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    Juventus anti Maccabi con Rugani: tutti devono sentirsi coinvolti

    INVIATO A HAIFA – E dunque niente Maccabi-Juventus per Milik, Kostic e Bremner. Allegri ha deciso di far riposare alcuni giocatori dimostrando che per la partita comunque decisiva in Champions League vuole coinvolgere anche giocatori che a volte, ultimamente, sono stati meno impiegati come Rugani; inoltre, dimostrando che la Champions è importante, sì, ma lo è pure il campionato. Nello specifico la partita in programma contro il Torino, il derby, sabato prossimo: è altrettanto fondamentale per la stagione bianconera. E dunque ecco che si spiegano le variazioni di formazione rispetto all’11 più o meno titolare o comunque quello provato nell’ultimi giorni.Iscriviti al Fantacampionato Tuttosport League e vinci fantastici premi! LEGGI TUTTO

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    Maccabi-Juventus: cosa c’è da sapere sul Sammy Ofer Stadium. Ecco perché Bonucci lo ricorda…

    INVIATO AD HAIFA
    Lo stadio in cui giocherà la Juventus questa sera è il nuovissimo Haifa International Stadium, meglio noto come io Stadio Sammy Ofer. Dal nome del magnate – impero marittimo, settore bancario e immobiliare – che in sostanziosa parte lo ha finanziato donando oltre 20 milioni di dollari su comunque oltre mezzo miliardo di dollari spesi in tutto) per la sua realizzazione.
    L’impianto è stato costruito a partire dal 2009 ed è stato inaugurato nel 2014. E’ utilizzato da Maccabi Haifa, Hapoel Haifa e a volte anche dalla Nazionale israeliana. L’italia vi ha giocato il 5 settembre 2016 in occasione della partita di qualificazioni ai Mondiali del 2018 e nell’occasione ha battuto Israele per 3 gol a 1 con i gol di Pellè, Candreva su rigore e Immobile. Il ct era Ventura,  Chiellini venne espulso. Da segnalare la presenza di Bonucci in campo (nella BBBC) e Rugani in panchina. Stasera, dunque, tira aria di deja vu per i due difensori i quali confidano che si ripeta anche il risultato.
    La capienza dell’impianto è di 30.780 posti tutti esauriti in prevendita per ogni partita.
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    Maccabi-Juventus: cosa c’è da sapere sul Sammy Ofer Stadium. Ecco perché Bonucci lo ricorda…

    INVIATO AD HAIFA – Lo stadio in cui giocherà la Juventus questa sera è il nuovissimo Haifa International Stadium, meglio noto come lo Stadio Sammy Ofer. Dal nome del magnate – impero marittimo, settore bancario e immobiliare – che in sostanziosa parte lo ha finanziato donando oltre 20 milioni di dollari su comunque oltre mezzo miliardo di dollari spesi in tutto) per la sua realizzazione.

    L’impianto e il precedente

    L’impianto è stato costruito a partire dal 2009 ed è stato inaugurato nel 2014. E’ utilizzato da Maccabi Haifa, Hapoel Haifa e a volte anche dalla Nazionale israeliana. L’italia vi ha giocato il 5 settembre 2016 in occasione della partita di qualificazioni ai Mondiali del 2018 e nell’occasione ha battuto Israele per 3 gol a 1 con i gol di Pellè, Candreva su rigore e Immobile. Il ct era Ventura, Chiellini venne espulso. Da segnalare la presenza di Bonucci in campo (nella BBBC) e Rugani in panchina. Stasera, dunque, tira aria di deja vu per i due difensori i quali confidano che si ripeta anche il risultato. La capienza dell’impianto è di 30.780 posti tutti esauriti in prevendita per ogni partita.
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    Torino, niente riposo: c'è il derby

    TORINO – C’è voglia di derby: per il riscatto e per l’onore. Lo si è capito à gidomenica pomeriggio quando la curva Maratona ha “perdonato” il pareggio interno contro l’Empoli convocando la squadra sotto la curva per caricarla in vista della sfida di sabato pomeriggio nella quale il Toro deve dare un significato al suo campionato. E giocatori e staff hanno immediatamente recepito. Dalle parole si è passati subito ai fatti: i giocatori hanno chiesto e ottenuto da Juric di saltare il giorno di riposo per riprendere subito gli allenamenti. Così il Toro al Filadelfia non ha perso tempo e ha subito messo la Juventus nel suo mirino. Rodriguez e compagni vogliono regalare (finalmente) ai propri tifosi una soddisfazioni dopo che li avevano illusi con un inizio da primato (due successi e un pari nelle prime tre giornate) per poi calare in maniera preoccupante non tanto sul piano del gioco ma su quello dei risultati. LEGGI TUTTO

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    Toro: Schuurs e l'uscita palla al piede. Vi ricorda qualcuno?

    TORINO – Perr Schuurs non è un ragazzo qualunque nel Toro di Ivan Juric. Il sangue dell’olandese si sta colorando sempre più di granata e lo riconosci non solamente dalle prestazioni scintillanti, collezionate sul campo, ma anche dai gesti, dagli stimoli che dà ai compagni, dalle parole soprattutto: «Il nostro valore va dimostrato in tutte le partite, anche per i tifosi. Pensiamo subito alla prossima». Dichiarazioni di un piccolo grande campioncino, con le stimmate del leader che verrà, appartenente alla leva calcistica della classe ’99: la stessa di Matthijs de Ligt, per esempio, anche lui cresciuto nella scuola dell’Ajax. Nuovo, Schuurs, perché appena alla prima stagione di Toro, però già consolidato per abitudini ed esperienze di successo.
    Perfettibile, ma già strepitoso
    E quando Juric dice di Schuurs che «ha una mentalità pazzesca, però deve crescere ancora», esattamente cosa intende? La risposta c’è: il tecnico croato e il vice Matteo Paro stanno lavorando sul tipo di marcatura stretta e sui tempi dell’anticipo, perché l’allenatore sente di aver bisogno di un difensore fisico, che aggredisca l’avversario facendogli sentire il fiato sul collo e riesca ad anticiparlo sul pallone nei tempi più stretti possibili. E che magari costringa l’attaccante a indietreggiare per non finire in fuorigioco. Già immaginiamo Juric urlare a Schuurs istruzioni del tipo: “Devi pressare, devi essere un martello”. Direttive alle quali, evidentemente, l’olandese non era abituato per la scuola di calcio frequentata fino alla scorsa stagione.
    Muraglie umane
    Quanto al lato squisitamente tecnico, nulla da eccepire, ovvio. Si possono migliorare determinati aspetti, ma senza la necessità di insegnare qualcosa. Con Schuurs non ce n’è bisogno, il ragazzo è forte, fortissimo. Perr è destinato a prendere il comando della difesa granata dopo la partenza di Gleison Bremer. E sabato, dopo l’ottima prova contro l’Empoli, c’è il derby. Quello con il brasiliano passato in estate dal Torino alla Juventus sarà un incrocio speciale, suggestivo, intrigante. Dubbio che poi non è tale: l’uscita di Schuurs palla al piede non vi ricorda forse qualcuno? Ognuno, che sia tifoso bianconero o granata, si faccia la propria idea. Intanto l’attesa della stracittadina sta montando in città. Il Toro ci crede e le esibizioni delle due squadre in questo scorcio di campionato fanno pensare che sì, stavolta, non c’è mismatch. Come minimo, a occhio, le distanze sembrano essersi ridotte.
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    Cuadrado, una crisi letale per la Juventus di Allegri

    TORINO – Juan Cuadrado ha una storia strana nella Juventus. Sottovalutato all’inizio, caricato di responsabilità forse superiori alla sua capacità alla fine. In mezzo ci sono tante partite decise dalla sua fantasia, dal suo talento multiforme e dai suoi gol. Il bilancio, insomma, sarà comunque positivo, ma adesso la crisi che sta attraversando è devastante per la Juventus di Allegri.
    La fissazione di Conte
    Cuadrado era una fissazione di Antonio Conte, che nella primavera del 2014 aveva letteralmente ossessionato Beppe Marotta perché lo strappasse alla Fiorentina per portarlo a Torino. Non accadde e Conte, anche per quello (ma ovviamente non solo per quello), maturò la clamorosa decisione di dimettersi a ritiro iniziato. Cuadrado, ironia della sorte, sbarcò alla Juventus l’estate successiva, nella seconda stagione di Allegri. In quella Juventus è lussuoso gregario: uomo in grado di spaccare le partite entrando nella ripresa e titolare multiruolo, efficiente sia come esterno basso che come ala. Il gol nel derby d’andata del 2015-16 è simbolico di ciò che è stato Cuadrado in quelle stagioni: una rete decisiva per vincere una partita decisiva (da lì partì il rimontone scudetto), segnata entrando a mezzora dalla fine.
    Uomo spogliatoio
    Cuadrado è simpatico, positivo, sempre allegro, collante umano in uno spogliatoio di duri, dove riesce a far sorridere perfino Mandzukic, alleviare le tensioni di un gruppo che prendeva maledettamente sul serio il compito di vincere sempre. Qualche volta viene messo sul mercato, ma finisce sempre per rimanere perché è utile, molto utile, quasi indispensabile quando nel corso delle stagioni la Juventus perde via via qualità tecnica. E quella di Cuadrado diventa vitale per risolvere i guai nell’anno di Sarri, quando il tecnico getta la spugna della sua rivoluzione (più o meno in autunno) e parte un’autogestione tattica, nella quale Juan è fondamentale per capacità di palleggio, per i suoi assist, per l’abnegazione atletica con cui occupa la fascia facendo contemporaneamente due ruoli. E con Pirlo è ugualmente determinante. Il lussuoso accessorio delle prime stagioni è diventato un elemento fondamentale del motore bianconero, via via che la qualità e l’esperienza della rosa è diminuita.
    Gli anni della crisi
    E così la crisi di Cuadrado, che nella scorsa stagione ha iniziato a perdere colpi e in quella attuale appare in caduta libera, incide in modo devastante sul rendimento della squadra. Nel primo anno dell’Allegri bis sembrava un problema fisico legato alle continue trasferte in Sudamerica per la nazionale. Quando tornava, impiegava sempre una decina di giorni per rimettersi in sesto, giocava un paio di partite sufficienti, poi tornava in Nazionale e ricominciava il giro. Nel mezzo qualche infortunio a rallentare il tutto. Quest’anno Cuadrado appare spremuto: non punta più l’uomo come una volta e non lo salta se ci prova, si guarda più indietro che davanti quando deve passare il pallone, commette errori di scelta incomprensibili per chi, come lui, è stato un eccellente assist-man. Per la Juventus significa perdere moltissimo in fase offensiva dove non ci sono pedine che saltano l’uomo E in fase difensiva, nella posizione di terzino, non è più affidabile come prima.

    Il perché della crisi
    Il perché di questa crisi va cercato senza dubbio nella condizione fisica di un giocatore che, evidentemente, ha necessità di riposare di più ed essere gestito. Le ultime tre stagioni hanno lasciato segni profondi su Cuadrado che non è più il Cuadrado di prima. Nonostante ciò è difficile farne a meno, con un Di Maria spesso fuori fra infortuni e squalifiche e con la penuria di esterni che lascia la Juventus spesso con scelte obbligate. Così Cuadrado gioca, perché resta un perno della Juventus, ma un perno con molta ruggine sopra e che quindi si inceppa sempre più spesso. È impossibile prevedere se la parabola discendente intrapresa dal colombiano sia irreversibile o se possono tornare tempi migliori. È molto probabile, tuttavia, che questa sia l’ultima stagione in bianconero, visto che a giugno scade il contratto e difficilmente verrà rinnovato. Il che non condizionerà le sue prestazioni (non è il tipo ed è sinceramente affezionato all’ambiente), ma non è certo il rinnovo il problema di Cuadrado in questo momento. LEGGI TUTTO

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    Juve, meglio stare zitti. Parola al lavoro e le scuse di Bonucci

    INVIATO A MILANO – Dallo sciacquatevi la bocca al tappatevi la bocca. La Juventus – Massimiliano Allegri a parte – ha lasciato San Siro più o meno così come l’hanno fatto i tifosi: ammutolita, silente. Non ha parlato capitan Leonardo Bonucci, tornato titolare. E non l’ha fatto nessun altro dei giocatori. Era già accaduto a Monza, dopo il ko rimediato prima della sosta: c’era poco da dire, al di là della disamina del tecnico (Allegri era squalificato, in conferenza e davanti alle telecamere era andato il suo vice Marco Landucci). Piuttosto c’è molto da fare, da lavorare, da recuperare.
    Juve, parola al lavoro
    In momenti come questi, peraltro, non si sarebbe potuto far altro che ripetere concetti triti e ritriti, tesi alla rabbia da trasformare in carica e voglia di riscatto. Oppure si sarebbe potuto sottolineare che per fortuna si torna subito in campo, martedì, contro il Maccabi Haifa in Champions League per provare a restare quantomeno in corsa per l’accesso agli ottavi di finale. O ancora, pescando dal prontuario, si sarebbe potuto sottolineare che non è ancora finita, che se ci si crede si possono fare le imprese, che in passato… Etc. Etc. Concetti cui è giusto affidarsi, certo, ma che hanno presa e credibilità se li dici una, due volte. Ma poi devono giocoforza cedere posto ai fatti concreti. Peraltro, sempre in momenti come questi, si entra nel campo in cui una parola è poca e due sono troppe. Cioè: basta mezza frase in più per creare casini. E complicanze. Dopo la sconfitta in Champions League contro il Benfica, ad esempio, s’era assistito all’ottimismo ostentato da Allegri da una parte e invece dall’altra alla preoccupazione di Bonucci, che aveva sottolineato che si commettevano sempre gli stessi errori.
    Milan-Juve, serata da dimenticare per Bonucci
    Da quel proclamo le sorti di Bonucci sono andate vacillando tra panchine, polemiche, difficoltà varie. Anche con i tifosi i rapporti sono diventati tesi e sono sfociati in alcune contestazioni. Ieri, a Milano, s’è giunti al culmine. La San Siro rossonera ha fischiato il capitano juventino memore di quella parentesi milanista (stagione 2017-18 mirata a «spostare gli equilibri») presto bollata come un errore clamoroso dal diretto interessato, tornato rapidamente e mestamente sui suoi passi. Ma pure lo spicchio di stadio juventino ha avuto a che ridire, durante la chiama dei titolari. In passato è capitato che situazioni come queste galvanizzassero Bonucci, bravissimo a trasformare fischi e insulti in carica emotiva, determinazione, motivazioni. Spesso ha segnato, in mezzo alla bolgia, viaggiando fiero in direzione ostinata e contraria. Questa volta, invece, no. Ha visto, segnare. Sotto i suoi occhi.
    Milan-Juve, arrivano le scuse di Bonucci
    Con personalità, però, alla fine, non s’è tirato indietro. E’ stato lui, ancora un volta, sia pure un po’ spaesato e dubbioso sulla reazione che avrebbe riscontrato, a indurre i compagni a fare comunque un cenno di saluto ai tifosi bianconeri. Non sotto la curva, ma almeno da metà campo. Una assunzione di responsabilità che comunque è giusto riconoscere al difensore bianconero. Sperando, sempre, che non debbano seguirne in quantità.
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