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    Palermo e Brunori: la stessa crisi

    TORINO – In estate, il Palermo era considerata dalle agenzie di scommesse la prima favorita per la promozione in A. Dopo 8 giornate, i rosanero di Alessio Dionisi sono invece noni, a 8 punti dalla capolista, il Pisa di Filippo Inzaghi. Ancora presto per parlare di fallimento, con 32 turni da giocare. Ma la strada sembra essere quella, considerato che siamo a metà ottobre e il Palermo non ha ancora vinto una partita in casa, quando imporsi con regolarità al Barbera dovrebbe essere il pilastro su cui fondare in ritorno in quella Serie A che per i colori rosanero manca dal 2017. Un dato potrebbe rassicurare: il Palermo, con soli 7 gol al passivo, ha la miglior difesa della B, assieme all’imbattuto Spezia di D’Angelo. Il problema è che Dionisi ha uno dei peggiori attacchi: 8 reti segnate, soltanto Reggiana, Catanzaro, Carrarese e Cosenza ne hanno realizzate meno (7). Questo è il dato più preoccupante che tiene in ansia tutto il clan rosanero, a iniziare dal primo tifoso del Palermo, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In passato, in visita in città e al suo club del cuore, non ha mancato di incontrare la squadra che da quando è stata rilevata da City Football Group, cioè dal Manchester City, il club più potente e importante al mondo, avrebbe dovuto dominare la B senza colpo ferire. E invece siamo alla terza stagione di fila in Serie B e continuando così, l’obiettivo pare destinato a fallire anche quest’anno. Ma se la squadra non segna, è anche perché in estate la società non ha sciolto l’equivoco Brunori, anzi, forse l’ha creato. Il bomber italo-brasiliano è in rosanero dal 2021 e nelle ultime tre stagioni è stato il munifico capocannoniere della squadra (in rosanero è a 60 reti in 116 presenze). Poi, cosa è successo? Anche se alla fine non si fece nulla perché il Palermo chiedeva troppo,  nei mesi estivi era trapelata una certa voglia, da entrambe le parti probabilmente, di chiudere il rapporto. Erano le scorie nate dopo la mancata promozione in A, il Palermo la scorsa primavera è stato eliminato in semifinale playoff dal Venezia, poi salito in A, dopo aver fatto fuori la Sampdoria di Pirlo al turno preliminare. Fatto sta che in questa annata, Brunori è l’ombra di se stesso, ha segnato una sola rete, su rigore, nella vittoria per 1-3, al Menti di Castellammare, sulla rivelazione Juve Stabia. Questo perché Brunori non è più il leader della squadra, in questa B ha raccolto 8 presenze per 365′ giocati con Dionisi che ha dato gradualmente più centralità al francese Thomas Henry, classe 1994 come Brunori, giunto in estate dal Verona in prestito, ma anche lui con le polveri bagnate (8 presenze, un solo gol sempre nella vittoria di Castellammare, 377’ giocati). Solo che la situazione, prima della sosta per le nazionali, si è ulteriormente ingarbugliata per la sconfitta interna ad opera della Salernitana con cui il Palermo è andato alla pausa: stavolta Brunori è tornato ad essere titolare, la staffetta con Henry è avvenuta al 63’ ma la frittata è arrivata lo stesso. Anche perché in avanti ci si attendeva molto da un altro francese, Jeremy Le Douaron che di mestiere dovrebbe fare l’ala sinistra ma che in estate era stato presentato anche come il possibile attaccante-principe del Palermo, tanto più che arriva dalla A francese ed è stato l’acquisto più oneroso (sui 4 milioni). Ma ad oggi, siamo a 4 presenze anonime (per usare un eufenismo) in B con 165’ di gioco. Insomma, nei prossimi due mesi abbondanti di campionato, tutto l’attacco rosanero sarà sotto esame (e meno male che per gli strappi sulla fascia c’è sempre Di Mariano, il nipote di Totò Schillaci, che non tradisce mai). Però se la squadra non decolla – alla ripresa il Palermo sarà di scena a Modena – e Brunori non riesce a riaffermare la sua leadership sulla piazza, quella cessione che non è arrivata in estate, potrebbe giungere nella sessione di mercato di gennaio 2025. LEGGI TUTTO

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    Vlahovic, adesso siediti: se non rinnova la cessione è inevitabile

    Rinnovare o andare a scadenza, non se ne esce. La seconda ipotesi imporrebbe alla Juve di vendere l’attaccante serbo, che il 28 gennaio compirà 25 anni. Un’operazione non proprio semplice, dal momento che Dusan costa 24 milioni lordi a stagione e che in giro per l’Europa sono pochissimi i club in grado di sostenere un impegno del genere.
    Le capacità realizzative di Vlahovic sono fuori discussione, i difetti che anche Motta sta cercando di cancellare, o alla peggio ridurre, riguardano le difficoltà nel giocare spalle alla porta e con la squadra. Da questo punto di vista qualche progresso l’ha mostrato già l’anno scorso, ma è ancora distante dal punto di piena soddisfazione dell’allenatore, che a Bologna ha fatto la sua fortuna con Zirkzee, molto meno efficace di Dusan nell’area piccola, ma più utile e abile dentro il campo.
    Il destino di Vlahovic non è tuttavia di strettissima attualità: salvo inattese accelerazioni nelle prossime settimane, lo diventerà tra gennaio e marzo.
    Assai più urgente risulta invece la ricerca di una soluzione-tampone per la difesa, dopo l’infortunio di Bremer, e di un’altra copertura per l’attacco, sempre che Milik non riesca a recuperare in fretta la migliore condizione.
    Il budget a disposizione di Giuntoli, che giovedì ha fatto un salto a Roma per salutare Spalletti, compagno di una straordinaria avventura napolet ana, non autorizza i fuochi d’artificio: è possibile che la Juve debba ricorrere a uno o due prestiti.
    A proposito di Spalletti, nei giorni scorsi ho raccolto un’indiscrezione alla quale non è difficile dare credito. Il primo obiettivo di Giuntoli per la sostituzione di Allegri – ha raccontato una fonte vicina al direttore juventino – era proprio l’attuale ct dell’Italia, il quale però ad agosto – dopo le dimissioni di Mancini – fu sedotto da Gravina e dalla panchina azzurra, il sogno assoluto della vita.
    Motta non è una seconda scelta, ci mancherebbe: è però immaginabile che l’ex dg del Napoli avrebbe gradito di ricomporre la coppia a Torino. Anche per la gioia di Luciano nazionale.
    Tra i vari pensieri che circolano nella testa di Giuntoli figurano anche la Next Gen, che rischia la retrocessione in D, e la campagna acquisti della prossima estate che potrebbe essere tanto ricca quanto l’ultima, visto che – fatti due conti – le risorse dovrebbero aumentare sensibilmente. E allora uno come David del Lilla rientrerebbe facilmente nei programmi tecnici. Non Osimhen, visto che la clausola dei 75 milioni non è valida per l’Italia e che Aurelio De Laurentiis, piuttosto che vendere il centravanti nigeriano alla Juve, lo regalerebbe ai turchi.
    PS. Pensierino malizioso, perché in questo mestiere bisogna stare sempre un paio di livelli di malizia avanti. Con Vlahovic la Juve si ritrova in una situazione paradossale: da un lato si augura che segni più gol possibili e che porti un sacco di punti; dall’altro – essendo al momento l’unico centravanti di ruolo in squadra – più opportunità ha Dusan di segnare, più il bottino personale si fa consistente e più la forza contrattuale di Ristic diventa praticamente inaffrontabile. LEGGI TUTTO

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    D’Aversa, l’intervista: “Empoli top. Agli arbitri dico: allenatevi con noi”

    Roberto D’Aversa, partiamo dalla costruzione dal basso: favorevole o contrario?
    “Giusto che si faccia se ci sono le condizioni, altrimenti meglio evitarla, però è un discorso che parte da lontano e occorre lavorarci fin dal ritiro, intervenendo nei dettagli tecnico-tattici e nella convinzione dei ragazzi. Fondamentalmente, quando si incontrano squadre che aggrediscono, bisogna essere bravi a saltare la pressione bilanciando bene la presenza degli avversari nella nostra metà campo con la nostra nella loro”.
    Già che ci siamo: come si pone tra giochisti e risultatisti?
    “Sono etichette messe troppo in fretta agli allenatori e, di conseguenza, al gioco che propongono. Vincere la partita e raggiungere gli obiettivi richiesti dalla società: questo conta e ognuno ci prova con il materiale a disposizione per creare l’abito giusto in base alle caratteristiche dei singoli. Che raramente sono le stesse da squadra a squadra”.
    Lei quale abito ha scelto per l’Empoli?
    “Le mie squadre le ho sempre schierate con la difesa a quattro, quella a tre per necessità, ma il modulo e il sistema di gioco lo determinano le caratteristiche dei calciatori: io da subito avevo tre difensori come Viti, Walukiewicz e Ismajli, e non mi sembrava né giusto e né corretto sacrificare uno dei tre per giocare a quattro. Sono partito da loro e ho disegnato il sistema migliore ragionando su centrocampista, esterni e attaccanti”.
    Cosa ha significato la chiamata dell’Empoli?
    “Vivo di rapporti umani e, dopo quanto accaduto (esonerato dal Lecce a marzo per la testata ad Henry al termine della partita contro il Verona a Via del Mare, ndc), la chiamata dell’Empoli è stata coraggiosa per quello che era successo e per me immensamente gratificante. Non me la sono fatta sfuggire, nonostante avessi altre proposte: per dimostrare la persona che sono da trentacinque anni, nonché il tecnico che sul campo penso si sia sempre ben comportato in Serie A. La cosa bella, inoltre, è che ho ricevuto tanti attestati di stima da allenatori e direttori sportivi, anche di qualcuno con cui non avevo rapporti e che mi hanno fatto ancora più piacere: li ringrazierò per sempre”.
    L’Empoli: un unicum o quasi?
    “Il presidente Corsi e la figlia Rebecca gestiscono il club da imprenditori ma come se fosse una famiglia. Qui sanno fare calcio, lo si percepisce da fuori com’è il mondo Empoli, ma solo al suo interno ci si rende conto del significato che si dà al settore giovanile per consentire ai ragazzi di arrivare in prima squadra e poi valorizzarli ancora di più. In questa maniera il club si autogestisce a livello economico con l’idea, in più, di dare spazio al maggior numero di calciatori italiani e di appartenenza Empoli. Io raramente parlo di formazione con presidente o direttore sportivo, ma prima della partita di Coppa Italia mi sono sentito di dire le mie scelte in anticipo rispetto al solito comunicando loro chi volevo far giocare a Torino: l’espressione di Corsi è valsa più di mille parole”.
    Morale: vittoria, complimenti e nuovi-vecchi gioielli in mostra.
    “Viti arriverà a livelli di rilievo. Di Fazzini già pensavo bene, ma allenandolo credo possa veramente andare molto, molto più in là dello scorso anno. Goglichidze sta avendo una crescita esponenziale, Ismajli è già pronto per un grandissimo club, e per il futuro spostato un po’ più avanti ci sono Seghetti, Marianucci e Tosto”.
    Dove e come D’Aversa vuole cambiare ancora?
    “Oltre a quello che ho detto prima, mai per due anni consecutivi ho lavorato alla stessa maniera con metodologie, tattica, sistema di gioco eccetera: l’esperienza, che si accumula con gli anni, serve per correggere gli errori fatti e perfezionare ciò che funziona bene”.
    Dieci punti in sette partite, seconda miglior difesa del campionato…
    “Stop. La salvezza rimane il primo e unico obiettivo dell’Empoli, altrimenti vorrebbe dire non aver dato valore a questi dieci punti che ci torneranno utili nei momenti di difficoltà. Lavoriamo per scongiurarli, ma ci saranno”.
    Var amico o nemico degli arbitri?
    “Le statistiche dicono che il Var ha diminuito gli errori, ma è un problema se il direttore di gara va in campo e aspetta l’intervento del Var”.
    Come si può ridurre e magari annullare la difformità di giudizio sullo stesso episodio?
    “Agli arbitri si deve dare la possibilità di andare ad allenarsi con le squadre. Faccio un esempio, se l’arbitro è di Firenze o di Empoli, potrebbe dirigere le nostre partitelle o quelle della Viola: quell’aspetto lo migliori vivendo quotidianamente il campo e le dinamiche dei calciatori”.
    Pensa di meritare una big del nostro calcio?
    “Ognuno ha ambizioni e io non faccio eccezione, ma in questo momento devo contraccambiare la fiducia dell’Empoli insieme a tutto il mio staff che è fondamentale per me: poi nella mia testa rimane l’ambizione”. LEGGI TUTTO

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    Lazio, Castellanos è trasformato: è diventato l’erede di Immobile

    Taty full time, impegno totale e a tempo indeterminato. Le convinzioni hanno cancellato le pressioni, ora non fanno più paura neanche i calci di rigore falliti. Decisivo pure nei pomeriggi storti, cos’è un errore dal dischetto rispetto a un desiderio che si concretizza? Nulla intacca più la mente o frena le aspirazioni personali. Castellanos tutto per la Lazio, stavolta anche durante la sosta, a differenza di quanto successo nella pausa di settembre. Convocato dal Senegal il compagno di reparto Dia, Scaloni al contrario non l’ha inserito nella lista dell’Albiceleste. L’argentino è rimasto con Baroni, si gestirà a Formello in vista della ripartenza del campionato, sognando altre pagine di protagonismo meritato. La partita con l’Empoli, al netto dello sbaglio dagli undici metri, rappresenta la fotografia del nuovo Taty. Il carattere non gli è mai mancato, adesso però convive con la serenità di non avere opportunità contate, con la paura di convertire quelle sprecate in esclusioni per le gare successive. 
    La Lazio si gode Castellanos
    Il rammarico si è trasformato in voglia di incidere, in prima persona o mettendosi a disposizione degli altri. Ne ha beneficiato Pedro con l’assist per il 2-1 nel finale: il Taty ha protetto palla, era spalle alla porta, si è girato e ha servito lo spagnolo nel corridoio. Tiro sotto la traversa e via ai festeggiamenti, permettendo alla squadra di arrivare allo stop per le nazionali con l’entusiasmo al massimo. Lo sguardo determinato di Castellanos è lo spirito di rivalsa di una Lazio partita tra lo scetticismo generale e che viaggia senza freni o paure, che non si pone limiti nonostante le aspettative iniziali, decisamente più basse. Ci si prende gusto a sorprendere, a forza di farlo si spostano i paletti dei traguardi raggiungibili, così l’impronosticabile si avvicina al possibile. 
    I desideri di Castellanos
    La Lazio può volare con Castellanos, è il vice-Immobile diventato erede una stagione dopo. Scacciate le tensioni, ora c’è spazio solo per le ambizioni. I numeri parlano chiaro, sono il frutto di una fiducia completamente diversa rispetto ai primi dodici mesi in Italia. Finora 5 gol nelle 8 partite disputate tra campionato ed Europa League, gli manca soltanto una rete per pareggiare il totale della passata annata, chiusa a quota 6. La soddisfazione ha preso il sopravvento sul nervosismo e sulla frustrazione. Il Taty s’è sbloccato in campo europeo, due fulmini contro il Nizza sotto al diluvio universale dell’Olimpico. In Serie A raggiungerà presto il bottino 2023-2024 (4 gol di cui 3 realizzati al Frosinone), punta a riuscirci già alla ripresa.  
    Castellanos, ora la Juve
    Davanti c’è il big match con la Juventus, terza in classifica insieme alla Lazio e colpita due volte ad aprile in Coppa Italia. Sembrava una serata magica, la semifinale di ritorno, rovinata solo dalla deviazione di Milik che spostò la qualificazione in favore di Allegri. L’attaccante biancoceleste si era scatenato tra il primo e il secondo tempo: colpo di testa per sbloccare e avviare la rimonta rispetto al risultato dell’andata (2-0 per la Juve), poi il destro incrociato scattando sul filo di fuorigioco, provando a prolungare la sfida ai tempi supplementari. Sei mesi dopo è tutto un altro Taty: più costante, più cattivo, più cinico. Più libero di sognare ed esprimere il proprio talento. LEGGI TUTTO

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    Dan e Ryan Friedkin, due americani a Roma

    Di cose buone gli americani di Roma ne hanno fatte tante, purtroppo hanno anche commesso errori esiziali – di superficialità?, per superiority complex? – creando una frattura enorme, ma sanabile, tra sé stessi e un pubblico che in 63 occasioni ha riempito l’Olimpico.
    È importante sottolineare questo aspetto – molta spesa, poca resa in termini di consenso – nel momento in cui un altro miliardario from iuessei – più precisamente italoamericano – Mario Joseph Gabelli, si avvicina alla Serie A, al Monza: mi auguro che il sangue emiliano lo aiuti ad affrontare meglio la realtà del nostro calcio, che non è un calcio comune, perché ha il suo linguaggio, talvolta poco comprensibile allo straniero, le sue dinamiche, i suoi equilibri.
    Quanto ai Friedkin, penso che, più o meno volontariamente, abbiano realizzato un’impresa titanica: in poco tempo sono riusciti a rompere con la storia recente della Roma, ossia Totti, De Rossi, Bruno Conti e Mourinho, l’allenatore che aveva saputo trovare immediatamente le coordinate per entrare nel cuore della gente e con due finali aveva portato la squadra ai primi posti del ranking europeo.
    Totti resta un caso a parte. In una Roma ideale starebbe lavorando fin dal primo giorno, mentre a quella americana sembra addirittura sgradito poiché scomodo, ingombrante.
    E invece risulterebbe utile, molto utile. Un esempio semplice: l’altra sera mi è capitato di pensare a cosa sarebbe successo a Monza se, al posto di Ghisolfi, che ha espresso la sua evidente irritazione in francese senza peraltro raggiungere lo scopo, si fosse presentato lui e l’avesse risolta con una delle sue battute in apparenza sdrammatizzanti ma efficacissime. Tipo «situazioni come questa capitavano spesso anche ai miei tempi». In un sol colpo avrebbe steso La Penna, Aureliano e compagnia cantante alleggerendo i fegati romanisti.
    Tutto questo per dire che i Friedkin – e più in generale le proprietà straniere – dovrebbero trovare il modo di dialogare con la piazza. Il calcio italiano sta subendo una colonizzazione poiché – così come in altri settori industriali – ha fame di risorse. Ma il tifoso non si accontenta dei risultati e dei conti a posto: pretende che la storia e l’essenza dei club siano comunque rispettate.
    I Friedkin sono una mano santa per la Roma: cosa ci vuole per allungare quella mano alla città, a chi paga l’abbonamento, il biglietto? Una parola semplice e irrinunciabile. Amore. Anche poco. LEGGI TUTTO

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    Perché il Pisa può essere da A

    TORINO – Dopo otto giornate, il Pisa di Filippo Inzaghi ha 19 punti, lo stesso bottino che raccolse dopo le prime otto partite il Pisa della stagione 2021/22, con D’Angelo in panchina. Paragone non casuale, si tratta delle migliori due partenze del Pisa da quando il club nerazzurro è tornato in Serie B nel 2019, due campionati che emergono su tutti gli altri, passati, compreso quello appena trascorso, nell’anonimato della classifica. Resta il fatto che, mantenendo questa media punti (ora è di 2.37 a gara), i toscani di Alexander Knaster – imprenditore britannico naturalizzato statunitense che prima del Pisa con Vialli provò a prendere la Samp da Ferrero – salgono in A in carrozza, categoria che il Pisa non frequenta dal 1991. Insomma, ora più che mai, la lunga semina del Pisa potrebbe portare a quel raccolto tanto atteso. Ci si andò vicino nel 2022, quando la squadra non seppe essere all’altezza di quel formidabile avvio di stagione. Ci si mise di mezzo anche l’esplosione di Lucca: raccolti parecchi consensi – a iniziare da quelli dell’allora ct Mancini – l’attuale centravanti della Nazionale e dell’Udinese, “sparì” per il resto della stagione, fattore che forse alla fine fece la differenza (una volta il tecnico D’Angelo arrivò a non convocarlo per motivi disciplinari). Stavolta potrebbe essere tutta un’altra storia, anche perché il gruppo nerazzurro sembra plasmato a immagine e somiglianza di Superpippo Inzaghi, uno che ad allenare in A avrà avuto i suoi grattacapi, ma che in B non sbaglia una stagione e che col suo arrivo ha risvegliato una piazza che con Aquilani era quasi andata in letargo e aspettava solo che passasse la nuttata. Eppure, la rosa non è molto dissimile da quella della passata stagione. Ma la differenza la fa la diversa conduzione. Ad esempio, Tramoni non è mai stato così forte (già 3 gol e 2 assist in 6 partite), per non parlare della crescita e della maggior centralità di un fantasista come Arena che Aquilani ingiustamente trascurava. In più, rispetto alla scorsa stagione, c’è anche l’affermazione del centravanti Nicholas Bonfanti, classe 2002, che nella scorsa stagione era arrivato a gennaio da Modena e aveva passato i primi sei mesi del 2024 ad ambientarsi nella nuova piazza. Ora Bonfanti è capocannoniere della B, 4 gol come Coda (Samp), Shpendi (Cesena), Pio Esposito (Spezia) e Thorstvedt (Sassuolo). Ma attenzione, perché nell’ultimo successo pisano, il 3-1 al Cesena col quale si sono fortemente ridimensionate le ambizioni dei romagnoli, la partita è stata sbloccata dal danese Lind, altro 2002, partito titolare al posto di Bonfanti che in settimana era stato frenato dall’influenza. Ma Lind difficilmente può essere considerato il suo rincalzo, visto che è stato il maggior investimento fatto in estate dal Pisa (circa 3 milioni) e che si sta ancora ambientando in Italia. Tuttavia, questo Pisa che guida la B con 3 punti di vantaggio sull’imbattuto Spezia e 4 sul Sassuolo terzo da solo, rischia ancora di perdere due punti, anche se nel clan nerazzurro trapela sicurezza. Ci si riferisce al caso Desogus, che ha trasformato l’1-1 della 3ª giornata, trasferta a Cittadella, in 0-3 a tavolino per il Pisa. In 1° grado, il Giudice Sportivo aveva dato ragione ai veneti e omologato il risultato del campo, nonostante nella distinta dei granata veneti non figurasse il nome di Desogus, subentrato nella ripresa. In Appello invece, dopo la lettura delle motivazioni, il Pisa si è sentito ancora più tranquillo: non solo il Tribunale ha dato due punti in più ma ha certificato che l’arbitro soltanto alla fine del primo tempo fosse stato avvisato dell’errore. E così il verdetto del Collegio di Garanzia del Coni – arriverà non prima di dicembre – non dovrebbe discostarsi da quello dell’Appello, anche per non creare un precedente pericoloso che varrebbe per ogni sport. Intanto, alla ripresa dopo la sosta per le Nazionali, il Pisa di Inzaghi sarà di scena al Druso di Bolzano, tana di questo strano Sudtirol di Valente, l’unica squadra di questa Serie B che non ha ancora pareggiato (4 vittorie e altrettanti ko): sabato 19 ottobre, fischio d’inizio alle 15, si avranno ulteriori risposte sulla solidità di questo Pisa che potrebbe davvero essere lanciato verso la Serie A. Inzaghi “fiuta” l’impresa, perché nessuno a inizio stagione quotava i nerazzurri come possibili protagonisti del campionato. E così, da par suo, subito dopo il 3-1 al Cesena ha dato la linea per il futuro: “La pressione? Non dobbiamo sentirla. Se mai, toccherà a qualcun’altro…”. Già magari, alle 4 grandi (presunte) big che a inizio stagione venivano indicate come le favorite per la A. Ma a parte il Sassuolo – comunque distanziato dal Pisa – per Palermo, Sampdoria e Cremonese finora ci sono stati soprattutto guai. Altro fattore che fa ben sperare a Pisa: se anche le big steccano, può essere davvero la volta buona che i nerazzurri, 34 anni dopo, potrebbero riprendersi quella categoria lasciata ai tempi de mitologico presidentissimo Romeo Anconetani, uno che ha fatto la storia del calcio italiano.  LEGGI TUTTO

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    La panchina chiodata

    Non ci crederete ma ieri, verso le due del pomeriggio, a Roma è ripartito il tam tam “De Rossi torna alla Roma”. I più eccentrici sono arrivati addirittura a ipotizzare l’arrivo di Klopp (…). E questo nonostante Juric abbia raccolto sette punti in tre partite, perdendo l’ottavo e il nono per una topica del Var. E – aggiungo -, mentre Daniele stava andando a Viareggio per raggiungere i compagni del Mondiale 2006 e fare una sorpresona a Marcello Lippi. 
    Proprio De Rossi rappresenta il caso più eclatante di sputtanamento artistico di un accordo di lunga durata: il 25 giugno scorso i Friedkin gli rinnovarono il contratto fino a giugno 2027, garantendo 3,2 milioni a stagione, e dopo 4-partite-4, peraltro senza il mercato in campo, l’hanno silurato sulla base di un report non particolarmente corretto, né puntuale: la fiducia è l’unico regalo che non si riceve due volte.
    Si può vivere così in panchina? Ivan “Schiaccio con macchina” Juric potrà mai lavorare con quel minimo di serenità conquistata sul campo? Possono bastare le rassicurazioni di Ghisolfi per frenare il flusso di voci e cazzate? Non è difficile immaginare che se domenica avesse perso a Monza oggi sarebbe dalle parti di Nervi o in Croazia. 
    E questo per quanto riguarda Juric, 348 panchine in carriera. Ma vogliamo parlare di Fonseca? Approdato al Milan dopo che Lopetegui era stato cassato dalla tifoseria e Allegri non aveva più sentito Cardinale, il portoghese ha mostrato nelle settimane più complicate il volto delle migliori occasioni, confermando di possedere una grande signorilità, oltre a una società fragile alle spalle, troppo fragile e poco centrata.
    Non è sufficiente confermare a parole un professionista nel momento in cui viene attaccato da ogni parte: servono una comunicazione efficace e un’assunzione di responsabilità assai prossima alla condivisione delle stesse.
    Trascuro i confronti che ci accompagneranno tutta la stagione: Motta-Allegri, Italiano-Motta, Fonseca-Pioli, Baroni-Sarri. Anche questi improbabili: le campagne acquisti modificano sostanzialmente la struttura delle squadre. Fanno tuttavia parte del gioco (al massacro) e non sono eliminabili.
    L’Italia è calcisticamente un Paese i cui disturbi dell’umore sono, come detto, collegati al risultati: i media hanno le loro colpe, l’esplosione della rete ha aggravato la situazione, al punto che ci sono manager che passano le giornate sui social per prendere la temperatura al tifoso.
    Il problema principale è – lo ripeto ormai da anni – proprio lo scadimento della qualità dei dirigenti, da questo punto di vista la moltiplicazione delle proprietà straniere ha peggiorato sensibilmente le cose.
    Oggi Galliani e, su piani differenti, Corvino sono fenomeni paranormali in grado di fare tre giri attorno a qualsiasi dirigente algoritmico, e anche per questo Beppe Marotta, con i suoi 40 anni di esperienza ad ogni livello, è capace di vincere, ripetersi e uscire intonso da qualsiasi situazione, anche la più scabrosa. LEGGI TUTTO

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    Tedesco: “Bravo Lukaku, a Napoli sarai come a casa”

    «Spero che Lukaku sia con noi a novembre, ma vedremo. Dipende da lui, dalla sua forma fisica. Al momento difficilmente riesce a tenere novanta minuti». Sono state queste le parole di Domenico Tedesco, ct italiano della nazionale belga che fra due giorni affronterà l’Italia, quando ha spiegato l’assenza del centravanti per lasciare spazio ad altri. Forse non sarà ancora al top della condizione, considerando che ha saltato la preparazione estiva e ora Antonio Conte, tecnico del Napoli, sta cercando di riportarlo ai massimi livelli. «Romelu è assolutamente un top player», spiega Tedesco, 39 anni, calabrese di Rossano. «Oltre a essere una persona fantastica e un leader naturale. È un giocatore che tutti gli allenatori vorrebbero ed è ottimo per qualsiasi squadra. Sono molto felice che abbia scelto il Napoli, dove può sentirsi a casa, con un allenatore come Antonio Conte che crede in lui e viceversa. Queste sono già delle ottime condizioni di partenza». 
    Giovedì a Roma si troverà di fronte l’Italia, quali sono i suoi sentimenti per questa partita? «Per me è una partita davvero speciale, non vedo l’ora che arrivi. Dire altrimenti significherebbe dire una bugia, sono nato in Italia e continuo ad avere la famiglia lì. Quando poi sono cresciuto in Germania, c’era uno spettacolo televisivo domenicale chiamato “Ranissimo” che mostrava il calcio italiano. Io attendevo sempre, ogni settimana, quel momento».
    Che gara sarà? «Sarà una partita difficile contro una delle migliori nazionali d’Europa. L’Italia sta capitanando il gruppo con due vittorie in due partite, di cui una contro la Francia a Parigi. Penso che questo dica tutto sulla possibilità di qualificarsi. Dovremo giocare al nostro meglio». 
    È mai stato contattato da club italiani? «Ci sono stati alcuni contatti nel passato, nel corso degli anni. Non voglio dire molto di più: se un club chiede di parlare con me può stare sicuro che le discussioni sono confidenziali. Non è un segreto che vorrei lavorare in Serie A, un giorno. Ma non ho idea del se e del quando potrà accadere. Attualmente sono completamente assorbito dal ruolo di commissario tecnico della nazionale belga. E mi sto divertendo molto».
    Si è parlato anche di Atalanta dopo il quarto di Europa League con il Lipsia… «Come ho detto prima, non ho l’abitudine di commentare certi rumors, non importa quale club sia, né se è la verità oppure no. A parte questo, credo che Gian Piero Gasperini stia facendo un grandissimo lavoro in questi anni. Ho il massimo rispetto per lui e per quello che sta raggiungendo con il suo staff e la sua squadra a Bergamo».
    Parliamo del Belgio: la sua generazione d’oro può raggiungere qualcosa nel 2026? «Abbiamo incominciato a cambiare un anno e mezzo fa. Stiamo provando a dare continuità, abbiamo tantissimi talenti che possono avere una grande carriera. Siamo in un processo di miglioramento, questo significa che non tutto possa funzionare nella stessa maniera e ci possono essere alcune fluttuazioni nel rendimento. È assolutamente normale, ma in ogni caso sono felice di allenare questa nazionale, così giovane».
    Qual è la valutazione di Charles De Ketelaere con l’Atalanta? «È un grande giocatore, non ci sono dubbi, che sta migliorando in maniera superba e occupa un ruolo importante in nerazzurro. Sta giocando a livelli molto alti per un lungo periodo e sta migliorando costantemente. Mi sta impressionando molto».
    Il Parma ha appena preso Mandela Keita, espulso in pochi minuti all’esordio contro l’Udinese… «È uno dei grandi talenti che ho menzionato prima, perché ha vinto il double da titolare con l’Anversa, pur essendo un giocatore molto giovane. È già stato con noi in nazionale e lo seguiamo con molta attenzione».
    Il nome nuovo può essere quello di Mbangula della Juventus. Lo conosceva prima del suo esordio in Serie A? “Sì, abbiamo seguito la sua evoluzione per un periodo di tempo. Ha già giocato alcune partite con la nostra nazionale giovanile nel passato, ultimamente con l’Under 21. Siamo molto felici che riesca a ritagliarsi uno spazio con la Juventus, è un talento enorme e un esempio dell’eccellente modo di lavorare delle giovanili in Belgio. Ci sono veramente tante ali tecniche qui».
    Se potesse togliere qualcosa all’Italia, cosa sarebbe? Ride. «Non è una domanda facile. Io amo la mia squadra e i miei giocatori, sono orgoglioso di essere il commissario tecnico del Belgio. Però posso dire che ho un grande rispetto per Luciano Spalletti, un tecnico straordinario con esperienza e con un ottimo palmares. Abbiamo già parlato con lui delle qualità delle nostre nazionali, ma l’Italia è una squadra organizzata, con disciplina tattica. Per vincere devi fare molte cose giuste».  LEGGI TUTTO