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Chiellini: “Comolli, descrizione un po’ distorta. Il mercato Juve? Neanche Moggi negli anni ’90…”

Calcio italiano, Champions ed evoluzione

Il calcio italiano manca di managerialità? 
«Sì, ma occhio che manca anche all’estero. Siamo sempre molto severi nel giudicare a casa nostra, ma non è che all’estero stiano molto meglio, sfruttano buone scelte fatte in passato o club che vanno oltre qualsiasi momento di crisi. Penso alla Spagna o all’Inghilterra. I problemi ci sono anche lì e sono palesi. Tutte le dinamiche del Barcellona non sono indice di grande managerialità, ma il Barcellona è un club mondiale, che ha un seguito globale e, anche se ora sta sistemando le cose, errori in passato ne ha commessi, altrimenti non si ritroverebbe in quella situazione. Anche la Premier, che ha una potenza enorme per i diritti tv, sta comunque affrontando problemi economici, forse legati a qualche errore di managerialità. Quindi non per forza siamo messi peggio degl i altri da qual punto di vista. È chiaro che il nostro valore internazionale sta andando sempre più giù e il rischio è di non essere più competitivi a livello internazionale e questo provochi un livellamento verso il basso di tutto il calcio italiano. Poi se ti dicessi che ho un piano sarei presuntuoso e bugiardo, ma stiamo cercando di combattere questo». 
 
Del Mondiale per club ne parleremo tra vent’anni, nello speciale per i cento anni di Tuttosport, oppure sarà un episodio curioso nella storia del calcio? 
«Per me è la prima di una lunga serie di edizioni. Sicuramente, un torneo che in Italia si è apprezzato un po’ meno per il fuso orario non è stato vissuto così intensamente. Io ero negli Usa e mi sono visto tante partite belle, che non avevo mai visto e la possibilità di confrontarsi con il calcio sudamericano e con le loro tifoserie mi ha emozionato. Ne ho parlato con Wenger e Infantino, l’idea di vedere un torneo del genere, chessò, a Londra e sobborghi, nei mesi di giugno e luglio, con temperature più fresche e distanze ridotte, credo sia un sogno per qualsiasi tifoso che può vedere calcio dal mattino alla sera. È un torneo bello per chi ama il calcio, poi gli Usa avevano logistiche difficili, quindi è da capire bene dove rifarlo. La finale è stato uno spettacolo a 360 gradi bellissimo, ero in presenza e me lo ricorderò tra tanti anni». 
 
Da tifoso guardava la Coppa dei Campioni, da giocatore ha partecipato alla Champions, poi ha assistito a un’ulteriore evoluzione della Champions. Prossimo step? 
«Io sono partito alla Coppa dei Campioni in cui ci andava uno solo, il campione, appunto, con l’eliminazione diretta. E poi ho visto l’evolversi a due, tre, quattro… Io non sono un nostalgico e mi piace molto questo nuovo torneo, anche se mi rendo conto che vada aggiustato perché i calendari si stanno affollando e complicando, ma trovo che sia un torneo bello, che ha dato adrenalina e quell’ultima giornata del girone è piaciuta a tutti e ha appassionato tutti. Poi, cambieranno ancora le cose, ma è normale che sia così, è naturale». 
 
Parliamo della sua, di evoluzione. Non tutti hanno capito cosa fa, molti si aspettano che lei comandi sulla Juve in modo assoluto. Spieghiamo la cosa un po’ meglio? 
«Io sono entrato in società l’anno scorso e ho seguito la parte istituzionale e ho scoperto un nuovo mondo che va oltre il campo, come Lega, Federazione e istituzioni internazionali come Eca e Uefa, scenari che credo sia giusto conoscere per avere una preparazione più completa. Poi ci sono dinamiche interne, tante persone che conosco da anni, ma un conto è conoscerle e un conto è lavorare con loro tutti i giorni. Quella l’ho iniziato a fare l’anno scorso e continuerò a fare quest’anno, entrando in una parte della Juventus poco conosciuta, ma è che è il motore di quell’altra Juventus. Prima bisogna conoscere come funziona una macchina, poi si possono avere opinioni e dare idee, altrimenti sarebbe presuntuoso e controproducente. Poi c’è il campo e sono sempre stato a supporto delle persone che c’erano l’anno scorso e lo sono quest’anno. È un processo che non mi piace affrettare o saltare, ma resto sempre a disposizione di tutti. Come ha specificato Damien, non partecipo alle scelte di mercato, ma non c’è una persona sola al comando della Juventus, siamo un gruppo che lavora e collabora insieme per cercare di ottenere il massimo. Neanche ai tempi di Andrea Agnelli c’era un uomo solo al comando, perché anche lui delegava molto alle persone sotto di lui. Sarà sempre così». 
 
Una scelta di mercato da quante persone viene condivisa in una società come la Juventus? 
«Dipende dall’importanza della scelta. Anche la proprietà viene coinvolta nelle più importanti. Il mercato da solo non lo fa nessuno, neanche Moggi negli Anni 90, se parli con Giraudo… Poi logico il direttore sportivo si prende la responsabilità della scelta tecnica, come l’allenatore della formazione che manda in campo. Ma alla Juventus non c’è mai stato il presidente che faceva le scelte da solo». 


Fonte: http://www.tuttosport.com/rss/calcio/serie-a

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