consigliato per te

  • in

    Torino, attento Cairo: così perderai anche il parafulmine Juric

    Urbano Cairo è diventato ufficialmente proprietario del Toro il 2 settembre 2005. Ha perso ventuno derby sui ventisette disputati durante la sua gestione e ne ha vinto uno solo su 27: percentuale di successo 3,27%. Un infelice record granata che, presumibilmente, non verrà mai battuto, anche perché c’è la gara di ritorno con la Juve da disputare e al peggio non c’è mai fine. Ma di peggio, rispetto alla delusione dei tifosi per la sconfitta con i bianconeri, c’è l’involuzione del rapporto fra Juric e il Toro, cioè con Cairo, che sta sconfinando nella disaffezione, nella delusione, nella frustrazione del tecnico croato per la squadra che, se gli avessero dato retta, oggi sarebbe potuta essere altrove e non undicesima con 11 punti, a -15 dal Napoli capolista, a +6 sulla zona B, con 3 vittorie, 2 pareggi e 5 sconfitte sul groppone, 8 gol segnati e 12 subiti. Le dichiarazioni di Ivan il Parafulmine sono sempre più preoccupanti: “Non chiedo rinforzi per gennaio: ho già preso due schiaffi e fatto tre passi indietro. Il futuro? Non so che cosa farò”. E ancora: “Non batterò i pugni perché tanto è inutile”. La verità è semplice e, al tempo stesso, sconfortante: questo Toro ha perso l’anima che Juric gli aveva dato, la personalità, la grinta, la determinazione indispensabili per non ripiombare nella grigia mediocrità diventata sinonimo di granata frustrazione. Di nuovo, questo Toro sembra essersi votato all’ennesimo piccolo cabotaggio, fissando il decimo posto come un traguardo magnifico quando, al contrario, è l’avvilente sublimazione di un appiattimento senza fine. Su Tuttosport, all’indomani del derby, Andrea Pavan con lo stile icastico e tagliente che lo contraddistingue, ha fatto un calcolo partendo da quel 3,27 % di successo registrato dopo 27 derby. “Rimanendo proprietario del Torino Fc ancora per 73 derby e quindi per un’altra cinquantina d’anni, Cairo riuscirebbe forse a vincerne un paio”. Raggelante scenario per una tifoseria che non sa più a che santo votarsi né coltiva la flebile speranza che le cose possano cambiare. Domenica i granata giocheranno a Udine, contro la terza in classifica che si è lasciata 6 vittorie e 2 pareggi nelle ultime 8 gare. E’ vero: dopo la notte arriva sempre l’alba. Ma per questo Toro il buio è sempre pesto.Sullo stesso argomentoTorino, Cairo: “Derby? Deluso come Juric. Non parlo di mercato”TorinoIscriviti al Fantacampionato Tuttosport League e vinci fantastici premi! LEGGI TUTTO

  • in

    Cairo e Vagnati, il Toro ha un attacco penoso: fino a quando?

    Le perplessità sui limiti dell’attacco hanno accompagnato tutta questa prima parte della stagione, anche quando, a Monza e a Cremona e poi contro il Lecce, sono arrivate le uniche vittorie del Toro in dieci giornate. Adesso che nel proprio cammino Juric ha incontrato avversarie di qualità e soprattutto con panchine lunghe, il problema è esploso in tutta la sua potenza, perché se una squadra segna soltanto otto reti – peggio soltanto Fiorentina, Spezia, Cremonese e Sampdoria, tutte con una partita in meno – è evidente che puoi sostenere ragionevolmente che mancano i gol dei centrocampisti e degli esterni, ma prima di tutto, così è il calcio, manca la concretezza delle punte. È vero che nel derby il Toro si è trovato con una situazione particolare, perché un problema muscolare al polpaccio ha impedito a Sanabria di esserci e pure Pellegri è stato recuperato all’ultimo per un altro problema fisico di vecchia data che in parte ne avrà condizionato la prestazione sottotono, ma è chiaro che a fronte del poco concretizzato nelle altre partite non ci si può aggrappare a questi discorsi.
    Torino, il processo di crescita bloccato
    Juric ha saputo dare un’identità tattica alla squadra, ha provato a inventarsi qualcosa di diverso con tentativi magari discutibili (il tridente contro il Sassuolo, formato da Seck, Vlasic e Radonjic con Sanabria e Pellegri in panchina, era obiettivamente un azzardo) e tuttavia in parte dettati dalla necessità contingente, come ieri, e in parte dalla manifesta volontà di dare un segnale alla società, perché le parole pronunciate dopo la sconfitta testimoniano tutta la sua insoddisfazione. Il processo di crescita del Torino è bloccato: i punti in classifica sono gli stessi della scorsa stagione, la prima con il croato in panchina, e frutto dello stesso score (tre vittorie, due pareggi, cinque sconfitte), però le reti sono dimezzate. Non accadeva da otto anni che i granata arrivassero a questo punto del campionato con un bottino così misero: c’era Ventura e i gol erano sette. Riprendersi da una sconfitta nel derby, ancorché diventata una triste abitudine, non sarà facile, tanto più considerando che, dopo la partita di Coppa Italia contro il Cittadella, il Toro andrà a Udine e affronterà poi in casa il Milan. Ma intanto è necessario che Cairo e Vagnati prendano atto che, insieme al centrocampista di sostanza più volte invocato da Juric e magari rinunciando all’ennesimo trequartista, l’acquisto di un attaccante a gennaio è diventato imprescindibile e non potrà essere un elemento di secondo piano. Serve un titolare, serve un giocatore sul quale investire una parte sostanziosa dei ricavi propiziati dalla cessione di Bremer. Il direttore tecnico nelle ultime settimane è stato in giro per l’Europa a cercare occasioni e ha presentato al presidente una lista nella quale non può non comparire il nome di una punta: l’unico modo per riuscire a dare un senso a una stagione che altrimenti rischierà di scivolare in un anonimato deprimente del quale tutti farebbero volentieri a meno.
    Iscriviti al Fantacampionato Tuttosport League e vinci fantastici premi! LEGGI TUTTO

  • in

    Cairo, ma una punta per il Toro la compri?

    Basterebbe un Destro

    Una roba allucinante, sì, per ricorrere a un aggettivo caro a Juric per provare a spiegare l’inspiegabile. Che poi non è nemmeno inspiegabile, anche se a volte si fa davvero fatica a crederci: la verità è che il Toro – squadra composta da calciatori in parte di medio livello, in parte di livello basso, ma con un impianto di gioco brillante, coraggioso e fin troppo coerente in qualsiasi contesto agonistico – non ha un attaccante degno di tale definizione; di bomber, goleador, non parliamo nemmeno. Con quanto la squadra costruisce, basterebbe – le sarebbe bastata – un mestierante d’area di rigore (avversaria). Nei giorni scorsi, in vista della partita con l’Empoli, lo avevamo indicato più volte proprio in Mattia Destro: niente di che, ma comunque uno che quando sente – non necessariamente vede, come ieri, quando stava di spalle – la porta, sa comunque che cosa fare per creare i presupposti di un pericolo. Con Destro, un Destro qualsiasi, al posto dell’inconcludente Sanabria o del poco sereno Pellegri, entrato al posto del paraguaiano per l’assalto finale, ieri il Toro avrebbe vinto. Bon. Ma vinto largamente, eh. Anche invertendo i portieri, ma questo è un altro problema.

    Se ci si mette pure l’arbitro

    Comunque 20 tiri malcontati, di cui 7 in porta; un palo clamoroso a porta vuota; due gol annullati per fuorigioco in partenza di pochi centimetri; due terzi del totale di possesso palla; parate strepitose di Vicario su tiri a botta teoricamente sicura, a differenza di Milinkovic-Savic che avrebbe dovuto prenderne una, soltanto una, neanche tanto difficile e forte, e invece è andato nuovamente giù come un sacco di patate, goffo, senza spinta, senza slancio, su una rovesciata prevedibile stante la marcatura a due metri di Djidji. Poi, certo, il Toro si è innervosito, non ha più giocato bene come aveva cominciato, ma è anche comprensibile. Soprattutto contro un avversario che non solo si è difeso dall’inizio alla fine – legittimo, per quanto arcaico – ma ha perso una quantità di tempo pazzesca, complice un arbitraggio assolutamente funzionale a tale intento. Il signor Fourneau ha dato 5 minuti di recupero quando già 15 sarebbero stati pochi, e di quei 5 (con il Toro rivitalizzato dal pari al 90’) ne ha fatti giocare forse la metà. Quelli dell’Empoli, poco prima, avevano addirittura avuto il coraggio di contestare una mancata restituzione di palla dopo aver cercato di fare melina anche una volta che era stata loro ridata, dopo che l’avevano buttata fuori perché uno dei loro si era accasciato a terra per la seconda volta in pochi minuti, perdendone in totale almeno tre. A proposito: solo in Italia vige ancora questa consuetudine assurda, irregolare, quasi omertosa negli atteggiamenti da uomo d’onore dell’interessato di parte: la regola dice che soltanto l’arbitro è autorizzato a fermare il gioco, in caso di incidente palese o potenzialmente pericoloso per il sinistrato, tipo una botta in testa; non certo per crampi più o meno presunti o per stanchezza quasi sempre capziosa, cose che nello sport farebbero parte del gioco. Non nel calcio italiano, però, dove quando si perde ci si rialza in un amen anche se moribondi e quando si punta a mantenere il risultato si fanno (e si tollerano) delle sceneggiate indecorose. Di qui, al solito, la classica, tristissima gazzarra, tra sguardi torvi e minacce di ritorsione. Così da perdere ancora un bel po’ di altro tempo e consentire all’arbitro la sceneggiata finale di qualche inutile ammonizione a caso. Punto e a capo. Anzi, ancora no. Il signor Fourneau – come già il suo collega Ayroldi un mese fa a San Siro in Inter-Torino, che si era rimangiato il rosso a Sanabria per una sbracciata assolutamente ordinaria in un contrasto aereo con Calhanoglu – ha avuto bisogno di essere richiamato al Var per capire che lo stesso paraguaiano non aveva commesso fallo da espulsione sull’empolese Cambiaghi; per salvare in parte la faccia è passato dal rosso al giallo, ma in realtà non era nemmeno fallo. La verità è che ormai certi arbitri non vedono più, da soli, manco le cose più evidenti, le dinamiche di gioco fisico più elementari, basilari nel calcio; perfino sui calci d’angolo sbagliano con una frequenza impressionante, non ravvisando deviazioni evidenti anche solo dal “rumore” del pallone, oltre che dalla sua traiettoria.

    20 occasioni, un gollonzo

    E la verità, tornando al Toro senza un mestierante del gol, è che – ribadiamo per l’ennesima volta – mai come quest’anno sarebbe bastato davvero poco a Cairo per far diventare il lavoro di Juric un’opera ambiziosa e non la solita incompiuta. Undici punti in 9 partite, per una squadra che gioca sostanzialmente sempre all’attacco, perfino quando dovrebbe darsi una calmata e ragionare un po’, ma ha segnato fin qui la miseria di 8 reti, sono per certi versi un miracolo. Come, paradossalmente, quel gollonzo di Lukic. Episodio che in sede di consuntivo non si capisce bene se faccia più ridere o piangere; di sicuro, alimenta più la rabbia che non un senso di sollievo. Basti dire che perfino Zanetti, tecnico dell’Empoli, pur raggiunto allo scadere ha avuto l’onestà di ammettere che gli era andata di lusso e basta. Né dà sollievo vedere il Toro che per una volta nel finale l’aggiusta parzialmente anziché rovinarla. Perché il calcio, anzi una squadra di calcio, dovrebbe essere un’altra cosa. Dovrebbe avere intanto una spina dorsale razionale e solida – con elementi affidabili almeno nei 3 ruoli chiave: portiere, perno di centrocampo, punta – e poi fare il resto in base alle idee di gioco e alle qualità tecniche e atletiche degli interpreti a disposizione. I quali invece, nel caso di Juric (ancora in tribuna per squalifica e sostituito da Paro) spostano un po’ più in là il teorema: non hanno la minima idea di cosa debbano fare al momento del dunque; proprio non conoscono l’abc del gol. Arrivano tipo in tre/quattro al limite dell’area, di gran carriera dopo fraseggi veloci e ficcanti, con almeno uno di loro libero, e tu pensi: ok, stavolta lo fanno, dai. E invece niente: sempre la scelta o l’esecuzione sbagliata. Mai l’individuazione del corridoio giusto dove far filtrare il pallone, anche quando la giocata si prospetta elementare, basica. Fino all’anno scorso almeno c’era Belotti a togliere qualche castagna dal fuoco dei consueti mercati insufficienti; adesso, nessuno. Un bel mazzo di trequartisti e mezze punte, alcuni pure promettenti e sovente brillanti, ma non uno che abbia chiaro in testa il concetto fondante del calcio: bisogna buttarla dentro, o quantomeno provarci, senza troppi ti-tic e ti-toc, riserve mentali, giocate frufrù.

    Rinforzi? Silenzio

    Sabato c’è il derby, contro la Juve più disastrata di questi ultimi anni. Al netto del classico granatismo, cioè pessimismo cosmico dei tifosi del Toro, per cui “vedrete che si risolleveranno contro di noi” oppure “tanto in qualche modo perderemo pure questa, come al solito da 17 anni a questa parte”, la questione deraglia nella solita, frustrata, disperata domanda: Cairo, ma almeno a gennaio un attaccante che possa sostituire il Gallo perduto lo prende? Gliel’hanno chiesto, all’uscita dallo stadio. Ovviamente, non ha risposto. Che gliene importa, in fondo, a lui? Il decimo posto, la sua stella polare, tanto è sempre lì.

    Lo scorso agosto, alla corte del presidente più inviso della storia granata, si erano risentiti per il 5 e mezzo dato da Tuttosport in pagella al mercato estivo del Torino FC, invece esaltato da altri media. Era un voto sbagliato, ingiusto, erano stati pronti a lagnarsi e a rinfacciare dopo le prime due vittorie contro le neopromosse. Avevano ragione. Era troppo alto. LEGGI TUTTO

  • in

    Izzo, il Torino, Juric e la rinascita a Monza

    TORINO – Ivan Juric l’ha messo tra i fuori progetto con Simone Verdi e Simone Zaza. Zaza ha rescisso, Verdi è andato a Verona e lui, Armando Izzo, è già idolo al Monza. «Sono venuto qui – dice a Mediaset il difensore – perché è una società molto ambiziosa, un po’ come sono io. Qui si può crescere molto, si respira una bellissima aria, c’è tanta positività. Sono in prestito secco dal Torino, con i tifosi granata e il presidente Cairo ho un bellissimo rapporto. Il mister (Juric, ndr) ha fatto altre scelte, anche se non le condivido le accetto». LEGGI TUTTO

  • in

    Toro, domani c'è il Nizza: con il presidente Cairo in tribuna?

    TORINO – Domani, ore 19, a Nizza ultima amichevole del Torino prima dell’inizio delle sfide ufficiali. Un test importante, visto che la formazione francese è arrivata quinta in campionato ottenendo la qualificazione alla Conference League e ha vinto, proprio ai danni del Paris Saint-Germain, la Coppa di Francia. Un test di valore, dunque, anche perché arriva dopo la rissa verbale tra Juric e Vagnati. Per l’occasione potrebbe anche arrivare il presidente Cairo, considerando che nel corso del ritiro austriaco non ha mai visitato la squadra neppure per un veloce saluto. E la sua presenza, dopo tutto quello che è successo in questi giorni, potrebbe servire a riportare la normalità più assoluta all’interno del gruppo. Sarebbe una mossa societaria molto gradita da tutti, anche dal tecnico Juric. Al momento non c’è nessuna certezza sulla sua presenza, ma si tratta di una semplice speranza da parte del tecnico e dei giocatori. Sfida molto attesa, con particolare attenzione su Sanabria che nell’ultima amichevole contro l’Apollon Limassol è andato a bersaglio difendendo il posto da titolare da eventuali acquisti. Intanto domani mattina il neo acquisto Lazaro sosterrà le visite mediche e aspetterà la squadra di rientro da Nizza. Un giocatore in più per Juric, che ne aspetta altri.Guarda la galleryTorino, Sanabria decide la sfida contro l’Apollon LEGGI TUTTO

  • in

    Bremer, il sorpasso. Cairo: «Juve? Quando le cose sono fatte commento». E l'Inter non molla

    TORINO – (e.e.) Una serata di passione. Al centro del mercato Bremer, difensore del Torino, eletto il migliore della Serie A, conteso da Juventus e Inter. Al termine, il sorpasso dei bianconeri. Le cifre dei nerazzurri: 30 milioni più bonus più il prestito di Casadei. Il club di Agnelli mette invece sul piatto 40 milioni di euro e per il giocatore un ingaggio di 4,5 (anche qui sorpasso sui nerazzurri).
    CHE SFIDA Un bel match tra la Juve e Marotta, quindi. E un incontro terminato oltre alla mezzanotte che però non ha ancora chiuso la sfida. Deciderà il Torino, ovvio. Queste la parole del presidente Urbano Cairo: «Quando le cose sono fatte, si dicono. Juve? Non commento, non mi fate dire nulla. Appena ho notizie, le dirò». Il direttore tecnico Vagnati: «Abbiamo cenato, è andato tutto bene con l’Inter. Abbiamo fatto una bella chiacchierata. Fiducia? Sì. Tempistiche? Vediamo, non c’è fretta. Il mercato è ancora lungo, vediamo che succede. Offerta Juve? Ne stiamo parlando con entrambi i club». Insomma, seguiranno altre ore di passione. Ma la Juve adesso è davanti… LEGGI TUTTO

  • in

    Mandragora sceglie la Fiorentina: Toro beffato

    TORINO – Mandragora ha scelto la Fiorentina: l’alternativa sarebbe stata attendere che il Toro vendesse Bremer, cessione che Cairo riteneva inderogabile prima di procedere con la Juve per il centrocampista. E con i bianconeri il giocatore, da fuori rosa, avrebbe dovuto iniziare il ritiro. Una situazione che non è stata accettata dal regista, disposto ad aspettare i granata nonostante fosse stato il Toro stesso a non esercitare l’obbligo a 9 milioni impiegandolo da titolare in 22 partite nella scorsa Serie A, ma fino a un certo punto. E il punto è arrivato: granata beffati dalla Fiorentina. Società con la quale Mandragora firmerà per quattro anni con opzione per un quinto a un milione e mezzo più bonus. Al Torino avrebbe preso 1,2 milioni più bonus. E se Cairo fosse stato disposto ad arrivare ai quasi 10 milioni messi sul piatto dai viola Mandragora avrebbe accettato, per restare al Toro, di prendere una cifra inferiore. E invece il presidente, partito da 6, ha consentito a Vagnati di salire a 7.5. Troppo poco per insidiare la Fiorentina, club nel quale Mandragora si trasferisce con entusiasmo anche per la possibilità di disputare le coppe europee. Nello specifico la Conference League, ma con l’obiettivo di salire in dodici mesi di un gradino giocando poi l’Europa League. E così Juric, che sperava di allenare sia Maggiore che Mandragora, sempre non sogno complicazioni si dovrà accontentare dello spezzino. LEGGI TUTTO

  • in

    Nicola porta mezzo Toro alla Salernitana. E il mercato in entrata resta fermo

    TORINO – Tanti esuberi al Toro e per ora nessun arrivo. Con tutti i big che se ne sono andati o se ne stanno andando: Pobega di ritorno al Milan, Belotti e Bremer in cerca di una squadra, Praet, Brekalo e Pjaca non riscattati, così come Mandragora. La situazione è paurosamente di stallo. Il tutto nonostante l’impegno di Davide Vagnati che si sta muovendo senza soldi in attesa di poter disporre del tesoretto Bremer. A proposito: tra gli addii c’è anche quello di Ansaldi, visto che per limiti d’età la società non gli ha prolungato il contratto. L’argentino, però, sta per trovare squadra. Lo vuole Nicola alla Salernitana e il club campano è disposto a fargli un contratto annuale. Il tecnico lo conosce bene e sa quello che può dargli. La curiosità è che il club del proprietario Danilo Iervolino sta pensando al Toro per rinforzare la sua squadra. Naturalmente su consiglio di Nicola. Infatti sta trattando Verdi, Izzo e Zaza. E se verranno presi, con Ansaldi, sarebbero quattro giocatori. A parte l’esterno argentino, per gli altri tre c’è il problema dell’ingaggio: se accetteranno una riduzione e una spalmatura ci sono buone possibilità che l’operazione vada in porto. Significherebbe vedere praticamente metà Toro alla Salernitana, ma questa opzione è più che mai concreta. Il primo sarà Ansaldi quasi sicuramente, poi vedremo cosa decideranno di fare gli altri. L’apripista argentino è comunque importante. E dalle tre cessioni i granata (quelli del Toro) potrebbero incassare dai 12 ai 15 milioni. Per Urbano Cairo non sarebbe male. LEGGI TUTTO