Antonio s’è trovato di fronte non un semplice presidente di calcio, bensì l’uomo di cinema che per tutta la vita ha trattato con registi, attori e attrici, sceneggiatori e talent manager; il produttore che ha trasferito nel pallone le conoscenze, le dinamiche e anche le esuberanze maturate in tanti anni tra Hollywood e Cinecittà.
Rileggendo le battute di Aurelio dalla notte dello scudetto a ieri e interpretati i silenzi, ma anche i larghi sorrisi di Conte ai napoletani in festa, si evince che il primo non ha sbagliato una mossa, passando dalla freddezza della prima ora a un calore ustionante nei contronti del tecnico, mentre il secondo, visibilmente sedotto dalla città, ha in fondo avuto ciò che desiderava.
Scottato a gennaio dalla cessione di Kvara, per la cui permanenza s’era battuto l’estate scorsa, Conte aveva smesso di fidarsi del presidente. Nelle settimane che hanno preceduto il suo trionfo personale e professionale ha perciò incrementato la distanza tra sé e l’altro, lasciando immaginare che la separazione si sarebbe consumata alla fine della prima delle tre stagioni previste.
A obiettivo raggiunto, De Laurentiis, che è capace di affettuosità senza pari ma anche di rotture verbalmente cruente, ha mostrato ad Antonio il campionario completo delle garanzie e tenerezze in suo possesso riuscendo a convincerlo.
Per il Napoli la permanenza dell’allenatore è una notizia bellissima in funzione della crescita della squadra.
Per mesi Antonio ha ripetuto due parole – “miracolo” per il presente e “crescita” per il futuro – fino a quando, appunto, ha capito che la sola cosa che contava era risultare di nuovo vincente per rafforzare la propria posizione.
Cosa intende lui per fiducia? La garanzia di investimenti tecnici e strutturali, dal momento che tra pochi mesi il Napoli sarà di nuovo in Champions: vuole ripartire con tutte le cose a posto eliminando alla radice gli stress supplementari.
Parafrasando Lena Sadler, la fiducia è per entrambi la sola cura conosciuta per la paura di sbagliare.