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    Walter Sabatini, di cosa va più fiero della sua avventura a Salerno?«Aver riportato gioia e dignità a una città intera. Questa esperienza ha sublimato la mia vita sportiva e professionale».
    Che eredità tecnica lascia a Salerno?«Lascio un monolite. Merito dell’allenatore e degli stessi giocatori. Oggi c’è un gruppo pronto a dare battaglia contro chiunque: naturalmente va integrato, migliorato, corretto. Spero che non venga disintegrato».
    Si rimprovera qualcosa per la fine «traumatica» di questa avventura?«È tutto figlio di un equivoco. Nel caso di Coulibaly, assurto agli onori delle cronache, rifarei cento volte tutto. Ho solo cercato di difendere un patrimonio della Salernitana, messo a repentaglio da una clausola secondo cui il ragazzo poteva liberarsi a 20mila euro in B e a 1,7 milioni in A: un accordo che ovviamente non avevo fatto io. Il presidente – perfettamente al corrente di tutto, come l’ad Milan – mi ha dato mandato di risolvere la questione perché non voleva assolutamente perdere il giocatore, e io mi sono limitato a trasferirgli le richieste degli agenti. Stava a lui decidere se accettarle o se perdere Coulibaly. In passato, sul tema delle commissioni ho fatto battaglie di principio, nobilissime ma alla fine anche dannose».
    Cioè?«Ho avuto scontri tremendi con agenti che esageravano. Ma, per esempio, mi rimprovero ancora quando ai tempi della Roma litigai a sangue con il povero Raiola, perché venne a chiedermi una commissione di 4 milioni su un giovanissimo Pogba. Ci insultammo a vicenda, oggi mi rammarico invece molto e sono convinto di aver fatto una cavolata colossale, perché quella era sì un’operazione eticamente ai limiti, ma alla fine avrei portato alla Roma un valore tecnico e patrimoniale enorme. Non ho avuto il coraggio di farlo. Sono le cose del calcio: c’è una questione generale sulla quale siamo tutti, o quasi, d’accordo; poi ci sono le situazioni particolari, contingenti, nelle quali bisogna pensarci un attimo e valutare la bontà dell’occasione. Il calcio, spesso, si fa affrontando certe questioni».
    La sento davvero amareggiato per ciò che è successo a Salerno.«È una triste fine per un’avventura che ci ha fatto esplodere di gioia. È stata imbrattata una tela del Caravaggio, ma non è certo qualche schizzo di fango sulla tela che può sminuire un’opera d’arte».
    Da dove ripartiamo ora?«Guardo avanti, guardo in alto. Merito certi palcoscenici, la Champions per intenderci».
    È già arrivata qualche chiamata?«Ci sono alcuni segnali, e so che succederà qualcosa».
    Ma noi (Italia, ndr) abbiamo talenti credibili oggi?«Certo! Penso a Scamacca e Frattesi, ragazzi “miei” oltretutto. E c’è pure Zaniolo. Tutta gente che in Premier – campionato guida per molti, non per me – giocherebbero titolari ovunque. Zaniolo poi è un animale, uno che ha la potenzialità di ribaltare le partite da solo».
    Tonali?«Ma lui ha già vinto uno Scudetto da protagonista nel Milan. Parlo di quelli in rampa di lancio».
    Qual è il miglior modello in Italia a livello di club?«L’Atalanta, che in molti vogliono scimmiottare. Ma a Bergamo vengono da 10 anni di studio, lavoro e protocolli particolari. A un certo punto hanno fatto giocare Scalvini, un 2003. Beh, Scalvini è il futuro fra i difensori italiani. Ci vuole coraggio, pazienza. Mi piace anche il lavoro del Sassuolo».
    Dunque, lei non teme l’«estinzione» del nostro calcio a certi livelli…«Ma non scherziamo. Basta vincere la pigrizia e andare anche sui campi dimenticati da Dio a pescare talenti. Provate a far rimbalzare un pallone in piazza, vedrete bimbi scatenati che si divertono. E, con gioia, provano il doppio passo o il dribbling».
    Ha l’impressione di appartenere a una razza di dirigenti in via di estinzione?«Non lo so, di certo io amo il calcio, il gesto tecnico, amo i miei giocatori, adoro scovare talenti e costruire squadre coraggiose, brillanti. Godo di ogni aspetto del calcio, non conosco altri modi di fare questo lavoro».
    Mi dice due parole sul suo pupillo Massara?«Fenomenale, ragazzo colto, sensibile, educato. È un uomo spietato, in un certo senso, perché non ha difetti. Sa cosa dire, parla le lingue, conosce i giocatori e sa dove andare a cercarli. Appunto, un uomo spietato». LEGGI TUTTO

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