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    Tevez torna a casa: c'è Boca-Rosario Central

    TORINO – La notte che sta per calare su Buenos Aires non sarà come tutte le altre. La luna che illuminerà la Repùblica de la Boca sarà speciale e bellissima: alle 2.30 El Apache Carlitos Tevez torna a casa, si gioca Boca Juniors-Rosario Central, un match molto più che speciale per l’ultimo grande idolo della tifoseria xeneize. E’ la prima volta, da avversario a la Bombonera, per El Jugador del Pueblo. Poco più di un anno fa, il 3 giugno del 2021, dava l’addio al calcio giocato. Qualche settimana prima, il 26 maggio, calpestava per l’ultima volta il terreno del tempio azul y oro. Per l’ultima volta prima della notte che sta per calare su Buenos Aires.
    Traumatico addio
    Non se ne sarebbe mai andato da casa sua, Carlitos. Perché il Boca è casa sua. Lo ha messo, sostanzialmente, alla porta uno che a La Bombonera conta più di chiunque: Juan Roman Riquelme, El ultimo Diez. Non uno normale, uno che per la tifoseria del Boca vale assai più del D10S Diego Armando Maradona. Sembra assurdo, ma è un fatto. Perché nessun comune mortale avrebbe mai potuto sfrattare El Apache, ma un semidio sì. Nella nuova vita di Carlitos c’è il mestiere di allenatore. Nel Tevez 2.0 non c’è l’oroblù dei bosteros, ma il gialloblù de Los Canallas del Rosario Central. Il popolo, quello che lo ha eletto simbolo, quello che nei potreros delle Villas Miserias di Buenos Aires, Ciudad Oculta, Fuerte Apache, La Gardel, La 31, La 1/11/14, continua a giocare con la 10 del Boca con la scritta Tevez sopra al numero, non dimentica. E prepara il benvenuto: in tutta la città sono comparsi striscioni che grondano affetto. “Bienvenido Carlitos, Boca es tu casa”, molto più che una dichiarazione d’amore perenne. Amore corrisposto: nella conferenza della vigilia El Apache ha definito La Bombonera come «lo stadio più bello del mondo».
    Tritolo oroblù
    Intanto nel club proprietario de “lo stadio più bello del mondo” esplode una bomba al giorno. Anzi all’ora. Negli spogliatoi del Cilindro del Avellaneda nell’intervallo di Racing-Boca (0-0) El Pipa Benedetto e Carlos Zambrano sono venuti alle mani, tornando in campo con gli evidenti segni della battaglia sul volto. Uno spogliatoio esplosivo, ingestibile. Un tritacarne che distrugge tecnici che sono stati anche idoli del club: dopo l’esonero, più che brusco del Seba Battaglia, ora tocca a Hugo El Negro Ibarra gestire il tutto. E, a giudicare dai risultati, il cammino per farcela è ancora lunghissimo. A mettere ulteriore tritolo alla polveriera Xeneize ci ha pensato un altro mammasantissima, El Flaco Rolando Schiavi. «Non so se Ibarra sia preparato per essere tecnico. Non so se abbia le capacità per farlo. In quattro anni nel mio staff di allenatore della Reserva non ha mai voluto essere mio secondo. Per questo chiamai Popi Bracamonte e Mario Pobersnik. Poi, evidentemente, le cose cambiano…».
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    De Sciglio e le sue confessioni: «Io, Allegri e le cicatrici»

    TORINO – In futuro potrebbe essere pubblicato il primo dizionario calcistico livornese-inglese. Autori, Mattia De Sciglio e alcuni suoi compagni della Juve, che si stanno specializzando nelle traduzioni delle indicazioni di Massimiliano Allegri per i nuovi stranieri: «A volte imitiamo il mister e la sua parlata in livornese – ha raccontato in una lettera/intervista a Cronache di spogliatoio -. Gli stranieri arrivati da poco faticano a capirlo, magari stanno già combattendo con l’italiano, figuriamoci con il livornese. Così capita che ci chiedano: “Ma cosa ha detto?”». Del resto De Sciglio, lanciato giovanissimo nel Milan proprio da Allegri, è un interprete ideale: «Abbiamo un legame forte, ma non sono il suo figlioccio. Lo criticano per il gioco, perché tutti pensano a Guardiola, però il gioco dipende da tanti fattori. In Italia si guarda il gioco, ma conta il risultato. Da me pretende tanto, mi pungola spesso e mi chiama “mangia e dormi”, come a dire che non faccio altro che mangiare, dormire e allenarmi».

    GRAZIE AL MENTAL COACH – Una vita da recluso che De Sciglio a un certo punto ha fatto davvero, come ha raccontato parlando di temi molto meno scherzosi. Quelle che chiama «cicatrici»: «Al Milan tutto andava bene, quindi è iniziata una serie di infortuni e non rendevo più. Poi qualcuno ha messo in giro la voce che non rinnovavo perché avevo già firmato per la Juve e c’è stato un accanimento che mi ha ferito e che non mi spiegavo. Sono passato dal paradiso all’inferno. Non uscivo, mi sentivo in colpa anche ad andare a cena con la mia ragazza a inizio settimana. Ho sfiorato la depressione: grazie al mental coach Stefano Tirelli ne sono uscito. E ora posso essere orgoglioso delle cicatrici, o almeno del percorso che abbiamo fatto insieme». LEGGI TUTTO