Fuor di battuta, Simone ha fatto bene: non c’erano più le condizioni per proseguire. A una manita in faccia nella finale di Champions non sopravvive nessuno, neppure il più grande di tutti, il Magnifico Portoghese.
Cinque dita di violenza parigina procurano infatti dolori lancinanti azzerando qualsiasi illusione. Perché una cosa è tentare di ricostruire squadra e clima dopo una sconfitta come quella di Istanbul, altro è ripartire da uno zerocinque con il costante accompagnamento della diffidenza del club e della tifoseria; tifoseria che è stata peraltro eccezionale nella fase più acuta: tanti interisti non si sono allontanati dall’allenatore che con i risultati e la competitività ha permesso al club di superare la grande crisi finanziaria.
Costretto ad allenare in economia, in quattro anni Inzaghi ha dato un valore compiuto agli sforzi e alle idee di Marotta e Ausilio, vincendo anche le iniziali perplessità del primo, da qualche mese presidente.
Quello che penso di Inzaghi e del suo lavoro l’ho scritto e ripetuto a più riprese: mi ha addirittura stupito per la maturità raggiunta diventando in poco tempo un top mondiale.
La verità è che i top mondiali non possono permettersi di perdere: la loro condizione di eccellenza li obbliga a vincere e vincere e vincere ancora, mentre la sconfitta li costringe inevitabilmente alla resa.
In fondo gli allenatori di primissima fascia sono paragonabili agli amministratori delegati dai quali l’azienda pretende puntualmente fatturati di livello.
È triste, ma è così: parliamo del calcio professionistico, non di quello dilettantistico o di base. Lo sport è un pretesto. Parliamo di numeri impressionanti, di miliardi. E non di sostenibilità, condizione che ha a che fare più con la sopravvivenza che con il successo.
Simone è un tecnico che la sostenibilità l’ha dovuta affrontare, soffrire, vincere e alla lunga l’ha pagata pesantemente.
Non a caso ha sottolineato – a bassa voce, con eleganza – la differenza tra Inter e Psg sul piano delle spese. Nel 2009 il giornalista e scrittore Simon Kuper e il professor Stefan Szymanski dell’Università del Michigan analizzarono i risultati sportivi di 20 anni di Premier League. L’obiettivo era quello di individuare l’elemento più incidente sui risultati sportivi e, di riflesso, sui pronostici.
Volete sapere a quale conclusione giunsero? Alla più scontata: il monte ingaggi.
Le squadre con il monte ingaggi più alto hanno vinto più partite, o ottenuto il maggior numero di risultati positivi. Naturalmente nel lungo termine – in vent’anni -: in una singola stagione il rapporto tra il monte ingaggi e il risultato finale può variare.
Investendo centinaia di milioni e sfruttando una normativa discutibile, Chelsea (Abramovich dal 2003), Manchester City (Fondo di Abu Dhabi dal 2008) e Psg (Fondo Sovrano del Qatar dal 2011) hanno costruito dal nulla (o quasi) dei brand mondiali nell’arco di un solo decennio. E tutti e tre hanno inoltre vinto la Champions.
Quindi affermare che la pietra angolare che regge il sistema deve essere la sostenibilità (circular economy 4R: Reduce, Reuse, Recycle, Recover, ovvero ridurre, riutilizzare, riciclare, recuperare) è assolutamente fuorviante: per vincere con continuità occorre investire tanto e bene!
Anche in Arabia dove sono ancora fermi al tanto.