Abate, come vive la condizione anomala di un club commissariato e sotto tutela giudiziaria?
«Con grande responsabilità nei confronti di chi mi ha dato questa opportunità. E con sentimento, perché ci metto il cuore da sempre in ogni cosa che faccio».
E poi?
«Con equilibrio in un campionato difficile che non può essere affrontato diversamente».
Lei ha già battuto il Palermo del suo amico Inzaghi.
«Per carattere non riesco a godermi a fondo le cose. Sapevamo che sarebbe stata dura contro una squadra fortissima che alla fine concorrerà per la A. Ma noi dobbiamo vivere tutto come una grande occasione da cogliere e per step di crescita».
Il prossimo sarà la Samp?
«In casa siamo fastidiosi perché riusciamo a esprimerci con personalità. Dobbiamo migliorare in trasferta. Ma i ragazzi sanno che c’è un percorso da fare».
Figlio d’arte, predestinato da calciatore, la vocazione da tecnico, invece, come nasce?
«Ero proiettato verso una funzione dirigenziale (è anche direttore sportivo, ndr). Feci il corso per diventare allenatore e capii che era quella la mia strada. Sono felice perché sono partito dal settore giovanile del Milan. Ho voglia di imparare. Spero di migliorare con questo gruppo».
Grandi maestri in campo come Reja a Napoli e Allegri al Milan. Ma anche Leonardo in rossonero e Prandelli e Conte in Nazionale.
«Reja è stato un papà a Napoli, avevo solo 17 anni ed era la mia prima esperienza fuori casa. Ognuno mi ha lasciato qualcosa, ma serve poi metterci del tuo. Ne ho avuto tanti di allenatori che mi hanno fatto migliorare col lavoro. Ricordo con grande affetto Malesani a Empoli che mi ha insegnato tanto dal punto di vista tattico. Allegri è stato un maestro nella gestione. Ricordo anche Francesco Bertuzzo e Marino Frigerio nel settore giovanile».
Milan sempre nel cuore?
«Sono diventato uomo in quella società straordinaria. La mentalità e la professionalità le ho apprese lì. Come il senso del dovere e l’etica della responsabilità. Ma io sono cresciuto anche grazie ai valori che mi venivano dalla famiglia: dai miei genitori e dai miei nonni: Ignazio e Pasquale, nonna Nunzia e nonna Margherita. Una fortuna averli avuti».
La Ternana per cosa la ricorda?
«È stata la mia prima esperienza tra i professionisti in panchina. Me la porterò dentro sempre. Siamo ripartiti da una retrocessione tra difficoltà, con tanti che chiedevano di andare via. Poi il gruppo si è formato e abbiamo fatto un torneo di valori morali alti. Si vedevano in campo. Questo resta».
Il suo gioco organizzato e intenso su cosa si regge?
«Credo che esprimersi bene ti dia più possibilità di vincere. La cosa difficile è apprendere a utilizzare il sistema di gioco adottato. Poi occorre sacrificio nei duelli che dipendono dall’impegno di ogni calciatore».
Rigidità o duttilità: cosa predilige tatticamente?
«Non sono un integralista, ma saper riconoscere le fasi di gioco serve tanto. Nel calcio oggi bisogna saper giocare in modo relazionale, non solo posizionale. E senza mai rinunciare al coraggio».
Come avete fatto a non risentire delle vicende che hanno riguardato il club?
«Nelle difficoltà è necessario isolarsi e reagire. La situazione non è semplice, ma le cose in cui non puoi incidere ti portano via energie e quindi occorre non pensarci. Questo deve stimolarci. Il direttore Lovisa è stato fondamentale per impedire che nel gruppo si potessero creare alibi».
Dopo Adorante e Floriani Mussolini, altri talenti: Cacciamani e Pierobon su tutti.
«Io penso che i giovani si possano esprimere in un contesto positivo. C’è necessità di un gruppo sano e unito. Lo zoccolo duro della scorsa stagione ha dato una grande mano. Abbiamo potuto prendere giovani di talento, ma solo questo non basta. Serve infondere fiducia».
Quali altri giovani ci sono da seguire in B?
«Stabile e Reale, De Pieri e Mannini hanno potenzialità. Cisse è un talento, Berti era già forte».
Ma perché i tanti talenti poi non hanno opportunità?
«Il discorso è complesso. Tutti dovremmo porci la domanda se abbiamo fatto del nostro meglio. Anche le regole dei settori giovanili non aiutano. Io andai in prestito a Napoli a 17 anni. La C è formativa. Le seconde squadre? Sono favorevole se sono funzionali alla crescita dei giovani. L’ossessione dei risultati a tutti i costi con i baby non funziona. Pio Esposito e Camarda giocavano sotto età, ma è così che sono esplosi e oggi sono in A».
I problemi della Nazionale di Gattuso oggi, e di altri ct prima di lui, nascono anche da ciò?
«Servono regole diverse e anche spazi più ampi. Se non siamo andati ai Mondiali il problema non è solo generazionale».
Chi gioca il miglior calcio in B?
«Il Frosinone e il Venezia sono squadre propositive. Stroppa è sempre alla ricerca di un gioco dominante. Alvini ribalta bene l’azione. Noi ci proviamo».
A cosa può ambire il club con la nuova proprietà dopo l’addio di Langella e il passaggio a Solmate specializzata in cripto valute?
«Alla salvezza. Bisogna arrivare velocemente ai 46 punti. Questo torneo è pieno di difficoltà. Meglio non farsi illusioni».

