Deve averci giocato la promozione del Livorno in C: troppo vicino. Per mantenere le distanze, un passo avanti e salto in serie A. E in ogni caso è giusto dirlo: il Pisa torna dove deve stare Pisa. Nella serie A di tutto. Perché questa città è bella da togliere il fiato (prova a farci un giro verso l’imbrunire, con le prime luci accese, dal Lungarno aristocratico fino a piazza dei Miracoli, allora capirai che non c’è bisogno di altre spiegazioni). E poi Pisa è l’aeroporto principale della Toscana, è una delle mete turistiche più sognate al mondo, ha due università che mettono soggezione (Scuola Normale Superiore e Scuola Superiore Sant’Anna), è un polo ospedaliero e sanitario da leccarsi le dita. Poche chiacchiere: Pisa ha tutto per stare in serie A, le mancava solo la squadra di calcio. Adesso il cerchio si chiude e si ricomincia a ragionare. Ma ce n’è voluta, dannazione. Mai dimenticare da dove si viene, men che meno adesso, nel momento dei caroselli e dei salti nelle fontane: con una solida memoria, il presente diventa ancora più forte e struggente.
Erano gli anni Ottanta, il Pisa significava Arena Garibaldi, lo stadio unico al mondo che praticamente prendeva l’ombra lunga della Torre Pendente, e significava Romeo Anconetani, presidente di Sangue&Sentimenti del genere che ha fatto la storia italiana, tra umanità passionale, carisma a maniche rivoltate e doverose imitazioni in “Mai dire gol”, quando “Mai dire gol” era la Cassazione del calcio disincantato e autoironico (sì, ci fu un tempo in cui l’ironia nel calcio era possibile). Era un bell’andare. Poi quegli equilibri instabili, tra gestione individuale e scelte istintive, a un certo punto presentavano sempre il conto, e per Pisa la sirena dell’allarme suonò nel 1991, con la retrocessione. Anche quella volta si pensò va bene, ci sta, non siamo la Juve, non facciamone un dramma, si fa presto a risalire. Invece no, non va sempre così. Può essere anche una fine, la fine di un metodo, di un’idea, di un mondo. Poi c’è solo e sempre quaresima, con qualche soggiorno pure all’inferno, un lungo tempo pieno zeppo di grane cosmiche, fino allo sprofondo più umiliante: come si legge tra le carte ufficiali, «nel 2009 il Pisa Calcio viene escluso dai professionisti dalla CO.VI.SOC. per dissesto patrimoniale e viene fondata una nuova società che assume la denominazione di Associazione Calcio Pisa 1909 in soprannumero in Serie D». Quella volta, sembrava a tutti che la Torre pendesse un po’ di più. Dopo, un lento risalire. Molto lento. Bisogna arrivare al 2015 perchè dagli scossoni sismici riparta un vero Rinascimento. E’ la stagione della promozione in B di Ringhio Gattuso. Quindi arriva l’estate 2016 in cui lo stesso Ringhio a luglio si dimette per disaccordi e poi dopo il tormentato ribaltone societario in settembre torna al suo posto, peraltro per retrocedere, d’altra parte le belle storie non hanno sempre il lieto fine. Eppure lasciano sempre qualcosa. Di quella volta resta agli atti che Gattuso diventa per acclamazione popolare il Guerriero Pisano. Come sempre, come ovunque, Ringhio ci mette tutto quello che ha, cuore e cervello, ma a un certo punto anche qualcosa di più, dei soldi suoi: all’Ofi Creta per pagare gli stipendi ai giocatori, qui rinunciando alla buonuscita finale per pagare i suoi collaboratori, in un tripudio di commenti e di colore per rimarcare il contronatura. Lo snodo Gattuso coincide, proprio nel 2016, con lo snodo decisivo e definitivo della martoriata vita pisana: là dove una volta imperversava il romeismo di Anconetani, arriva Giuseppe Corrado. Imprenditore e manager di varie ed eventuali, dalla Barilla a Fininvest, con un passato nella giovanili della Juventus (assieme a Gasperini), prende in mano la situazione e un decennio dopo vediamo il risultato. Oltre che diventare presidente esecutivo, Corrado prende il 25 per cento della società. Alle sue spalle, tipo Bergamo dove il paperone americano Pagliuca delega ai Percassi, dal 2021 c’è col restante 75 per cento il tycoon stelle e strisce (origini russe) Alexander Knaster, subentrato nel 2021 al primo socio di Corrado, Enzo Ricci.
Tra i 400 uomini più ricchi del globo, Knaster si gode Forte dei Marmi da 15 anni e adora la Toscana. Inevitabilmente, non può non adorare Pisa. Ed è per questo che il solo sentire città di serie B, squadra di serie B, gli scatena l’orticaria. Così si spiega l’investimento, così si spiega Inzaghi, così si spiega il delirio di queste ore. La stella polare è sempre quella, la stessa che ormai illumina tutte le nuove gestioni del calcio: il Pisa deve stare in serie A, ma deve starci con le sue gambe. Niente soldi a vanvera, niente follie. Con un punto fermo: lo stadio nuovo sì, ma sempre e comunque Arena Garibaldi, certo rimessa a nuovo, certo comodosa e bomboniera, ma neanche a immaginarlo di perdere l’ombra della Torre.
Poi, arriverà il momento del mercato e di tutto il resto. Buoni giocatori qui ne sono sempre passati. Simeone e Dunga, ma prima anche il Tardelli degli inizi, e poi anche Bonucci. Il presidente Corrado, parlando una volta con “Calcio e Finanza”, proprio riferendosi a Bonucci chiarì come non ci sia nessuna intenzione di buttarsi negli acquisti-propaganda. «Qualche tempo fa ho incontrato Bonucci al mare e mi ha detto: non sei stato di parola, avevi promesso che avrei giocato ancora nel Pisa prima di smettere… Ma io gli ho risposto: quando te lo dissi pensavo che fossi ancora forte… ».
A occhio e croce, Pisa e il Pisa non hanno la minima intenzione di mettere in piedi il cimitero degli elefanti. Dovere civico: tanta bellezza merita solo bellezza.