Ottavio Bianchi, l’allenatore del primo storico scudetto del Napoli di Maradona, anno 1987, era in albergo durante i festeggiamenti, mentre la città si colorava d’azzurro per un’impresa senza precedenti. «Devo ringraziare Ferlaino, fu lui con la sua signora a obbligarmi ad andare in giro in auto per vedere quello che stava succedendo. Lo ringrazio perché altrimenti sarei già andato a letto e dal vivo non avrei visto nulla di quello che stava accadendo attorno a me». Bianchi si definisce uomo pragmatico, fa sempre scorta d’ironia («Non mi sono mai strappato i capelli per lo scudetto, anche perché non ne avevo molti») dove custodisce le emozioni: «Certo che ero felice, ma godevo dentro. Era bella la consapevolezza di aver fatto un bel lavoro e di aver reso felici i tifosi, tutto qui. Nel nostro mestiere vinci o perdi, funziona così». Oggi, all’età di 81 anni, vive da spettatore l’attesa per il possibile quarto titolo per una città che intanto è diventata matura: «Però, visto che li conosco, non diciamo ancora nulla, non facciamo previsioni e non fissiamo percentuali. Restiamo in attesa del traguardo, che è l’unica cosa che conta».
Ma un allenatore, a tre giornate dal termine, in una città come Napoli, come la gestisce quest’attesa?
«Dovrebbe mettersi nel frigorifero assieme alla parola scudetto. Ma Conte questo lo sta già facendo. Ho letto le sue dichiarazioni recenti. È fin troppo esperto e da uomo del sud sa benissimo dove si trova e quale sia l’entusiasmo che lo circonda. E poi la differenza ormai è evidente».
Quale?
«Napoli ha imparato a vincere. Sa come si fa. Fa parte dell’élite del calcio, un privilegio che ha conquistato sul campo, stagione dopo stagione. Ormai sanno come i gestire i momenti. C’è un altro tipo di stress rispetto a qualche anno fa. Parlo del club, della squadra ma anche della città che io conosco bene e che ho nel cuore. Ai miei tempi era tutto diverso».
Il primo scudetto non si scorda mai.
«Ma io mi riferisco anche alla mia esperienza da giocatore del Napoli. La squadra era forte, c’erano nomi importanti, eppure non avevamo mai vinto niente. Magari capitava di battere una big e festeggiavi per un mese. Poi però loro vincevano trofei e noi la settimana dopo contro una squadra piccola ci lasciavamo le penne. Le grandi squadre non dovrebbero mai festeggiare per una partita. Non ho mai visto tennisti o ciclisti esultare a metà del percorso».
Niente percentuali, ma tre punti di vantaggio a tre partite dal termine rappresentano un margine rassicurante?
«Diciamo che, tornando al ciclismo, il Napoli non è più in volata ma in fuga da solo. Ha disputato un campionato eccezionale anche per costanza di rendimento. Certo non aver avuto le coppe durante la settimana ha inciso. È stato un bel vantaggio. Se giochi ogni tre giorni è difficile anche solo recuperare giocatori per piccoli infortuni. Vedi l’Inter. Però è vero anche che con le rose profonde e la qualità di oggi e con i cinque cambi a partita, puoi permetterti diverse rotazioni e un turnover più ampio».
Si aspettava di più da Inzaghi per il percorso dell’Inter in campionato?
«Ma quando alleni una grande squadra non puoi scegliere tra le competizioni. C’è una maglia da rispettare. Giochi per vincerle tutte. Poi puoi alzare uno, due o nessun trofeo, fa parte del rischio e dipende anche dagli infortuni o da un calo di concentrazione, ma l’Inter fino a qualche settimana fa era in corsa per tutto e quindi non sottovaluterei la sua stagione, al di là di come andrà a finire».
Che campionato è stato?
«Direi anomalo e con una quota scudetto non troppo alta. Inizialmente sembrava corsa tra tante, poi sono rimaste solo in due a lottare. Ma questo non toglie meriti al Napoli e al suo percorso che, ripeto, è stato eccezionale, da applausi, con una difesa solida che ha fatto la differenza. Il suo allenatore fino a poco tempo fa parlava della qualificazione in Champions League come obiettivo principale, invece sono primi con pieno merito».
Conte è stato il protagonista assoluto?
«Ha avuto il grande pregio di far rendere tutti al massimo in una squadra che in estate aveva perso Osimhen e a gennaio Kvaratskhelia senza essere sostituito. Ovvero i due protagonisti dell’ultimo scudetto. Non c’è stato il grande giocatore che si è messo in evidenza più degli altri. La rosa ha avuto un rendimento costante da parte di tutti. D’altronde è questa la regola del gioco di squadra, dal rugby alla pallavolo passando per la pallacanestro. Se nel calcio si gioca in undici ci sarà un motivo. E Conte è uno che storicamente ha sempre ottenuto il massimo dalla macchina che ha a propria disposizione».