Il primo italiano a vincere la Champions alla guida di un club straniero, il Chelsea, ripassa da Inter-Psg: «Nerazzurri sfiniti, francesi maturi e cinici». Roberto Di Matteo, natali a Sciaffusa nel ’70, maglie di Lazio, Chelsea e Italia scolpite nel petto, è reduce da una sfida a golf nel sud Sardegna. Sulle nove buche del Tanka resort ha perso di un filo da Gianfranco Zola: «Gioca meglio di me. Ma stavo per batterlo». Mazze e par. Ma il calcio è la cometa che non si scorda. «Lo scudetto al Napoli? Dal lavoro di Conte, tra infortuni pesanti, Lobotka, e cessioni doc, Kvaratskchelia. All’innesto di McTominay: giocava poco in Premier, un leader in A. Antonio ha vinto il titolo con il gruppo».
Fabio Pisacane, dalla Primavera del Cagliari alla prima squadra. È un balzo rischioso?
«La Coppa Italia di categoria non si vince per caso. Il club avrà valutato pro e contro. Va capito quale gruppo e quali uomini saranno funzionali al progetto e all’obiettivo».
Piccoli, dieci reti, Caprile ottima sorpresa e Adopo in crescita: sono in forse. La piazza auspica garanzie.
«Chicco Evani è stato un buon giocatore ma con il Milan ha vinto tutto. E Colombo, come ripete spesso Sacchi, ha vinto più di un gigante come Maradona. Il singolo, diciamo normale, deve essere al servizio della squadra assieme al fenomeno. Il Cagliari che giocherà per la salvezza dovrà avere giocatori funzionali. Che in campo danno tutto per 38 gare. Il gruppo farà sempre la differenza. Un po’ sorprende che i tifosi del Cagliari siano dubbiosi su Pisacane: solitamente queste storie sono accolte bene».
Forse, per le scommesse perse negli ultimi anni.
«Stare in A è basilare. Che i tifosi cullino ambizioni e crescita è normale. Ma è meglio stare con i piedi per terra».
Con questo umore hai vinto la Champions?
«Al Chelsea era una fase di transizione. Carletto (Ancelotti, ndc) aveva allegerito la rosa. Il nucleo storico, John Terry, Lampard, Drogba, Ivanovic, Essien, Cech e Maloudà, dava forza al progetto. Ma la proprietà chiedeva rinnovamento e risultati. La vittoria sul Bayern ai rigori ha chiuso un ciclo. Poi, a Monaco ho avuto un po’ di fortuna».
C’è un insegnamento per Pisacane?
«Sappia ottenere i rinforzi giusti commisurati agli obiettivi richiesti. Lavori con i giocatori più esperti e costruisca un gruppo giovane, con gli innesti dalla Primavera».
Cosa deve evitare?
«Che per compiacere la proprietà si accontenti e cerchi di fare miracoli. Nel calcio qualche volta accadono. Ma è meglio avere le spalle al sicuro».
Dicevi della funzionalità del singolo rispetto al gruppo.
«Beppe Dossena mi ha detto che quando ha vinto o centrato i risultati, ha sempre avuto un faro, in campo o fuori, che ha unito e amplificato le forze del collettivo. Alla Samp con il presidente Paolo Mantovani, eccellente figura presidenziale, e in Nazionale, ai mondiali di Spagna, con Enzo Bearzot».
Traduzione?
«Quando alleni devi contare su chi ti supporta, quanti hai al fianco, chi condivide il lavoro e si mette a disposizione. Spirito di servizio e organizzazione possono essere più importanti delle idee di gioco. Altrimenti tutto si complica».