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Sissoko: “Stop Ligue 1 prematuro, ora aiuto i poveri parigini colpiti dal virus”

Coronavirus, Ligue 1, Benitez

Casse d’acqua e peperoni tra la mani, un sorriso stampato sul volto. Nei quartieri poveri di Parigi ai tempi del coronavirus Mohamed ‘Momo’ Sissoko non passa inosservato. Chi non conosce il calcio però a prima vista difficilmente penserebbe che quell’omone 35enne è stato l’uomo di fiducia di Rafa Benitez e di Claudio Ranieri, lo stesso che ha corso al fianco di Steven Gerrard e di Alessandro Del Piero. Questo perché ‘Momo’ è rimasto comunque il ragazzo di sempre, quello nato in Normandia, di origini maliane, che ha scelto di stare dalla parte dei più deboli anche quando ha scelto la Nazionale con cui giocare. Qualche infortunio di troppo lo ha condizionato, però è felice per i sogni che è stato in grado di realizzare. L’ex centrocampista di Juve, Liverpool e Valencia ha stoppato per sempre il pallone lo scorso gennaio, ma sa già che cosa fare da “grande”. Prima però c’è una battaglia da vincere nei quartieri di Parigi, messa in ginocchio dall’emergenza di Covid-19.

Momo, lei sta aiutando i poveri a Parigi colpiti dall’emergenza sanitaria: come è nata questa iniziativa?
Sì, sto dando una mano alla gente che soffre per il coronavirus. Tante persone hanno perso il lavoro e la loro situazione è difficile. Sto aiutando chi vive nei quartieri popolari. Io e un mio amico abbiamo avuto questa idea, poi abbiamo cominciato e stiamo andando avanti.

Le sue giornate sono piene?
Sì, molto: solitamente facciamo una riunione via telefono, poi andiamo a fare la spesa. Aiutiamo 300-400 persone: lavoriamo tanto per farlo. Lunedì e martedì andiamo a comprare i generi alimentari, mercoledì distribuiamo il cibo, giovedì e venerdì facciamo di nuovo la spesa, al sabato c’è un’altra distribuzione. Mi piace: è bello regalare un sorriso alla gente in difficoltà e vederla felice per quel poco che le stai dando.

Che situazione c’è a Parigi in questo momento?
Dopo il ritiro sono tornato a Parigi: qui ho anche giocato a calcio, questa città è un po’ la mia casa. Tante persone hanno perso la vita in Francia per colpa di questo virus. È morto anche l’ex presidente del Marsiglia, Pape Diouf, una persona che ho sempre apprezzato molto e che ricordo con piacere. È una situazione difficile, speriamo di tornare presto alla normalità e di ritrovare la nostra vita di prima.

Dall’inizio di questo mese le misure di contenimento sono state allentate anche lì?
Le persone hanno rispettato quello che era stato deciso, dopo tre settimane o un mese però diventa difficile per tutti restare ancora in casa. Non è una situazione facile per nessuno. Qui c’è più gente in giro adesso.

Come giudica la scelta di chiudere già la Ligue 1? Il Psg ha vinto un campionato che non è finito…
Si sarebbe dovuto aspettare, questa decisione è stata presa troppo presto. Per giocatori e per i club è difficile accettare che il campionato sia già finito. Poche persone hanno capito la ragione di questa scelta. I tifosi non l’hanno presa bene e nemmeno i giocatori che sono a fine contratto: alcuni di loro sono molto giovani, dieci partite avrebbero potuto cambiare la loro carriera. Psg e Lione non giocheranno più nel campionato francese, ma potrebbero scendere in campo in Champions: anche questa cosa fa discutere. Non capisco i motivi di questa scelta.

Lei si è ritirato a gennaio dopo una lunga carriera: è cominciato tutto in Normandia…
Sì, sono nato lì. La famiglia è molto numerosa: siamo in tanti e siamo uniti, questa è la cosa più importante. La maggior parte dei miei parenti oggi vive in Mali, altri abitano a Parigi. Ho cominciato a giocare a calcio quando ero giovanissimo: dove vivevo non c’era molto da fare, o compievi cattive azioni oppure giocavi a pallone. Io volevo diventare un calciatore. Lo sognavano anche tanti miei amici.

Lei è cresciuto in Francia, ma ha scelto di giocare col Mali: come ha maturato questa decisione?
All’inizio non è stato facile scegliere perché io sono nato in Francia e ci sono cresciuto calcisticamente, però non ho mai dimenticato il mio primo viaggio in Mali: quando sono arrivato c’erano 300 persone, mi hanno detto di andare a giocare con loro perché avevano bisogno di me. Sono felice di aver scelto il Mali: ho dato l’opportunità a tanti ragazzi di diventare calciatori, sono un modello di ispirazione per tutti loro.

Lei è musulmano praticante: quanto è difficile per un calciatore rispettare il Ramadan?
È una cosa facile: io non ho mai avuto nessun problema. Ne ho parlato coi miei allenatori: a tutti ho detto che lo avevo sempre rispettato e che avrei continuato a farlo aiutando comunque i miei compagni. Mangiavo in altri orari senza problemi: diventava presto un’abitudine.

La sua carriera ad alti livelli è cominciata nel Valencia di Rafa Benitez: è stato un allenatore decisivo per la sua carriera?
È nato tutto con lui: io e Benitez avevamo un rapporto bellissimo. Quando sono arrivato al Valencia avevo 17 anni: in quello spogliatoio c’erano campioni come Albelda, Pellegrino, Canizares, Carboni. Benitez mi ha dato l’opportunità di giocare nella Liga, ho lavorato tanto disputando tante gare e ho vinto molti titoli. Abbiamo fatto cose belle a Valencia, Benitez mi ha fatto crescere come uomo, gli devo tanto.

È stato Benitez a farle cambiare ruolo?
Sono arrivato a Valencia per fare l’attaccante. All’inizio mi allenavo con la prima squadra, ma giocavo con la seconda. Dopo una seduta Benitez mi ha detto che sarei passato definitivamente in prima squadra: da quel momento in poi sono sempre stato con loro. Una volta il mister mi ha fatto giocare a centrocampo come numero sei: in quella partita ho fatto molto bene e da quel momento in poi sono rimasto lì.

Lei al Valencia è stato allenato anche da Claudio Ranieri: che cosa ricorda?
Avevo un bellissimo rapporto col mister. È stato così più o meno con tutti gli allenatori che ho incontrato nel corso della mia carriera. Ranieri era una bravissima persona, un gentleman, penso che debba essere rispettato per tutto quello che ha fatto nel mondo del calcio.

Dopo il Valencia lei ha seguito Benitez al Liverpool: come è stato l’impatto col calcio inglese?
La differenza principale tra Liga e Premier è di natura fisica: in Inghilterra si gioca sempre, c’è tanta intensità, puoi vincere con chiunque e perdere con chiunque. È un calcio molto difficile e impegnativo.

Lei si è procurato un brutto infortunio all’occhio durante Liverpool-Benfica del 2006 in Champions: che cosa ricorda?
È stata dura, è ancora difficile parlarne. Ricordo il mio arrivo in ospedale: è stato un bruttissimo infortunio, ho rischiato di perdere l’occhio. La ripresa è stata difficile, ma non ho mai perso la speranza. Per fortuna sono riuscito a tornare a giocare e a fare tutto quello che ho fatto.


Fonte: http://www.gazzetta.it/rss/serie-a.xml


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