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Lookman, la sentenza Diarra e il caso Koopmeiners: i rischi e le possibili conseguenze

Come lo scorso anno, allora il protagonista fu Koopmeiners, oggi Ademola Lookman interrompe unilateralmente ogni attività con l’Atalanta, rivendicando il diritto ad essere trasferito ad un club di maggiore gradimento (l’Inter). Il tutto sulla base di una presunta promessa strappata al club orobico nell’estate scorsa, a suo dire non mantenuta. L’Atalanta ha confermato che, tra le parti, sarebbe intervenuta una sorta di gentlemen agreement, ma solo in caso di trasferimento a società estera. In pillole: il giocatore riceve un’allettante offerta di lavoro, cerca di forzare il proprio trasferimento e rassegna quelle che, nel rapporto di lavoro ordinario, vengono qualificate come ‘dimissioni di fatto’ nei confronti della società di appartenenza. Così privandola dell’unico diritto suscettibile di attribuzione economica, ovvero le prestazioni sportive e la possibilità di usufruirne.

La sentenza Diarra

Un film già visto, diranno i più. Tra Koopmeiners (e molti altri) e Lookman (e pochi altri), c’è stato Diarra, o meglio la sentenza Diarra che, pubblicata il 4 ottobre 2024 dalla Corte di Giustizia Europea, avrebbe, secondo alcuni, attribuito ai calciatori massima libertà di svincolarsi dal club di appartenenza. In realtà, credo che la lettura sin qui data alla portata della pronuncia della Corte sia, oltre che parziale, anche superficiale: la decisione emessa sul caso, infatti, non ha liberalizzato né legittimato le dimissioni in ambito sportivo. Piuttosto, ha espresso – tra vari principi di indubbio interesse giuridico – quello secondo cui, in presenza di prematura interruzione di un rapporto di lavoro, la responsabilità debba essere attribuita (così come l’obbligo di risarcire il relativo danno) al soggetto che, effettivamente, ha determinato, in concreto, l’anticipata cessazione del vincolo, quindi Lookman se le circostanze degenerassero. Senza alcun automatismo che consenta di invocare presunzioni per estendere a terzi, ovvero alla compagine squadra di destinazione finale, gli obblighi risarcitori (mi riferisco alla presunzione di responsabilità della società che successivamente tesseri l’atleta, prevista dal Regolamento Fifa, che la Corte di Giustizia Europea ha duramente censurato). Nella fattispecie attualmente in esame, però, Lookman – stando, almeno, alle notizie reperibili dagli organi di stampa – non ha maturato alcuna giusta causa, meno che mai il diritto per interrompere il contratto. A tale fine, nessun rilievo può essere attribuito alla promessa orobica che, per quanto consta e a prescindere dal suo contenuto, non è stata mai formalizzata su un documento contrattuale né, tantomeno, depositata presso la Lega Nazionale Professionisti Serie A: quod non est in actis, non est in mundo, a maggior ragione nell’ordinamento sportivo, contesto nel quale la forma scritta di qualsivoglia accordo, anche integrativo, è prevista come elemento essenziale per tutti i contratti di lavoro (e le scritture accessorie alle stesse, come sarebbe un’eventuale clausola di buy-out), forma in difetto della quale l’impegno è affetto da nullità assoluta.

I rischi per Lookman e non solo

Conseguentemente, a fronte di ‘dimissioni’ – o, più correttamente, di recesso unilaterale – l’anglo-nigeriano sarebbe tenuto, personalmente, a corrispondere un congruo, ed onerosissimo, risarcimento danni in favore dell’Atalanta (oltre a rispondere, sul piano disciplinare, qualora il contratto di lavoro in essere si trovi ancora nel periodo cd. ‘protetto’). Nello scenario in esame, con buona pace della “sentenza Diarra”, non direttamente applicabile alla vicenda in commento, potrebbe essere a rischio anche la posizione del club che andrebbe ad avvalersi delle prestazioni del calciatore nel periodo successivo alla rottura: ciò a condizione che, quale fonte del recesso unilaterale del giocatore, sia accertato l’interessamento, con relativa offerta, di un’altra società, concretamente, e causalmente, idoneo ad indurre l’atleta all’interruzione del rapporto lavorativo con la squadra di appartenenza. Contestazioni, e conclusioni, allo stato, tutte da dimostrare. Pertanto, in siffatto contesto, appare difficile che il calciatore, nei prossimi giorni, giunga, effettivamente, a forzare la mano del proprio rapporto con gli orobici, così come che una società terza induca, raggiungendo lo scopo, l’attaccante a recedere dal contratto: il trasferimento, conclusivamente, si farà se tutte le parti – calciatore, club cessionario e Atalanta – troveranno una soluzione di comune gradimento. Come accadde, qualche anno addietro, ad Attilio Fresia, precursore dei colleghi del calcio moderno, che passò, nel 1913, dall’Andrea Doria al Genoa per 400 lire, dopo feroci attacchi e infinite polemiche, compresa una squalifica di 2 anni.  

(Mattia Grassani, avvocato esperto di diritto sportivo)



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/calcio-mercato

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