarà trasmessa in diretta in esclusiva su DAZN. È possibile attivare l’app su ogni comune smart tv, nell’apposita sezione della Home di SkyQ e su dispositivi quali Playstation e XBox. 
    Dove vedere Inter-Cagliariin streaming
    Inter-Cagliari sarà visibile live in streaming su DAZN. L’omonima applicazione è scaricabile gratuitamente su pc, smartphone e tablet, ed è accessibile tramite un semplice login, previo abbonamento. Potrete seguire la diretta testuale della partita sul Corriere dello Sport – Stadio.
    La probabile formazione di Inzaghi
    INTER (3-5-2): Sommer; Bisseck, Acerbi, Bastoni; Darmian, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco; Thuram, Sanchez. All: Inzaghi
    A disposizione: Audero, Di Gennaro, De Vrij, Dumfries, Cuadradfo, Buchanan, Carlos Augusto, Sensi, Asllani, Frattesi, Klaassen, Arnautovic.
    Squalificati: Lautaro, Pavard. Diffidati: Mkhitaryan.
    La probabile formazione di Ranieri
    CAGLIARI (4-4-2): Scuffet; Zappa, Mina, Dossena, Augello; Oristanio, Makoumbou, Prati, Sulemana; Gaetano, Shomurodov. All: Ranieri.
    A disposizione: Radunovic, Aresti, Lapadula, Viola, Hatzidiakos, Jankto, Wieteska, Obert, Azzi, Luvumbo, Di Pardo.
    Indisponibili: Petagna, Pavoletti, Mancosu. Squalificati: Nandez, Deiola. Diffidati: Paoletti, Dossena, Luvumbo.
    Inter-Cagliari, la cronaca
    La vittoria all’ultimo secondo contro l’Udinese ha galvanizzato ancora di più l’Inter che vuole accelerare per chiudere la pratica scudetto il prima possibile. Momento di forma ottimo anche quello del Cagliari dopo la vittoria casalinga contro l’Atalanta: i rossoblù ora sono a +4 dalla zona retrocessione. LEGGI TUTTO

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    Mazzola: “Inter, Lautaro non si tocca. E devi puntare alla Champions”

    “Non ho visto niente, non conosco nessuno, non parlo (ride, ndr). Ma è stata un’esperienza bellissima”. Comincia così la chiacchierata con un sempre gentilissimo Sandro Mazzola sulla sua visita nel centro sportivo nerazzurro ad Appiano Gentile di due giorni fa. Il leggendario calciatore, entrato nella Hall of Fame del Club nel 2022, ha vissuto sicuramente una giornata particolare: “Mi ha fatto impressione, quasi quasi stavo per girarmi e tornare indietro per colpa dell’emozione. Mi sono venute in mente subito tante cose belle. La prima? Un gol che avevo segnato proprio il primo giorno di allenamento, lì ad Appiano Gentile, quando ancora facevo parte della Primavera, non ancora della prima squadra”.
    Mazzola: “Scudetto contro il Milan sarebbe bellissimo”
    Mazzola ha pranzato con Marotta, potendo tra l’altro scegliere in un menù molto ricco, per ricevere anche e soprattutto un caloroso saluto da parte di tecnico e calciatori nerazzurri: “Devo dire che è stata una cosa bellissima, mi è piaciuta molta, mi hanno trattato come uno di loro, come fossi lì per giocare”.
    L’ex numero 8 prosegue: “Con chi mi sono intrattenuto maggiormente? Ho parlato di più con Inzaghi, ma sono stati tutti molto bravi, mi hanno fatto sentire a casa mia. Cosa ci siamo detti? Non le dico né cosa io ho detto al mister, né cosa lui ha detto a me (ride, nrd). Sono segreti!”.
    L’argomento si sposta poi sulla possibilità che l’Inter vinca lo Scudetto nelle prossime due partite di campionato: “Non mi faccia queste domande (ride, ndr). Vincerlo contro il Milan sarebbe bellissimo. Ma in generale faccio gli scongiuri (ride, ndr). Non diciamo che i nerazzurri hanno disputato un campionato incredibile, anche se è vero, perché altrimenti cambia tutto! Diciamo che la squadra gioca abbastanza bene, abbastanza però, non di più (ride, ndr)”.
    “Inzaghi come Herrera? No. E Lautaro non si tocca”
    Dopo aver proferito più di un concetto tra lo scaramantico e lo scherzoso, Mazzola promuove i calciatori dell’Inter: “Mi piacciono tutti”. Per spendere poi parole al miele per capitan Martinez e per il tecnico ex Lazio: “Lautaro non si tocca. Inzaghi mi piace, lo vedo come un allenatore di una volta, almeno in certe situazioni e quindi mi riporta indietro nel tempo. Se possiamo paragonarlo a Herrera? No, no lasci stare, il mago era il mago, unico! Però sicuramente Simone potrà anche lui diventare un allenatore importantissimo per la storia dell’Inter. Lasciamolo lavorare”.
    Col sogno che si possa arrivare davvero lontanissimo: “Se l’Inter deve puntare a vincere la Champions League l’anno prossimo? Assolutamente. Può e deve farlo”. In ogni caso, in un ipotetico confronto tra la grande Inter e la squadra attuale, non ci sarebbe, o quasi, partita: “Oh ragazzi, ma scherziamo? Vinceremmo noi! Colpo di tacco, tiro a effetto e palla all’incrocio (ride, ndr)”. L’argomento si sposta poi su un singolo calciatore, con il classe ‘42 che loda un’altra pedina fondamentale della squadra attuale.
    “Dimarco può diventare una bandiera”
    Nel suo ultimo libro, dal titolo “Cuore nerazzurro – una bandiera è per sempre” (edito da Piemme, ndr), Mazzola esalta ovviamente il suo legame, indissolubile, con quel club con cui ha conquistato tutto, diventando un’icona per i propri tifosi, oltre che il simbolo del nerazzurro per generazioni.
    Quel ruolo, forse, potrebbe un giorno essere ricoperto di Dimarco: “Oggi è diverso, esiste un altro calcio e un altro modo di fare. Certo è però che Dimarco è interista dalla nascita, potrebbe sicuramente diventare una bandiera. Gli vedi addosso la maglia anche se non ce l’ha”. Un sentimento, quello di provare un amore viscerale per il nerazzurro, che Mazzola proverà per sempre: “L’amore per l’Inter è rimasto intatto, c’è sempre. E non cambierà mai”. LEGGI TUTTO

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    Diretta Udinese-Inter ore 20.45: dove vederla in tv, in streaming e probabili formazioni

    UDINE – Lo scudetto è da raggiungere il prima possibile: questa la regola nello spogliatoio Inter che si prepara per il positicpo del 31° turno di Serie A sul campo dell’Udinese. Simone Inzaghi schiererà la migliore squadra possibile, con tutti i titolari in campo per cercare di raggiungere l’obiettivo della seconda stella e provare a puntare ogni record possibile a partire dal traguardo dei 102 punti ottenuto della Juventus di Antonio Conte nell’annata ’13-14. Al Bluenergy Stadium ci sarà dunque la migliore Inter possibile che dovrà fare a meno solamente di Bastoni, al suo posto Carlos Augusto, rimasto a Milano per precauzione. Per contrastare la ‘ThuLa”, Cioffi si affida ad Udinese che vuole allontanare il più possibile l’incubo retrocessione. Davanti dovrebbe toccare ad un inedito suo Pereyra-Thauvin con il capitano a supporto di un francese protagonista fondamentale della fase conclusiva dei friulani. Con questa soluzione si libera il posto di esterno destro di centrocampo dove le opzioni portano a Ferreira-Ehizibue o Ebosele.. A spingere stasera i friulani ci sarà un Bluenergy Stadium tutto esaurito.
    Udinese-Inter, le formazioni ufficiali
    UDINESE (3-5-1-1): Okoye, Perez, Bijol, Giannetti; Ferreira, Lovric, Walace, Samardzic, Kamara, pereyra, Thauvin. All. Cioffi. A disposizione: Silvestri, Padelli, Tikvic, Kristensen, Kabasele, Ebosele, Zemura, Payero, Zarraga, Ehizibue, Success, Brenner, Davis. Indisponibili: Ebosse, Deulofeu. Squalificati: Lucca. Diffidati: Giannetti, Perez, Success, Thauvin.
    INTER (3-5-2): Sommer, Pavard, Acerbi, Carlos Augusto; Dumfries, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco; Martinez, Thuram. All. Inzaghi. A disposizione: Audero, Di Gennaro, Stabile, Bisseck, Darmian, Buchanan, Asllani, Stankovic, Frattesi, Sensi, Klaassen, Sanchez, Arnautovic. Indisponibili: Bastoni, Cuadrado, De Vrij. Squalificati: -. Diffidati: Martinez, Mkhitaryan, Pavard.
    ARBITRO: Piccinini di ForlìASSISTENTI: Vivenzi-CecconiIV UOMO: Vivenzi-CecconiVAR: SerraASS VAR: Aureliano
    Udinese-Inter, tutte le quote LEGGI TUTTO

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    Diretta Inter-Napoli ore 20:45: dove vederla in tv, in streaming e probabili formazioni

    Segui la diretta di Inter-Napoli su Tuttosport.com
    Dove vedere Inter-Napoli: diretta tv e streaming
    La sfida tra Inter e Napoli è in programma alle 20:45 allo stadio Meazza di Milano. Sarà possibile seguire la partita in diretta tv su Sky Zona DAZN. Il match verrà trasmesso anche in streaming sulla rispettiva applicazione DAZN.
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    Inter-Napoli: le probabili formazioni
    INTER (3-5-2): Sommer; Bisseck, Acerbi, Bastoni; Darmian, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco; Thuram, Lautaro Martinez. Allenatore: Inzaghi.A disposizione: Audero, Di Gennaro, De Vrij, Pavard, Dumfries, Buchanan, Asslani, Frattesi, Klaassen, Sanchez.
    Indisponibili: Arnautovic, Carlos Augusto, Cuadrado, Sensi.Squalificati: nessuno.Diffidati: Lautaro Martinez, Mkhitaryan.
    NAPOLI (4-3-3): Meret; Di Lorenzo, Rrahmani, Juan Jesus, Olivera; Anguissa, Lobotka, Traorè; Politano, Osimhen, Kvaratskhelia. Allenatore: Calzona.A disposizione: Gollini, Contini, Natan, Ostigard, Mazzocchi, Mario Rui, Dendoncker, Cajuste, Zielinski, Lindstrom, Ngonge, Simeone, Raspadori.
    Indisponibili: nessuno.Squalificati: nessuno.Diffidati: Ngonge, Mazzocchi, Rrahmani.
    ARBITRO: La Penna di Roma. ASSISTENTI: Berti-Perrotti. QUARTO UFFICIALE: Feliciani. VAR: Di Paolo. ASS. VAR: Valeri. LEGGI TUTTO