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Caos arbitri, l’Aia è morta e va subito ricostruita

Doverosa premessa: la comunicazione di conclusione delle indagini notificata dalla Procura Federale al presidente dell’AIA, Antonio Zappi, non è una sentenza di condanna. Il massimo dirigente arbitrale, infatti, avrà modo, nel pieno rispetto del fondamentale diritto di difesa che gli deve essere riconosciuto, con i tempi e le scansioni del procedimento sportivo, di esporre tutti gli argomenti a propria difesa. Il dato che, però, emerge, alla luce dalle contestazioni mosse dal rappresentante dell’accusa Figc, il Consigliere di Stato, Giuseppe Chinè, appare raccapricciante e, al tempo stesso, in grado di mettere in ginocchio l’organizzazione dei fischietti di vertice, la loro governance e la stessa sopravvivenza di un modello. Modello che, a prescindere dalla cronaca attuale, si è rivelato, non infrequentemente, obsoleto, permeabile e in balia di soggetti spregiudicati le cui condotte hanno, anche in un recente passato, cagio-nato enormi danni reputazionali e di credibilità al sistema. La posta in palio è altissima. I custodi delle regole sul campo sono i primi a dover dimostrare equilibrio, imparzialità e garantire un principio fondamentale, ovvero quello di democrazia interna. Tale precetto vale ancor di più se riferito alle figure apicali dell’Associazione, in primis il presidente. Secondo il Dott. Giuseppe Chinè, magistrato di comprovata esperienza e di indiscutibile terzietà, Antonio Zappi avrebbe violato i doveri fondamentali dell’ordinamento sportivo, parliamo di lealtà, correttezza e probità, cardini irrinunciabili dell’autonomia e del corretto funzionamento dell’AIA, oltre ad una serie di norme regola-mentari poste a presidio della stessa.

Esercitare pressioni per indurre alle dimissioni Organi tecnici nazionali, promettere ruoli e cariche in cambio della rinuncia oltre che compensazioni economiche di pari livello, queste, in sintesi, le accuse mosse a Zappi, rappresentano, ove dimostrate, la negazione di valori su cui si fondano l’essenza e l’esistenza della più figura insostituibile del calcio, al pari di ogni altro sport. Chi non ricorda le tristi gesta di Rosario D’Onofrio, accusato, nel 2022, di avere svolto le funzioni di procuratore arbitrale, recandosi liberamente a Roma, allorquando era agli arresti domiciliari per traffico internazionale di droga, reato per cui è stato condannato, in primo grado, dal Tribunale di Milano, a 5 anni e 8 mesi di reclusione? Chi non ricorda, nell’annus horribilis del calcio italiano, il 2006, il presidente, Tullio Lanese, i designatori della Serie A, Bergamo e Pairetto, il direttore di gara designato per i Mondiali, Massimo De Santis, colpiti, in sede sportiva, da inibizioni di medio-lungo periodo? Lo scandalo, l’ennesimo, deflagrato in questi giorni, ferma la presunzione di non colpevolezza, appare, almeno a chi scrive, molto simile, purtroppo, quanto a opacità, antidoverosità e portata lesiva della reputazione dell’Istituzione, a quelle appena descritte. A brevissimo conosceremo gli sviluppi dell’indagine, in particolare se il presidente AIA sarà sottoposto al giudizio disciplinare del Tribunale Federale Nazionale, iniziativa di cui, allo stato, la Procura Figc sembra convinta oppure se il caso verrà archiviato.

Certo è che, in ipotesi di affermazione di responsabilità e conseguente condanna, indipendentemente dall’entità della sanzione, Antonio Zappi, salvo dimissioni preventive e spontanee, sarà costretto a la-sciare la carica di massimo rappresentante associativo degli arbitri. Il commissariamento si rivelerebbe inevitabile e il momento, in attesa di nuove elezioni, potrebbe essere propizio per affrontare il tema di una riforma (già avvenuta, lo ricordiamo, per ciò che attiene alla giu-stizia arbitrale, dopo il caso D’Onofrio, con eliminazione degli organi domestici AIA), della gestione dei fischietti chiamati a dirigere i campionati di vertice. Creare una struttura tecnica sganciata dall’AIA, dalle dinamiche politiche, elettorali ed associative che spesse volte ne hanno compromesso, a tacer d’altro, la funzionalità, da costituire presso la Figc e sotto il controllo di questa, integra uno spunto di riflessione e una base di partenza. Gli arbitri di eccellenza, l’elite della direzione sportiva, dipenderebbero dalla Federazione, senza più dover fare i conti con un mondo in cui essere figlio d’arte, avere un parente nell’organigramma dirigenziale o appartenere ad una Sezione piuttosto che ad un’altra possano costituire una scorciatoia o il lasciapassare per traguardi altrimenti immeritati.

Arbitrare è tremendamente difficile, importantissimo è il ruolo di chi applica le regole in campo, senza direttori credibili, super partes ed estranei a qualsivoglia condizionamento, il movimento è destinato all’implosione ma lo è anche se i dirigenti dell’AIA, i designatori ed i vertici associativi non sono e non si dimostrano, all’interno ed all’esterno, al di sopra delle parti, senza macchia e portabandiera di principi quali, lo ripetiamo, la lealtà, la correttezza e la probità. I modelli da seguire non mancano, anche se lontani sono i tempi in cui Concetto Lo Bello, Giulio Campanati, Cesare Gussoni, Luigi Agnolin e anche il mio Amico, Roberto Armienti, soldato di provincia ar-bitrale bolognese, conferivano lustro alla categoria e trasmettevano fulgidi esempi di virtù e spirito di servizio. Certamente, quanto è sotto gli occhi di tutti non consente di rimandare oltremodo la più profonda delle valutazioni circa la riorganizzazione di un settore nevralgico, nell’ambito del quale il calcio sente, e da tempo, la necessità di profonde riforme, con restituzione dei gradi di dignità, onore e rispettabilità che esso merita.



Fonte: http://www.corrieredellosport.it/rss/calcio/serie-a

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