Canto libero, inno, epinicio, oro, incenso e mirra per il nuovo condottiero azzurro, Rasmus Winther Hojlund, danese di Copenaghen, di anni 22, di centimetri 191 e di chili 86, miglior prodotto di papà Anders calciatore e di mamma Kirsten atleta, fratello maggiore dei gemelli Emil e Oscar che corrono anch’essi dietro a un pallone, innamorato di Laura Rhod Sondergaard, capelli biondi da accarezzare, ultimo ma non ultimo tra i calciatori danesi in Italia.
Inno ai calciatori danesi del tempo antico, calciatori garbati che hanno lasciato ricordi cordiali, presenze di tecnica raffinata, Pilmark e Jensen che ressero il Bologna degli anni Cinquanta, Karl Aege Praest al quale Bepi Casari parò un tiro col sedere evitando che la Juve andasse sul tre a zero e così favorendo la clamorosa rimonta del Napoli (3-2) in una indimenticabile partita al Vomero, il delizioso Helge Bronée che il principe Raimondo Lanza di Trabia pagò 40 milioni nel 1950 per regalarlo al Palermo e perché palleggiasse nel suo giardino per la gioia degli occhi principeschi. Inno deferente ai fratelli John e Karl Hansen nelle striminzite magliette juventine del dopoguerra, a strisce sottili, ed ora, meglio nutrito e palestrato, Rasmus Hojlund segna un’epoca diversa di calcio atletico e prepotente, un danese di stazza e di furore fu certamente, a metà degli anni Ottanta, Preben Elkjaer che vinse lo scudetto col Verona e, dopo avere segnato un gol perdendo una scarpa, si prese il nomignolo di Cenerentolo. Ode, panegirico ed elogio di Rasmus Hojlund che ha i quadricipiti voluminosi di Vinicio e il piede da gol di Hasse Jeppson, per dire che Rasmus nelle sue solide sembianze ricorda i centravanti d’un tempo lontano, quando Berta filava e il Petisso fumava, i frombolieri dei resoconti fantastici del pallone di cuoio, guerrieri del gol, duellanti rusticani contro difensori arcigni e di pesanti risorse.
Elogio ed encomio della faccia larga e possente di Rasmus Hojlund che sembra scolpita nella roccia, una faccia da Arnold Schwarzenegger, occhi azzurri e grigi, i colori cangianti dei canali di Copenaghen, che ne esaltano la ferocia agonistica, occhi grandi quando la faccia di Rasmus si dilata nella gioia irrefrenabile del gol, Epaminonda che sbaraglia gli spartani, San Giorgio che abbatte il drago, Ercole che vince sul leone di Nemea. Celebrazione del caso e delle coincidenze infortunistiche del pallone che cambiano destini e centravanti nel ricordo del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro di Arkadiusz Milik che bloccò l’attaccante polacco e, al suo posto, rivelò al mondo Dries Mertens di un metro e sessantanove, centravanti tascabile e irresistibile, artista dei gol di fantasia e sentimento, cannoniere assoluto della storia azzurra, e dell’infortunio dell’immenso Romelu Lukaku quest’anno, a metà agosto, nell’amichevole contro l’Olympiacos, colpito alla coscia sinistra, che ha richiesto l’ingaggio immediato di Rasmus Hojlund, sottraendolo allo United, sulla sponda malinconica di Manchester, e, sopravanzando l’interesse di Juventus e Milan, l’ha catturato di là del fiume Volturno e tra gli alberi del Napoli Training Center.
Ode all’emergenza che produce sorpresa e meraviglia e che lanciò sulla scena Mertens nove anni fa e Hojlund nel primo giorno di settembre, a campionato iniziato, soluzioni urgenti e fortunate per andare avanti meglio di prima. Riepilogo lirico della carriera di Rasmus Hojlund nelle giovanili del Brondby e del Copenaghen a 17 anni, primi gol da professionista a 18 anni ingolosendo il club austriaco dello Sturm Graz che lo prese per 1,5 milioni di euro, facendo un grande affare perché, in capo a una stagione, lo girò all’Atalanta per 17 milioni (s’era fatto male Zapata, altro infortunio, altro giro di centravanti). Peana ed esaltazione dei trasferimenti clamorosi. Rasmus Hojlund è merce pregiata, vale oro e frutta plusvalenze da capogiro. L’Atalanta dopo solo un anno lo cede al Manchester United per 74 milioni. Ma nel vecchio Old Trafford, 115 anni di vita, definito il Teatro dei sogni all’epoca di Bobby Charlton, c’è la nebbia della decadenza dei diavoli rossi, i Red Devils di Manchester, che sprofondano in classifiche deludenti, ormai negati ad ogni gloria e trionfo. Ode alle difficoltà di Rasmus Hojlund a Manchester, fra allenatori che vanno e allenatori che vengono, Erik ten Hag, Ruud van Nistelrooy e Ruben Amorin, in un clima di follia del club di proprietà della miliardaria famiglia americana Glazer e di sir Jim Ratcliffe, azienda chimica britannica con patrimonio di 22,9 miliardi di dollari, che spendono e spandono e ignorano Rasmus Hojlund perché in un sol colpo acquistano tre nuovi attaccanti, lo sloveno Benjamin Sesko dal Lipsia per 85 milioni, il camerunese Bryan Mbeumo dal Brentford per 75 milioni e il brasiliano Matheus Cunha dal Wolverhampton per 74 milioni. Coro di esaltazione e giubilo nel golfo azzurro per l’arrivo di Rasmus Hojlund che non ha più spazio a Manchester e lo United accetta l’offerta del Napoli di prendersi il centravanti danese in prestito per 5 milioni di euro con riscatto fissato a 45 milioni, totale 50 milioni, quanto il Napoli non ha mai speso per un centravanti dopo Osimhen, Cavani dal Palermo nel 2010 venne pagato 17 milioni, Higuain dal Real Madrid nel 2013 costò 37 milioni.
Ode conclusiva ed epinicio sentimentale per Rasmus Hojlund che trova a Napoli l’occasione del rilancio, sottoposto da Conte ad allenamenti mirati per farne un centravanti completo, non solo un percussionista del gol, ma attaccante che lega nutrendo la manovra offensiva, rientra e attacca lo spazio, sfruttando come sa quella sua abilità di appostamento nell’area di rigore che lo trova sempre al posto giusto nel momento giusto per spingere la palla in rete, così com’era capace di fare Pippo Inzaghi, gatto magico nelle aree avversarie. Inchino devoto a Rasmus Hojlund che arriva e segna di forza e di abilità nel giubilo del Maradona, invitato al gol da De Bruyne e da un popolo festante, centravanti che ricorda i frombolieri del passato per esuberanza fisica, resistenza e contatti, duelli rusticani e quella faccia di Arnold Schwarzenegger che allarma i difensori avversari e li annichilisce nell’urto di muscoli prorompenti e l’inesorabilità delle conclusioni, Hojlund Hojlà.