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Di Maria, famiglia e fede: i pilastri dell'Angel Juve

Famiglia e fede. Tanto del mondo di Angel Di Maria ruota intorno a questi due elementi. La famiglia di origine, prima di tutto: papà Miguel, calciatore mancato a causa di un infortunio al ginocchio e costretto a spezzarsi la schiena in una miniera di carbone, mamma Diana che lo aiuta, come le due sorelle, Vanesa ed Evelyn, e lui stesso, a distribuire legna e carbone arrivando spesso agli allenamenti con le mani sporche e con qualche piccola ferita. È il medico di famiglia a consigliare lo sport a quel bambino così gracile, da meritarsi il soprannome di Fideo, spaghetto, ma iperattivo tanto che in casa spacca tutto.

A 6 anni viene iscritto al piccolo club El Torito dove viene accompagnato agli allenamenti dalla mamma – che gli ha salvato la vita quando a un anno è caduto in un pozzo – in bicicletta, e dove viene subito notato dagli scouting del Rosario Central che offrono 26 palloni per il bambino, promessa però non mantenuta. Quando, a 19 anni, arriva la chiamata del Benfica, ai genitori Angel dirà: «Adesso basta, a voi ci penso io» ricordando i sacrifici e le tante rinunce patite dalla famiglia, anche soltanto per comprargli un paio di scarpe da calcio. E poi c’è la famiglia che el Fideo ha messo su, il legame strettissimo con la moglie, Jorgelina Cardoso, conosciuta nel 2009 e spostata due anni dopo, e le due figlie Mia, di 9 anni, e Pia di 5.

Un rapporto speciale tanto più che la coppia ha rischiato di perdere Mia, nata prematura, a solo sei mesi. I medici le avevano dato il 30 per cento di possibilità di sopravvivere, ma la neonata ce l’ha fatta. Alla moglie e ai figli dedica ogni momento libero, tanto da raccontare che con loro si allena più che in campo perché lo tengono costantemente in movimento. A dargli la forza per stare accanto alla figlia Mia nei momenti difficile e lottare insieme a lei è stata anche la fede: Di Maria è molto credente e ha anche tatuato il volto di Gesù sul polpaccio. Ma non è l’unico: prima di partire per l’Europa, ingaggiato dal Benfica, insieme con sei amici d’infanzia si era fatto tatuare sul braccio sinistro la frase «Nascere a El Perdriel è stata e sarà la cosa migliore che mi sia mai capitata in vita mia», rivendicando le origini umili di chi nasce in un quartiere disagiato di Rosario. L’ultimo tatuaggio risale invece all’anno scorso, quando si è tatuato sulla coscia la Coppa America, conquistata dall’Argentina anche grazie al suo gol.

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Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a


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