Nicolas Burdisso freme. Ha voglia di rientrare in pista. Gli manca il calcio, si è preso solo una pausa, ha continuato ad aggiornarsi per poter tornare sul ponte di comando. Sì, perché Nicolas è un leader. Lo era in campo, lo è anche da dirigente. Uno che prende decisioni e si assume le responsabilità. Ha contribuito a costruire la Fiorentina che – assicura – è destinata a crescere ancora. «Ho fatto tanti incontri, non solo in Italia. Voglio tornare in Europa, perché in Argentina, dopo il Boca, non potrei lavorare in nessun altro club». C’è tanta Italia nella sua carriera. Cominciata nell’Inter, che lasciò per diversi mesi per curare la figlia. «Sono grato a Moratti, è stato un gran signore. Gli faccio gli auguri per gli 80 anni, ha fatto una festa, ero invitato, ma non sono potuto andare. Adesso mia figlia sta bene, ha 22 anni e si sta laureando, è felice e noi siamo felici con lei».
Tre anni alla Fiorentina, un grande lavoro che ha lasciato il segno.
«Mi chiamarono Pradè e Barone, avevano bisogno di una figura tecnica, stavo valutando diverse offerte, avevo fatto tanto scouting. In quel periodo ho conosciuto Italiano, l’ho proposto subito. Quando sono arrivato, la Fiorentina stava lottando per non retrocedere, poi abbiamo intrapreso un nuovo percorso, abbiamo fatto diversi acquisti, alzando il livello tecnico. Sono stati tre anni molti importanti, abbiamo giocato quasi 60 partite a stagione. Sono andato via ma mantengo bellissimi rapporti».
Adesso la Fiorentina rischia di restare fuori da tutto.
«Ha ancora margini di crescita, i prossimi anni saranno decisivi, il centro sportivo è qualcosa di unico in Italia. La piazza di Firenze è speciale, bisogna dare il 101 per 100. Credo che il percorso sia giusto, la Fiorentina si è fermata prima della finale di Conference e se avesse vinto a Venezia sarebbe ancora in corsa per la Champions. Presto arriverà anche lo stadio nuovo, c’è una società ambiziosa, bisogna fare i risultati per far quadrare i conti, ma questo loro lo sanno».
Un bel feeling con Pradè, conosciuto a Roma.
«E’ uno dei più esperti dirigenti italiani, per me è stata una fortuna lavorare con lui. Mi ha dato tanta libertà sotto l’aspetto tecnico e gestionale della squadra, ero libero di scegliere. La gestione della squadra è una delle cose che so fare meglio, so cosa sono i mercati, le trattative, i giocatori mi riconoscono esperienza e carisma. Ma il rapporto con gli allenatori è il mio punto forte. Sono soli, vanno supportati. Sono contento per Italiano. La Coppa Italia è il giusto premio per la sua carriera, meritava un trofeo anche quando era con noi. In tre anni ha fatto una crescita pazzesca. Sia nel saper evolversi nelle due fasi, sia nella gestione. Per la prima volta nella sua vita ha fatto le coppe: è un calcio completamente diverso, devi fare due squadre, una per la domenica e una per il giovedì. Ha imparato tanto. Con Pradè abbiamo supportato il suo percorso. Da dirigente non ho mai cambiato allenatore, né alla Fiorentina, né al Boca».
Una grande esperienza anche alla Roma. Uno scudetto sfiorato, ma nessun trofeo.
«E’ uno dei miei grandi rimpianti. Due volte secondi e due finali di Coppa Italia perse. Meritavamo di vincere qualcosa. Ma la Roma tornerà a vincere».
Si diceva che saresti potuto tornare a Roma con De Rossi.
«Voglio essere chiaro: non c’è stato nulla di concreto. Certo, ho un bel rapporto con Daniele, come con Luis Enrique, con Spalletti, Gasperini e Mourinho, altri allenatori con i quali ho lavorato».
A proposito di Gasperini: si parla di lui alla Roma.
«Penso sia adatto alla piazza, per il tipo di calcio che propone e per i metodi di lavoro. Ma bisogna supportare le sue richieste per i profili di calciatori di cui ha bisogno per sviluppare il suo gioco. Bisogna portargli gli interpreti giusti, lo conosco molto bene, ha bisogno di giocatori fisici, aggressivi, che sappiano giocare in verticale. La società dovrebbe costruirgli la squadra secondo le sue richieste».
Che idea si è fatto di questa stagione della Roma?
«Io sono condizionato per due motivi. Innanzitutto per l’amicizia con Daniele. Il suo posto è lì, prima o poi tornerà. E poi sono condizionato dal grandissimo lavoro che ha fatto Ranieri. La squadra è forte, va migliorata, ma Claudio si è superato. Lo conosco molto bene, ha posto le basi per sperare in un futuro molto positivo».
Dybala e Soulé, due tuoi connazionali che hanno lasciato un’impronta in questa stagione.
«Paulo è un giocatore che tutti vorrebbero in squadra, quando è in campo cambia le partite. Quando la Roma ha dovuto reagire, Paulo ci ha messo la faccia. Soulé è un grande talento, ha le idee chiare, ha scelto lui di andare a Roma e poi di restare. E’ destinato a fare bene, ma dipenderà anche dalla Roma».
Come finirà questa stagione?
«Per la finale di Champions faccio il tifo per l’Inter e per il calcio italiano. L’Inter è una squadra veramente forte, ma non sarà facile, dall’altra parte c’è un amico come Luis Enrique. I nerazzurri hanno fatto un percorso giusto, non devono avere rimpianti. In ogni caso non sarà un anno buttato via. In campionato ha avuto un avversario tosto, perché c’è tanto di Conte nei risultati del Napoli. Lo conosco bene. Mi è stato vicino dopo un grave infortunio e avrei voluto portarlo al Boca. Lui si sentiva vicino a quella realtà, ma non ha potuto liberarsi dal Chelsea».