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    Toro, tre pacchetti da 40 milioni per non sprecare Buongiorno

    Alcuni sono seguiti da tempo, sono stati anche oggetto di sondaggi, però poi il Torino li ha lasciati in sonno, pur senza dimenticarli mai: tu chiamale, se vuoi, alternative. Altri sono obiettivi chiari, manifesti, chiacchierati, inseguiti, trattati. Altri ancora sono stati proposti nuovamente di recente e hanno destato un crescente interesse, per la serie «fammi capire di più, chiariscimi meglio quanto costa esattamente»: i dirigenti le ripetono mille volte, frasi così. E agenti e intermediari ci sguazzano, soprattutto quando sentono il profumo del cash. Dicevano i latini che il denaro non ha odore. Invece per gli operatori di mercato profuma proprio, quando annusano una società come il Torino, di questi giorni.
    Buongiorno al Napoli
    Per carità, il Bologna tra Zirkzee e Calafiori ballerà sui 100 milioni di ricavato dalle loro cessioni, ma Cairo comunque non risulterà troppo da meno, considerando che Saputo e Sartori sono volati in Champions, mentre lui è rimasto al palo del nono posto con vista su un’Europa sognata anche per grazia divina, alla fine evaporata beffardamente per interposta persona, Commisso: la sconfitta della Fiorentina in finale di Conference. Se i viola avessero vinto, oggi il Torino sarebbe al loro posto, oltreconfine. Buongiorno ha scelto Conte e quindi il Napoli, anche in questo week-end il suo agente ha trattato con il ds azzurro Manna quanto a diritti di immagine e premi, e così oggi potrà prendere il via il conto alla rovescia per la formalizzazione del contratto. E poi si attenderà l’annuncio ufficiale di De Laurentiis, naturalmente in pompa magna: Buongiorno a Napoli è già diventato un eroe, sia perché ha detto no alla Juve (da granata qual è, non certo di latta), sia perché ha scelto Conte e poi ha mantenuto la parola data. Per il Torino, 35 milioni più 5 di bonus, di cui 4 facili. Ma Cairo non li investirà tutti nel mercato, già si sa. Intende metterne da parte, nel bilancio del Torino, almeno una quota a copertura dell’ultimo rosso, 10 milioni di perdite: fino a prova contraria, risulta questo (se ci sbagliamo, avvisateci). Però, stando così le cose, la gente del Toro non solo non capirebbe, ma si arrabbierebbe ancor di più. Uno: sempre e solo la linea di galleggiamento intorno al 10° posto.
    Torino squadra di passaggio
    Due: il Torino resta sempre una squadra di passaggio, quelli forti prima o poi regolarmente se ne vanno. Buongiorno era un simbolo vivente dell’orgoglio e dell’identità granata in campo e nei cuori di tutti. Non è come l’agognata (dal Torino) cessione di Ilic allo Zenit, ora che il serbo si è convinto (da capire quando verrà ufficialmente definita, ma alla fine sarà un’operazione da 25 milioni). Vagnati ci sta facendo il callo, a telefonate così: «Ciao, Davide. Ora che stai per incassare 40 milioni da Buongiorno, volevo dirti che in Francia avrei un difensore che farebbe proprio al caso tuo e manco a dirlo da ieri lo gestisco io». E vai con le proposte: giocatori che hanno voglia di cambiare aria o che sono vicini alla scadenza del contratto o che semplicemente sono acquistabili, davanti alla proverbiale offerta giusta. Scarti o talenti, c’è sempre un po’ di tutto nei taccuini di procuratori e intermediari. Pochi giorni fa, parlando pubblicamente di nuovi titolari da ingaggiare, Vagnati lanciava forte e chiaro un elenco a uso e consumo di qualunque agente: «Cerchiamo due difensori centrali», di cui uno di piede mancino. «Poi un terzino sinistro»: di spinta. «E un’ala», sempre per la corsia mancina.
    Gli obiettivi del Torino
    Nei 12 nomi che elenchiamo e che sono trattati dal Torino o come minimo sono oggetto di sondaggi, di scarti proprio non ce ne sono, anzi. Compaiono 3 difensori centrali di piede destro, 3 di piede sinistro oppure ambidestri, 3 terzini mancini fluidificanti e 3 ali. Alcuni di loro il Torino li coltiva davvero da tempo, come Laurienté. Il Sassuolo ha la sua ben nota solidità finanziaria, ma in B il francese non può restare. Carnevali sta sparando cifre altissime: fa il suo mestiere. Piuttosto aspetta altre offerte. Si scopre intanto che il Torino per la difesa sta seguendo anche il giovane milanista Simic, un bel profilo nel segno del futuro. Mentre per Welington bisogna ora capire se il Southampton, scattato in pole, riuscirà a chiudere con il San Paolo: Vagnati non si è ancora arreso. Il dt controlla anche Gosens: dopo il Bologna, se mai anche l’Atalanta non trovasse l’accordo con l’Union Berlino… Nel mirino, da diversi mesi, c’è poi Wijndal dell’Ajax, reduce dal prestito all’Anversa. Mentre tra le ali, sempre per la sinistra, è oggetto di valutazioni Daramy del Reims, nazionale danese. Vagnati ha chiesto ripetutamente informazioni anche per Alberto Moleiro, stellina del Las Palmas, nazionale under 21 spagnolo. Dall’Argentina stanno spingendo il centrale mancino emergente Gomez del Velez. A quelli del Toro, un intermediario ha detto: «Se Cairo ha ambizioni vere, prende Perez dell’Udinese. E una strada volendo c’è…».
    Le mosse per la difesa
    Vagnati è curioso di capire se la Fiorentina, dopo aver offerto invano 10 milioni più 5 di bonus, abbandonerà il ceco Vitik, colonna difensiva dello Sparta Praga, andato agli Europei ma senza poi giocare. Il Marsiglia è fuori dalle Coppe: Balerdi, nazionale argentino, è molto chiacchierato dentro al Torino, ma il Bologna è davanti, le pretendenti sono diverse in Europa e costa un botto. Restando tra i difensori, una pista fresca è anche il 20enne Coulibaly del Borussia Dortmund, reduce pure lui dal prestito all’Anversa come l’olandese Wijndal. Per questo giovane francese è in azione il Betis e ha chiesto informazioni il Marsiglia, mentre nei taccuini dei Torino compare alla voce scommesse intelligenti. LEGGI TUTTO

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    E Napoli conquistò Diego: quarant’anni fa l’arrivo di Maradona

    Quarant’anni fa, in una giornata di rinnovato sole, una intera città, di sole e di mare, di anime perdute e di anime salve, di balconi sulla felicità e sulla disperazione, si fermò per salutare, abbracciare e cantare un ragazzo argentino, con il volto da scugnizzo, venuto in uno stadio per miracolo mostrare, per una epifania calcistica che oggi è ballata popolare, odissea della nostalgia e del rimpianto, murales ed ex voto a illustrare la favola per i vicoli antichi, a portare avanti una narrazione che non avrà mai fine, nei secoli dei secoli. Io, giovane inviato di Tuttosport, diretto da Piero Dardanello, avevo seguito da Barcellona e ora lì, a Napoli, centro preciso è perfetto dell’universo del pallone, il trasferimento di Diego Armando Maradona.
    Maradona: la magia di un ricordo
    Il nostro calcio, che soltanto due anni prima, con una impresa epica, da realismo magico, aveva conquistato, passando dal buio al miele, il Mundial ‘82, metteva adesso insieme a quegli assi, da Zoff a Pablito, oltre a fuoriclasse come Zico e Platini, anche il talento più lucente, quel Dieguito che aveva deciso di lasciare il celebrato Barça per portare la sua fantasia e le sue meraviglie in una squadra che, da tempo immemore, tra delusioni e illusioni, attendeva la stella cometa di un nuovo e decisivo profeta: e ora, eccolo lì, sul prato verde al San Paolo, che ora porta il suo nome, come una basilica laica, fare il suo ingresso sul prato verde tra un battere di cuori, un delirio collettivo, tutto esaurito, ottantamila persone e forse anche di più, donne e uomini, anziani e bambini, i neonati, gli ingenui e i furbi, i generosi e gli arroganti, i filosofi e i pescatori, chi aveva letto Matilde Serao e chi sapeva imitare Totò.
    E fuori dallo stadio tanti altri in attesa, a immaginare, a lasciare comunque il segno di una presenza, di una riconoscenza e poi le radio accese da Posillipo ai Quartieri Spagnoli, fermo il traffico, sospeso il tempo. Ma il football, metafora della vita, elemento fondamentale della cultura contemporanea, antidoto alla malinconia, mai aveva conosciuto un momento simile. E là dentro, in quel luogo trasformato in un infinito scrigno capace di raccogliere tutti gli stupori, tutti i sospiri, a quel ragazzo dai capelli arruffati e dal sorriso a girasole, che si portava nell’anima un fanciullino mai domo, bastò calciare la palla al cielo e ringraziare i “napolitani” per entrare già nel mito. Ancora erano lontane le notti sbagliate, le cadute nel baratro della droga.
    Maradona e la “grinta della vita”
    Ma quel Maradona, non avrebbe mai cancellato il Diego della generosità, della partite su campi fangosi per beneficenza, degli scudetti, delle imprese possibili e impossibili, quella punizione a sovvertire le leggi della fisica a Stefano Tacconi, quella rete da centrocampo, quell’altra con le spalle voltate alla porta, in acrobazia, di testa, per terra, e qualcuno giura di averlo visto palleggiare con una goccia d’acqua.
    Osvaldo Soriano, arpiniano bracconiere di tipi e personaggi, non riuscì, prima del suo passo d’addio, a portare a termine due suoi desideri di scrittura: dare un seguito al suo primo capolavoro “Triste, solitario y final” con Emilio Salgari, il padre degli eroi, al posto di Philip Marlowe, il detective americano uscito dalla penna di Raymond Chandler) e dedicare un’avventura a quell’eroe dalla furibonde battaglie, anche politiche, contro il Palazzo della pelota, contro il capitalismo, per la dignità degli ultimi e degli emarginati e degli invisibili, dalla traboccante bravura.
    Diego Armando Maradona. Quel 5 luglio, per i presenti e per gli assenti, per le generazioni future, per i bambini che saranno chiamati Diego, per quello striscione al cimitero con sopra scritto “Cosa vi siete persi”, rimarrà una data da festeggiare, da commemorare, per dire ancora “grazie per averci donato una Utopia realizzata”: perché non è vero che tutto passa, che la memoria lascia vuoti e talvolta cicatrici: camminate per Napoli e a ogni passo sentirete il respiro di Dieguito, rivedrete quel suo sguardo racchiudere tutte le sfumature d’azzurro, quel suo essere un masaniello fragile, ma coraggioso e indomito, un esempio per tutti i suoi compagni.
    Tutti, nessuno escluso. E mi resterà per sempre una sua frase, una delle ultime, capace di riassume tutta la sua essenza di uomo e di calciatore: “Da giovane avevo la grinta della fame. Passata la grinta della fame, ho avuto la grinta della gloria. Adesso, ho la grinta della vita”. Una vita che è finita sulla terra, in solitudine, ma non nel pensiero dominante di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo o, semplicemente, di vederlo all’opera, con il suo abbagliante sinistro a disegnare arabeschi colorati nel suo elemento naturale: un terreno di gioco, tra zolle e avventura, tra la folgore e l’imprevedibilità. Ti vogliamo sempre bene, Dieguito: nostro fratello di luminose primavere, dove in tutto c’è stata bellezza. LEGGI TUTTO

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    Niccolai, il campione più forte degli autogol

    Il mestiere di figlio è uno dei più complicati che esistano, troppo spesso si è la proiezione inconscia (o meno) di progetti non realizzati dei propri genitori. Una proiezione che comincia dalla scelta del nome, su cui si incrociano parentele da onorare, mode del momento, eteree ispirazioni. Chiamarsi Comunardo non può essere banale. Era il nome di cui andava fiero Niccolai, uno dei difensori più solidi e, al tempo stesso, più misconosciuti del calcio italiano. Uno passato alla storia per una questione di autoreti. Uno che è stato ben altro. A cominciare dal modo in cui interpretava il ruolo di stopper nel Cagliari che, nel 1970, conquista uno scudetto finora unico e difficilmente ripetibile.
    Addio a Niccolai
    Niccolai è morto ieri a 77 anni all’ospedale San Jacopo di Pistoia, dove era ricoverato per un malore. Era tornato nella Toscana dove era nato a Uzzano, il 15 dicembre 1946. Un figlio del secondo Dopoguerra, il figlio cui papà Lorenzo – portiere del Livorno, ribattezzato Braciola dai tifosi amaranto – affida un nome potenzialmente pesante. Comunardo è derivazione della Comune di Parigi che, nel 1871 e per un paio di mesi, fu considerato il primo esperimento di autogoverno nella storia contemporanea. Un nome che era manifesto di libertà e, per questo, vietato nel ventennio fascista. Il nome che Lorenzo sceglie per indicare che un’epoca si è chiusa e una nuova ha avuto inizio. «Difficile portarlo? Ma per carità, mi piace da morire, riempie la bocca. Mi piace quando mi chiamano Comunardo», così raccontava a Tuttosport il 21 agosto 1996. Il calcio è la passione che coltiva da bambino, inizia come attaccante nel Montecatini. Si trasferisce alla Torres non ancora 17enne, si trasforma in difensore centrale ed esordisce in C. Deciso, attento, intelligente: il Cagliari lo nota e lo acquista nel 1964. È uno dei tasselli che, anno dopo anno, sono affidati alla cura di Manlio Scopigno in panchina. L’arrivo del tecnico nel 1966 è il passo decisivo per la costruzione di una squadra straordinaria, in cui il leader è Gigi Riva e gli altri sono qualcosa in più che semplici – e splendidi – comprimari.
    L’uomo degli autogol
    Come Niccolai, per l’appunto. È uno stopper, ma interpreta il ruolo in maniera inedita, al di là della semplice marcatura. Spesso si alterna con il libero (Pierluigi Cera e Giuseppe Tomasini, quando il primo veniva schierato mediano) in una sorta di doppio centrale, da zona che verrà. Una squadra moderna, che vive una sola splendida stagione e che sarà condizionata dai guai fisici di Riva. Niccolai è una certezza – il Cagliari incassa solo 11 reti, record nei campionati a 16 squadre -, ma nella memoria collettiva è identificato come l’uomo degli autogol. Non è nemmeno il primatista: ne ha firmati sei, due in meno di Franco Baresi e Riccardo Ferri. Però è lui il riferimento obbligato, soprattutto quando il gesto autolesionista accade in una circostanza decisiva o implica una certa dose di bellezza. Nel primo caso ricadono quello nel 2-2 di Juventus-Cagliari nell’anno dello scudetto (un anticipo di testa sul primo palo che sorprende Enrico Albertosi) e quello per la 300ª partita arbitrata da Concetto Lo Bello. Nel secondo quello di Bologna, «dove riuscii a fare uno slalom davanti ad Albertosi in uscita e accompagnai la palla in porta».
    Il Mondiale del 1970
    Una fama che solleva crucci in Niccolai («Almeno ho lasciato un segno nella storia del calcio italiano», si consola), ma non ne mortifica la carriera. Con molti rossoblù fa parte della spedizione al Mondiale messicano del 1970. Il 3 giugno è titolare con la Svezia, esce al 37’ pt per una entrataccia di Kindvall. È la seconda presenza, che racconta un’altra storia. Quella di Scopigno che si alza, spegne la tv ed esclama (ironico e affettuoso): «Visto Niccolai in mondovisione, ho visto tutto». La terza arriverà con la Svizzera in amichevole il 17 ottobre e sarà l’ultima in azzurro. Il Cagliari si spegne dopo lo scudetto, come molti di quella squadra. Niccolai resta fino al 1976, quindi raccoglie una manciata di presenze tra Perugia e Prato. Da allenatore entra negli organici federali, chiamando nelle giovanili futuri talenti come Gigi Buffon e Francesco Totti. Guida l’Italia donne nel 1993-94, poi il congedo dal calcio. «Lascia il ricordo di un grande sportivo, un uomo educato, gentile, rispettoso, cordiale, che sapeva farsi voler bene. Un maestro di calcio e di vita», le parole belle, giuste e commosse del Cagliari. LEGGI TUTTO

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    Douglas Luiz alla Juve, ufficiale! “Benvenuto, ci vediamo in campo”

    Le prime parole di Douglas Luiz

    “Ciao Juventini, sono molto felice di essere un giocatore bianconero. Non vedo l’ora di giocare all’Allianz Stadium, a presto e forza Juve, vamos!”, queste le prime dichiarazioni di Douglas Luiz, con addosso una divisa del club, da calciatore della Vecchia Signora.

    Douglas Luiz- Alisha Lehmann: coppia Juve

    Insieme con Douglas Luiz arriverà a Torino anche la fidanzata Alisha Lehmann, attaccante svizzera dell’Aston Villa che nella prossima stagione giocherà con le Women bianconere, allenate da Max Canzi. Calciatrice, ma anche influencer e superstar del web, con contratti importanti legati a sponsor come Adidas, EA Sports, Bootbag e Prime. La bionda 25enne, è una vera e propria istituzione sui social perché può contare su tantissimi followers (11 milioni circa su TikTok e poco meno di 17 milioni su Instagram), e attualmente è in Brasile per seguire da vicino proprio il centrocampista impegnato nelle gare di Coppa America. LEGGI TUTTO

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    Juve Next Gen, sorteggiato il girone di Serie C: dove giocheranno i bianconeri

    Serie C, la composizione dei gironi
    A seguire i gironi completi del prossimo campionato di Serie C 2024/2025:
    GIRONE A: AlbinoLeffe, Alcione, Arzignano, Atalanta U23, Caldiero, Clodiense, Feralpisalò, Giana, Lecco, Lumezzane, Novara, Padova, Pergolettese, Pro Patria, Pro Vercelli, Renate, Trento, Triestina, Vicenza, Virtus Verona.
    GIRONE B: Arezzo, Ascoli, Campobasso, Carpi, Entella, Gubbio, Legnago, Lucchese, Milan Futuro, Perugia, Pescara, Pianese, Pineto, Pontedera, Rimini, Sestri Levante, Spal, Ternana, Torres, Vis Pesaro.
    GIRONE C: Altamura, Avellino, Benevento, Casertana, Catania, Cavese, Cerignola, Crotone, Foggia, Giugliano, Juventus Next Gen, Latina, Messina, Monopoli, Picerno, Potenza, Sorrento, Taranto, Trapani, Turris. LEGGI TUTTO

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    Torino, il destino di Bellanova e Ricci dipende da Buongiorno

    Un po’ come quando giocava, ad Antonio Conte vengono meglio i tackle rispetto ai dribbling. Ieri l’ha presa bassa affondando le mani (anche il viso) in un pozzo di diplomazia. Quando gli han chiesto di Alessandro Buongiorno, ha persino provato a sgusciar via con parole di facciata: «Qualcosa faremo. Il Napoli lo scorso anno ha preso 48 gol, la sua è stata la decima difesa del campionato. E guardacaso è finito decimo anche in classifica… Il dato più preoccupante sono i 27 gol subiti al Maradona, la 15ª peggior difesa della Serie A. Dobbiamo ritrovare equilibrio. Non ho mai visto squadre capaci di vincere, se hanno difese che prendono troppi gol. Quindi dobbiamo fare delle riflessioni». D’accordo, tutto vero, tutto giusto. Ma Buongiorno, allora? «Girano tanti nomi, cercheremo di trovare il profilo migliore rispettando determinati parametri. In difesa cercheremo di fare qualcosa, sia dal punto di vista tattico che degli uomini. Questo deve essere chiaro». Vabbé. Pretattica spinta, strategica. D’altra parte ciò che Conte pensa del difensore granata lo avevamo scritto quasi tre settimane fa: «Ti stimo molto e lo sai bene, ti seguo da anni. Nel mio Napoli saresti un sicuro protagonista. Allestiremo una squadra forte, competitiva, in grado di lottare per le posizioni di vertice. E tu con me diventeresti ancor più forte di quello che già sei». Così aveva detto Conte a Buongiorno durante quell’incontro al ristorante a Torino, prima che il difensore partisse per la Germania. Nella sua presentazione “reale” a Napoli, ieri ad Antonio è scappata una di quelle frasi: «Il mio più grande pregio è migliorare i calciatori».
    Il Napoli in cima alla lista, in attesa della Premier
    Urbano Cairo e Davide Vagnati sanno bene che il Napoli è in pole, sul loro difensore. Ma Cairo spera che possa ancora originarsi un’asta: però in Italia nessuno ha la liquidità del Napoli (mentre Buongiorno ha già escluso da mesi l’ipotesi Juve, come si sa) e da oltreconfine per adesso si sono uditi solo sondaggi, non richieste di aprire una trattativa. Aurelio De Laurentiis ha fatto muovere Giovanni Manna, con l’agente di Buongiorno il ds ha lavorato in profondità (5 anni di contratto, stipendio a salire sino a quota 3 milioni di ingaggio), poi il presidente del Napoli ha iniziato a parlare di altre cifre: per il cartellino. Ha superato i 30 milioni, ha dato la disponibilità a mettere sul piatto anche il difensore norvegese Leo Ostigard, che il Toro trattò a gennaio. Ma è il cash che interessa a Cairo. Il Napoli è salito a 32 milioni più bonus, poi a 34. Da tempo ha virtualmente in mano Buongiorno. Il Torino chiede di più, 45 milioni bonus compresi. Anche Buongiorno ha preso tempo. Vogliono tutti capire se possano ancora emergere squadre straniere (della Premier, in particolare) iscritte alle Coppe europee e in grado di creare un minimo di asta. Ma certo non aver ancora giocato neanche un minuto all’Europeo non ha aiutato affatto Alessandro, sinora.
    Possibile testa a trsta tra Cairo e De Laurentiis
    E il conto alla rovescia si avvicina. Se nulla cambierà di qui in avanti, arriveremo al duello finale tra De Laurentiis e Cairo, prima o poi. Per un pugno di dollari: in più o in meno, a seconda di chi verrà inquadrato al cinema. E Buongiorno (che pure vorrebbe giocare in Champions e sperava nell’Inter) alla fine allargherà le braccia, davanti al Napoli. L’effetto Conte, in ogni caso, lo ha già colpito e inorgoglito il giusto. Ma per Cairo «Buongiorno non è in vendita: sarei contento se restasse». L’ultima cosa che poteva fare Conte, ieri, era ammettere che il granata è in cima alla sua lista per la difesa: ci pensa già da solo Cairo ad alzare il prezzo.
    Se parte uno, resta l’altro: strategia Toro
    Cairo ha parlato con Paolo Vanoli di Buongiorno, di Samuele Ricci, di Raoul Bellanova, di Ivan Ilic, di Tonny Sanabria. Lo ha di nuovo fatto Vagnati l’altro ieri, durante il lungo summit con il tecnico prima di salire assieme a Superga. Il dt aveva già chiarito la situazione all’allenatore nelle scorse settimane, quando Vanoli era ancora da ufficializzare. Martedì mattina lo ha di nuovo rassicurato. Per la serie: se Buongiorno dovesse partire, non prenderemmo in considerazione offerte per gli altri top-player. Appunto Bellanova e Ricci, giovani di qualità attesi (in particolare il centrocampista) a una ulteriore crescita significativa. Cairo invoca plusvalenze. La cessione di Buongiorno a quota 40 milioni o giù di lì gli consentirebbe di coprire il rosso dell’ultimo bilancio (9,6 milioni), destinando poi una considerevole cifra (non tutto il ricavato restante, peraltro) al mercato in entrata del Torino.
    Chi è sul mercato e le garanzie a Vanoli
    In vendita, poi, sono Ilic e Sanabria: arriveranno altri soldi, resterà da capire quanti e quando. Buongiorno potrà innaffiare per primo il mercato granata, favorendo investimenti in entrata. Vanoli lo sa, lo ha compreso facilmente, gliel’hanno spiegato e rispiegato. Gli hanno anche ripetuto di stare sereno. Bellanova e Ricci non si toccano, il grande “sacrificio” resterà uno: al 99%, Buongiorno. Ma non a qualsiasi cifra: Cairo pretende di incassare dai 40 milioni in su (altrimenti nisba, venderà qualcun altro…) e vuole pure che emerga chiaramente che è Alessandro a spingere per trovare altrove ambizioni decisamente migliori, altrimenti lui mica lo venderebbe, per carità, quando mai. È tutto chiaro. È tutto chiaro anche a Vanoli: tranquillo, mister, di quei tre te ne vendiamo uno solo. Fino a prova contraria, sarà così. LEGGI TUTTO

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    Vanoli: “Emozione Toro”. Accensione di un amore e ai tifosi: “Remiamo tutti insieme”

    Torino, la giornata di Vanoli
    A Superga, dopo il sopralluogo di lunedì al Fila e poi allo stadio Grande Torino e il prolungato summit di mercato di ieri mattina con Vagnati e Moretti, in sede a due passi da piazza Castello, Vanoli sale nel pomeriggio con lo stato d’animo migliore: l’umiltà, la semplicità, la modestia di chi vuole prima di tutto respirare, apprendere, scoprire, immedesimarsi. Capire. Lo accompagnano lo staff tecnico e la dirigenza del Torino: il dt col suo braccio destro, il direttore operativo Barile e gli uomini della comunicazione. Alle 16 le automobili parcheggiano nel piazzale e Vanoli scende con un’espressione di stupore: «Questa basilica è meravigliosa». Estrae dalla tasca il telefonino, scatta una fotografia. Il capolavoro di Filippo Juvarra attraversa la prospettiva, si distende nell’azzurro. «È la mia prima volta. L’avevo vista tante volte in foto, ma essere qui, di persona, è tutta un’altra cosa». Un passo dopo l’altro lungo il camminamento che si distende su un fianco della basilica. Gli fa strada Vagnati. Vanoli cambia man mano espressione, la sua è la curiosità serissima del neofita calibrata sul desiderio di compiere subito un gesto da Toro e sulla necessità di bussare con educazione a una porta per entrare nel suo nuovo mondo. Così, quando si trova sotto la sfilata di immagini dei 31 caduti, decide di arrestarsi.
    Vanoli a Superga
    Vagnati comincia a illustrargli i volti, Vanoli è colpito, pone domande, il responsabile dell’ufficio stampa Venera diventa il cicerone di questo viaggio di 75 anni. Poco prima dell’ultima curva a gomito Vanoli scopre lo striscione appeso al terrapieno da sempre: «La maglia, il nostro cuore. Superga, la nostra anima». Clic, un’altra foto. La lapide. «Ecco. Proprio qui sono caduti». Di nuovo uno scatto col telefonino, per provare a cristallizzare anche i sentimenti. Si fa un segno di croce, si avvicina all’altare, sfiora i marmi incisi, osserva la gigantografia del Grande Torino e le sciarpe lasciate da chissà quanti tifosi di chissà quante altre squadre. Resta in silenzio, si aggira, tutti guardano lui che guarda, poi torna indietro, si appoggia alla balaustra, pone nuove domande, gli spiegano la dinamica, l’ultima virata dell’aereo a sinistra nella tempesta, lo schianto, la tragica, terribile scena vista dai primi soccorritori. E le processioni ogni 4 maggio, la lettura dei nomi, la resistenza del popolo granata, un credo. Era dal giugno 2016 che un allenatore del Torino non sceglieva di salire subito a Superga, a brevissima distanza temporale dall’annuncio del suo ingaggio: Mihajlovic, 8 anni fa. «Torniamo percorrendo l’altro camminamento», gli dice Vagnati, indicandogli il percorso. Peripatetico, Vanoli: come un discepolo di Aristotele nei viali del liceo di Atene, dove il filosofo insegnava passeggiando. Il tecnico continua a chiedere informazioni sulla storia del Grande Torino, sui giocatori. Un cronista aveva già provato a domandargli una testimonianza, sotto la lapide: emozionato? «Certo che lo sono. Come si fa a non emozionarsi, qui?». E sembra quasi che la voce un po’ gli tremi.
    Vanoli, tra preghiere e offerte
    Poi, quando ormai è tornato fin quasi davanti alla basilica, si parla di Ossola, di Varese come lui: «Io ho anche giocato nello stadio che la nostra città gli ha dedicato, conosco bene la sua storia». Esprime il desiderio di entrare in chiesa, allora. Si arresta davanti a una cappella laterale sulla destra, l’altare della natività di Maria Vergine. Estrae dal portafoglio una banconota, la deposita nella cassetta della beneficenza, poi prende due piccole candele, le accende con lentezza, le posa su quel lastrone di metallo sotto la Madonna, le fiamme si attorcigliano tra loro, lui prega, si segna di nuovo. C’è molto di religioso in questa visita, in questa salita anche nel mistero dove il sacro e il profano si mescolano sempre, inevitabilmente. Il suo vice Godinho esce per ultimo dalla basilica, dopo aver letto altri pannelli informativi: «Io sono nato vicino a Lisbona, ho anche lavorato per il Benfica, del Grande Torino conosco bene la storia fin da ragazzo, anche per noi portoghesi è un mito, è come se la imparassimo a scuola questa tragica leggenda, viene tramandata alle più giovani generazioni. Ricordo anche quando una delegazione del Torino venne a Lisbona, l’ultima volta»: sempre nel 2016, sempre con Mihajlovic, un mese dopo quella sua prima salita sul colle. «E tante volte sono stato nel museo del Benfica, dove un’ampia parte è dedicata proprio a quei poveri ragazzi granata».
    Vanoli, abbassare il capo con rispetto e umiltà
    L’accensione di un amore, vien da scrivere, ripensando a quelle candele cui ha dato luce cioè vita Vanoli. Resta nel suo cuore un voto. E negli animi di tutti l’ammirazione per la semplicità con cui il tecnico si è accostato all’alfa e all’omega del Torino, che quassù ha sempre l’ineludibile bisogno esistenziale di incarnarsi in un qualche Toro. Ad accendere ceri, idealmente, saranno anche i tifosi tra autostrade di nuove speranze e i soliti tornanti del cairismo, ripidi e scivolosi come quelli che dapprima conducono al cielo di Superga e poi ti riportano in città: terra terra, se non sai immergerti, respirare, comprendere, abbassare il capo con rispetto e umiltà, far tesoro. E seminare, dopo, facendo squadra. «Remiamo tutti insieme». Uomo sicuramente di buona volontà, questo allenatore fideisticamente peripatetico. LEGGI TUTTO

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    De Rossi rinnova con la Roma, è ufficiale: la durata del nuovo contratto

    Daniele De Rossi e la Roma, ancora insieme. Non certo una novità, poiché il rinnovo era stato certificato già settimane fa dai diretti interessati e, in particolare, dalla proprietà. Ma mancava ancora il crisma dell’ufficialità, arrivato questo pomeriggio attraverso una nota diramata dal club giallorosso. Il tecnico, subentrato a stagione in corso a Josè Mourinho, ha siglato un contratto fino al 30 giugno 2027.Questa la nota del club: “L’AS Roma è lieta di ufficializzare il rinnovo del contratto di Daniele De Rossi come Responsabile Tecnico della Prima Squadra fino al 2027. Approdato in panchina il 16 gennaio 2024, Daniele ha guidato il gruppo giallorosso in 26 partite ufficiali, 18 di campionato e 8 di Europa League fino alla semifinale. Prima del ritorno dei quarti di Europa League, la Proprietà – il Friedkin Group – aveva annunciato in una nota la volontà di continuare con DDR”.La nota prosegue: “‘Non potremmo essere più felici di costruire un progetto a lungo termine con Daniele’ le parole dei Proprietari sul comunicato del 18 aprile scorso. Le intenzioni del Club si sono poi tramutate in un contratto triennale, che l’allenatore – classe 1983 – ha sottoscritto con entusiasmo, continuando la simbiosi naturale con questa squadra, la sua squadra. La Roma”. LEGGI TUTTO