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    Inter, il messaggio di Lautaro: “Fa molto male, abbiamo fatto tutto il possibile”

    Dopo la sconfitta nella finale di Champions League, Lautaro Martinez è tornato a parlare della partita contro il Manchester City. L’attaccante dell’Inter ha pubblicato un messaggio sul suo profilo Instagram: “Fa male, molto male. La delusione per non aver riportato la coppa a casa è grande – ha esordito il numero 10 nerazzurro. Abbiamo fatto tutto il possibile per potervi regalare questa gioia, soprattutto a voi tifosi che siete sempre al nostro fianco. Sono molto orgoglioso di questa squadra, perché nonostante le difficoltà e i momenti negativi di questa stagione abbiamo sempre continuato a lavorare intensamente e in silenzio per raggiungere gli obiettivi e per portare l’Inter più in alto possibile dove merita di stare, come insegna la sua grande storia. Vi garantisco, ce l’abbiamo messa tutta. Torneremo più forti. Grazie ragazzi, grazie staff, grazie tifosi, grazie Inter”.

    Darmian: “Meritavamo tutti questa vittoria, torneremo a lottare con amore”

    Nella mattinata di lunedì anche Matteo Darmian ha pubblicato un post sul suo profilo Instagram: “Fa male, dannatamente male. Soprattutto quando sei da solo, immerso nei tuoi pensieri, che ripensi a quanto eri vicino a realizzare quel sogno che hai da quando hai iniziato a dare i primi calci al pallone. Ce lo meritavamo tutti… NOI per il sudore, la voglia e la fatica fatta in questo splendido percorso, VOI che nel bene e nel male siete sempre lì a sostenerci e lo sarete anche il prossimo anno quando torneremo in campo a lottare con amore e dedizione per continuare a sognare, insieme”. LEGGI TUTTO

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    Juventus, Di Livio e Calciopoli: “Moggi colpito per far tacere tutti”

    Angelo Di Livio, 269 partite, 3 scudetti, 1 Coppa Italia, 2 Supercoppe italiane, 1 Champions League, 1 Supercoppa europea e 1 Coppa Intercontinentale nella Juventus: che cosa significa farne parte? «La Juve è grande responsabilità e grande orgoglio: queste sono le due parole che voglio mettere dentro al grande calderone bianconero. Grande responsabilità perché vesti una maglia importante: se non dai tutto quello che devi dare ti mandano via. Grande orgoglio perché sei altamente competitivo e giochi sempre per vincere». Qual è il ricordo più significativo della sua carriera per spiegare che cos’è la Juventus? «E’ molto semplice, il concetto di Juventus te lo inculcava Boniperti: “se arriviamo secondi abbiamo perso” era il benvenuto che dava a tutti i nuovi arrivi in casa bianconera. E poi lo ripeteva a tutti pressoché ogni giorno… Immaginatevi la responsabilità che sentivi, però erano parole che ti caricavano tantissimo». Che cosa ha di differente la Juventus dalle altre società? «È difficile spiegare le differenze perché per me quando ero alla Juventus tutto era magico, tutto brillava d’oro: la maglia che indossavi, l’ambiente, l’organizzazione, il gruppo, straordinario, guidato prima da Trapattoni e poi da Lippi. Senza dimenticare i tifosi: in ogni luogo dove tu andassi trovavi sempre tifosi del posto che ti seguivano. L’insieme di tutte queste cose creava un mondo particolare e unico. A livello invece di qualità, ai miei tempi soltanto il Milan di Berlusconi si avvicinava alla nostra Juve: ci somigliava un po’ perché era vincente, ma era ancora un gradino al di sotto». Qual è il dirigente della Juventus che ne ha più incarnato lo spirito? «Per me rimane Moggi, è stato il dirigente che incarnava la cattiveria agonistica della Juve. E con lui tutta la triade, Giraudo e Bettega: sono stati formidabili per competenza, professionalità, unione, erano perfettamente amalgamati come dirigenti. Davano un segnale forte alla squadra. Mi spiace per Calcipoli: hanno voluto colpire Moggi per fare tacere tutti, il sistema era sbagliato, ma Moggi non era certo l’unico a farlo e tutti lo sapevano». Che cosa non deve fare mai un giocatore, un dirigente e un allenatore della Juventus? «Non deve mai comportarsi male, deve essere sempre un professionista, arrivare un’ora prima all’allenamento e rimanere in campo un’ora dopo la fine della seduta, curare i particolari, avere un rendimento costante. Poi il giudice sarà il campo. Alla Juve ti danno tantissimo, ma giustamente pretendono tantissimo». LEGGI TUTTO

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    Mazzocchi, da fruttivendolo a terzino che piace alla Juve

    TORINO – La Juve insegue per la fascia destra Pasquale Mazzocchi, classe ‘95, terzino della Salernitana che viene considerato un talismano tra promozioni (quattro, dalla D alla A con il Parma, poi una col Venezia) e salvezze miracolose, come quella con i campani. Proviamo a conoscerlo meglio…
    Le origini
    Pasquale (detto pako) Mazzocchi è nato a Barra, quartiere difficile di Napoli. A 12 anni si mette a fare il fruttivendolo, dopo la scuola, per portare a casa qualche soldo. Così arriva sfinito agli allenamenti e il suo allenatore, Giuseppe Araimo, gli chiede il motivo. Saputa la paga che gli danno, gli dice: «Da domani basta, ti do io la stessa somma per ogni gol che segnerai». Araimo è per Pasquale un secondo padre, e il quartiere Barra è rimasto nel suo cuore. Appena può ci ritorna, soprattutto quando c’è la festa dei Gigli. «Nel mio quartiere entri nei circoli e si parla sempre delle paranze di questa festa. Io sono della paranza Mondiale e ne sono orgoglioso».
    Gli amori
    Un anno fa ha sposato, dopo 10 anni di fidanzamento, Tonia La Magna, ha un labrador e ama le cose semplici: andare in giro con la moglie a fare shopping, rilassarsi a casa guardando un film sul divano, portare a spasso il suo cagnone. Nelle interviste ringrazia sempre i genitori che lo hanno sostenuto nella sua lunga gavetta.
    La fede
    La famiglia Mazzocchi è molto credente. Pasquale e Tonia si sono conosciuti in un movimento giovanile domenicano che frequentavano entrambi. A Capodanno 2020 il terzino ha postato sui social il suo nuovo tatuaggio, il volto di Gesù con la corona di spine sulla fronte che gli copre tutta la schiena. Accanto alla foto il messaggio, «Che questo 2020 ci porti tanta benedizione».
    I tatuaggi
    I tatoo sono una vera passione per Mazzocchi, che ha il corpo ricoperto di tatuaggi. Non soltanto il volto di Gesù: sul ginocchio sinistro ha impresso il numero 7, sulla mano la parola passione, sul pettorale sinistro, proprio sopra il cuore, il volto di un amico fraterno morto a 9 anni per meningite, sul pettorale destro due putti, e al centro, altezza sterno, una croce in negativo, con i contorni neri e sfumati che la rendono luminosa. Ma non è finita qui: l’immagine dell’attore Will Smith sulla gamba sinistra, un adulto che abbraccia un ragazzo, con una nuvoletta da fumetto in cui è scritto un lungo messaggio sullo stinco sinistro, sei numeri della tombola sul costato, un gufo, un cane, il leone, dei guerrieri, un diamante nero, dei fiori, altri volti femminile e maschili, la data della salvezza con la Salernitana (22-5-222) con la percentuale, 7%, dei bookmaker. LEGGI TUTTO

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    Rabiot, infortunio in allenamento con la Francia: cosa è successo

    Problemi fisici per Adrien Rabiot. Il centrocampista della Juventus (che in stagione ha realizzato 11 gol con la maglia bianconera) ha avuto un problema al polpaccio durante l’ultimo allenamento mattutino in gruppo con la Francia e sarà costretto a saltare le ultime due sfide stagionali della squadra di Deschamps. Rabiot avrebbe dovuto giocare venerdì 16 giugno a Faro, contro Gibilterra, e lunedì 19 giugno contro la Grecia allo Stade de France.
    Rabiot, i risultati degli esami
    Il centrocampista classe 1995 (il cui futuro con la Vecchia Signora è ancora in dubbio) ha effettuato un’ecografia e una risonanza magnetica che hanno confermato la lesione al polpaccio. Lo staff dei Bleus, per rimpiazzarlo, ha deciso di puntare su Boubacar Kamara dell’Aston Villa, che lunedì raggiungerà il resto dei compagni. LEGGI TUTTO

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    Inter, la lettera di Barella: “Sconfitta amara, proveremo a fare qualcosa di più grande”

    “Ho sempre pensato che vincere equivalesse alla gloria, invece perdere ad un fallimento. Ma in questi anni mi avete insegnato che c’è di più”. Esordisce così Nicolò Barella che, dopo la sconfitta della sua Inter contro il Manchester City, ha pubblicato una lettera sul suo profilo Instagram. Il centrocampista nerazzurro ha speso un pensiero sulla finale di Champions e sull’impegno messo in campo da lui e dai suoi compagni nel corso di questa stagione: “C’è l’orgoglio e soprattutto l’amore che ci avete dimostrato. C’è lo spogliatoio fatto di Uomini che hanno lavorato al massimo per riportare l’Inter dove merita. C’è il sudore che, vi assicuro, abbiamo sempre versato per questa maglia. C’è la vittoria che ci ha dato tante emozioni che porteremo per sempre dentro di noi”.

    “La medaglia d’argento non sarà nascosta, ma insieme a quella delle vittorie”

    Barella prosegue il suo messaggio dimostrando tutto il suo orgoglio per quanto fatto negli ultimi mesi: “C’è la sconfitta, amara, difficile da sopportare ma stimolante a modo suo per provare a fare qualcosa di ancora più grande. Per questo motivo la medaglia d’argento sarà lì davanti, insieme a quelle delle vittorie e non nascosta in un angolo. Grazie a tutti per questo fantastico viaggio, Nicolò”. LEGGI TUTTO

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    Manchester City, il lancio della moneta questa volta sorride a Guardiola

    Il lancio della moneta questa volta sorride a Pep Guardiola. Al settimo tentativo è lì, in mezzo al campo, con la coppa tra le mani. Felice, incredulo, emozionato. Era arrivato al City con un obiettivo – stravolgere le gerarchie di Manchester – e riabbracciare quel sogno diventato ossessione. La notte di Istanbul ricuce tutte le ferite in un ponte immaginario che lega due continenti: il passato e il presente. Sull’occasione di Lautaro, Pep è in ginocchio. Come nel 2019, quando pochi centimetri di offside cancellano il gol qualificazione di Sterling contro il Tottenham. Sembrava una premonizione. “Relax, relax”, urla ai suoi dalla panchina pensando che questa volta – a differenza di Porto – le scelte siano giuste. Poi De Bruyne si fa male, come nel 2021. Altra premonizione. Rodri lo porta in paradiso ma la strada è ancora lunga. L’1-0 non lo rassicura. Foden può chiuderla ma non lo fa, in pieno stile Grealish Bernebeu. Volano palloni dentro l’area, si materializza l’incubo della rimonta madridista. Ma due amici, la traversa ed Ederson, corrono a salvarlo. Sono loro a dare una traiettoria diversa a quella moneta impazzita. Che a questo punto sfilerà insieme ai tre trofei che il City dalle 19:30 di lunedì porterà con orgoglio per le strade di Manchester. 

    Manchester City, il programma della parata

    Lunedì il Manchester City sfilerà in parata per le vie della città con il pullman scoperto. La squadra partirà da Tonman Street, Deansgate, intorno alle 18:30 (orario locale) e arriverà all’angolo tra Princess Street e George Street. Dopo aver sfilato per le strade della città (Cross Street, King Street, Brown Street, Booth Street e Nicholas Street), ci sarà uno spettacolo dal vivo a Oxford Street, con intrattenimento sul palco a partire dalle 17:30 e con i calciatori il cui arrivo è previsto intorno alle 19:30.  LEGGI TUTTO

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    Birindelli: “Alla Juve devi metterci la faccia. Quella volta con l’Avvocato…”

    «Mi diventa semplice rispondere perché fin da bambino tifavo Juventus, in camera avevo il post di Zoff, Gentile, Scirea, Cabrini, Tardelli, Platini, Boniek, Rossi… E da ragazzo che iniziava a tirare i primi calci, quella squadra era il punto di riferimento, un sogno. Se per un professionista essere un giocatore della Juventus era toccare il tetto del mondo per le figure carismatiche, come l’Avvocato, il dottor Umberto, la triade, Lippi, Ventrone, che ne facevano parte, immaginatevi le sensazioni di un giovane professionista tifoso: il mio sogno era diventato realtà. Ambientarmi non è stato difficile grazie ai compagni e a tutto lo staff tecnico e societario, dal presidente al magazziniere Romeo o al massaggiatore Giunta, mi hanno fatto sentire uno di loro come se fosse sempre stato lì».
    Qual è il ricordo più significativo della sua carriera per spiegare che cos’è la Juventus? 
    «Ricordo e racconto sempre un episodio per far capire il senso di appartenenza al club e quale fosse il rapporto che avevamo con l’Avvvocato. Eravamo in ritiro nell’hotel del Lingotto, dove c’erano anche gli uffici della Fiat che Giovanni Agnelli raggiungeva con l’elicottero: una mattina io, Van der Sar e Blanchard eravamo nella hall e ci dissero di non muoverci perché sarebbe arrivato l’Avvocato per un saluto. Parlò con me, poi si rivolge al portiere in inglese e a Blanchard in francese, a tutti dava sempre del lei e questo accresceva il senso di imbarazzo. Invece, ci mise subito a nostro agio, anche perché avevamo di fronte una persona competente che conosceva tutto di noi e che si era messo al nostro livello. In genere, in situazioni così ti chiedono come stai, se va tutto bene, invece a me disse “lei Birindelli è molto forte sulla fascia” e poi mi descrisse nei dettagli alcune fasi di una partita. Sapeva tutto ed era molto attento a tutto».
    Che cosa ha di differente la Juventus dalle altre società? 
    «Io ho giocato soltanto nella Juventus come top club, però sentendo i racconti di compagni che avevano giocato in altre squadre importanti, la differenza stava nel senso di appartenenza, nell’attaccamento alla maglia, nel dna che si respirava, nello spirito di squadra. In altre squadre si arrivava e si cercava di creare quel clima, alla Juve c’era già, un allenatore o un giocatore nuovo lo respiravi subito e veniva tramandato. In ogni momento della giornata di facevano capire la responsabilità di indossare quella maglia…».
    Causio: «Da noi ex ai tifosi, è il momento di stare vicini alla Juventus»
    Qual è il dirigente della Juventus che ne ha più incarnato lo spirito? 
    «Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi professionisti come Bettega, Giraudo e Moggi. Ognuno ha ricoperto il proprio ruolo con rispetto, passione e grande impegno: non ci facevano mancare nulla, erano sempre presenti per noi. Non si sono mai esaltati quando le cose andavano bene, né si sono tirati indietro nei momenti di difficoltà».
    Cosa non deve fare mai un giocatore, un dirigente e un allenatore della Juventus? 
    «Nascondersi, se hai la maglia della Juve devi avere la personalità di metterci sempre la faccia, nel bene e nel male».
    I tifosi della Juventus sono più difficili di altri tifosi in termini di aspettative e severità di giudizio? 
    «Sono viziati, nel senso buono del termine, perché sono abituati troppo bene a vincere. Secondo me, rispetto ad altri tifosi digeriscono meno bene la sconfitta e sono meno pazienti quando le cose non vanno bene, ma non si esaltano troppo nelle vittorie perché, come dicevo prima, sono abituati».
    Che cosa significa in termini di responsabilità avere la famiglia Agnelli alle spalle? 
    «Loro ti danno tutto, ma pretendono tutto: sei la persona più curata di questa terra, soddisfano qualsiasi tua esigenza, ma pretendono che tu porti in giro i valori della società. Il comportamento e lo stile è fondamentale, vogliono essere accerchiati da persona competenti, capaci, che rispecchino i loro valori: quando venni scelto mi dissero che oltre alle qualità calcistiche contavano anche le mie qualità umane e morali».
    Brio, parola di stopper: «Risollevarsi sempre, ecco cos’è la Juve»
    Che cosa pensa di questa stagione? 
    «Si torna al discorso di prima, in questa stagione Allegri ha dovuto fare troppo e ha perso di vista il suo lavoro principale, allenare la squadra. Ha perso tante energie nell’occuparsi di altre cose che non dipendevano da lui e che non avrebbe dovuto gestire lui. Il rispetto dei ruoli è fondamentale, quando si mescolano si crea una confusione generale. Poi ci sono stati i tanti infortuni, i giocatori chiave che non si sono visti per quasi tutto l’anno. Occorre fare tabula rasa e ripartire da zero, chiarendo però chi è il ds, l’allenatore e il responsabile dell’area tecnica». LEGGI TUTTO

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    Champions League, i premi della stagione 2022/2023: Bastoni e Dimarco nella squadra ideale

    L’Uefa ha ufficializzato i premi stagionali dell’edizione 2022/2023 della Champions League: il miglior giocatore è Rodri, decisivo per la vittoria del Manchester City con il suo gol in finale contro l’Inter. I nerazzurri però si consolano con la presenza dei due difensori Alessandro Bastoni e Federico Dimarco nella squadra dell’anno. Kvaratskhelia premiato miglior giovane, di Haaland il gol (dell’ex) più bello. Ecco tutti i premi LEGGI TUTTO