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    Da Lukaku a Giroud: quando l'esultanza per un gol costa cara

    Cominciamo la rassegna proprio dall’attaccante dell’Inter, che nel finale della sfida di Coppa Italia con la Juventus ha zittito la curva bianconera dopo aver trasformato il rigore del pareggio. Un atteggiamento che l’arbitro Massa ha considerato provocatorio e meritevole di un provvedimento disciplinare. Era già ammonito e ha ricevuto il secondo giallo, che lo squalifica per la semifinale di ritorno. LEGGI TUTTO

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    Corsa Champions: scontri diretti, incroci e differenza reti. Che cosa può succedere

    La Lazio ha vinto entrambi gli scontri diretti con la Roma, è a pari merito con l’Atalanta (una vittoria a testa, in trasferta, per 2-0) e deve ancora sfidare per la seconda volta Juventus, Inter e Milan. Dai bianconeri, all’andata, ha incassato un pesante 3-0. Con le milanesi, invece, la squadra di Sarri è momentaneamente avanti: nel girone d’andata, Inter e Milan hanno perso rispettivamente 3-1 e 4-0. IL RENDIMENTO NEGLI SCONTRI DIRETTI: Lazio-Juventus – 8 aprile, 29ª giornata Inter-Lazio – 30 aprile, 32ª giornata Milan-Lazio – 7 maggio, 34ª giornata LEGGI TUTTO

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    Torino-Roma: la partita di Ciccio Graziani, cuore granata e lacrime giallorosse

    Domenica si gioca la sfida tra le due squadre dell’attaccante, che divenne grande nel Toro di Radice e chiuse nella Capitale perdendo la finale di Coppa Campioni e uno scudetto contro Lecce all’ultima giornata Francesco Graziani, Ciccio Graziani, Il Generoso Graziani, così lo chiamano, proprio perché non si risparmia ed è un attaccante che – a differenza di molti colleghi che invecchiano più o meno bene immobili come paracarri al centro dell’area di rigore – corre ovunque, fa pressing, apre spazi per gli inserimenti dei compagni. Gliel’ha insegnato Gigi Radice, il suo mentore al Torino. LEGGI TUTTO

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    Mennea, l’uomo dei sogni nel ricordo di Agostino

    Dai tempi di Omero al Novecento – e penso a Brera, a Montanelli, o a scrittori quali Buzzati, Cancogni, Calvino, Ungaretti e D’Annunzio – le voci della letteratura hanno riservato all’atletica leggera pagine sublimi. Regina dello sport, l’atletica, si distingue intanto per la varietà delle discipline. Compasso tra attitudine e applicazione: la maratona, la velocità, il mezzofondo, i lanci, i salti; ciascuna espressione evoca perfezione e armonia. Si amano in modo diverso: ruote, gomme e motori, dal ciclismo su strada o su pista, alle moto o all’automobilismo, il tiro a segno di pistola, fucile o arco, lo sci: attitudini che coniugano tecnologia e innovazione alle fatiche della “macchina” umana. L’atletica è altro, sospesa tra lo spazio e il tempo: il corpo e le sue “evoluzioni”. Essenza dell’espressione di sacrificio, conquista di centimetro e di frazione di secondo. La mia amica Anna Lia, a dispetto delle cinquanta primavere, ha muscoli scolpiti e resistenza alla fatica, passa dalle Maratone di Firenze e Roma a “migrare” all’estero, per tornare alle nostre valli, ai piedi dell’Appennino o delle Alpi, cimentandosi persino nelle “cento chilometri”. Lavora in un caffè, ma quando corre “vive” e sente se stessa, senza età, dice che è così da sempre e nella solitudine rimanda vocazione alla leggenda di Maratona, la città che diede nome alla corsa, posta sulla penisola attica, teatro della vittoria (490 a.C.) di Miliziade contro i Persiani. Notizia della vittoria fu portata da Maratona all’Acropoli di Atene da Filippide, che percorse quarantadue chilometri senza fermarsi. Il soldato giunse, diede l’annuncio, e morì per lo sforzo. La disciplina sportiva chiamata appunto “maratona”, indica corsa “limite”, in cui si mescolano senso “della vita e della morte”. Forse questo, della estrema fatica accostata all’impresa, si raccoglie significato dell’atletica. L’atletica è di ciascuno e di tutti, ed è strazio e suprema bellezza. Fanciulli o anziani, si pratica ovunque, movendo i nostri passi in successione rapidissima o compassata, che si corra o si sia in marcia, che si saltino ostacoli o siepi, che si possa persino “volare” a due, tre o sei metri da terra con un’asta, allo scopo di staccare in tre innocenti “passetti” in ascensione ad altezze indefinite. Voleva volare Icaro, e noi mortali rinnoviamo quel desiderio nella brevità di un istante e senza ali di cera. Un paio di scarpette… c’è chi dice se ne possa fare persino a meno. Fu cosi per Bikila e la sua notte di incanto, con la città di Roma entusiasta e incredula, a piedi scalzi, come quando correva bambino in Etiopia: era l’Olimpiade del 1960. Lo sport è sudore. Mi pare ascoltare “rampogna” di una voce di passato, atleta entrato nel mito, a me molto caro. Pietro Mennea. Ci incontrammo a Roma e poi a Salerno. Persona magnifica Pietro, di rigore e sapienza, di studio e abnegazione. Senza retorica si può dire: severo con se stesso e gli altri, con il desiderio di avvicinare il sogno, per divenire semplicemente tutto quanto “macchina umana” possa declinare allo sforzo: Mennea era e poteva essere solo Mennea. A dieci anni dalla sua scomparsa, in molti ricordano medaglie, record e quel suo sorriso bellissimo. Un corpo ossuto, gracile, “bocciato” anzitempo dai primi istruttori, gli stessi che piansero di commozione ai successi. Fu un incontro a Formia con Carlo Vittori, che firmò patto di amicizia tra due uomini straordinari, che fuori dalla politica e le chiacchiere da bar, portarono alchimia sontuosa allo spirito di Nike, dea della vittoria, menzionata per la prima volta da Esiodo nella Teogonia (383). La macchina Mennea era sì meravigliosa. Erano scarsi i sessantotto chili di Pietro, indicavano “massa magra”, che tuttavia non ha impedito a quei suoi grandi occhi di guardare dall’alto in basso, ogni altro velocista al mondo. Lui, il “bianco più veloce di sempre”, atleta che pareva inossidabile, disposto a stupire gli altri e se stesso, stroncato miseramente da un infido male. Ma Pietro non è né sarà mai la sua morte, di un dolore composto e taciuto nel dettato del “decor” dei latini. Divenni suo amico nel ricordo di Agostino Di Bartolomei, nel 2000: occasione fu data da una piece teatrale, la prima in uno stadio, dinanzi alla Tribuna Montemario, con Flavio Bucci nel ruolo del padre. Ricordo indelebile. Tra le migliaia di spettatori: la Roma del primo scudetto e campioni di discipline diverse, oltre ad avversari, orgogliosi testimoni del singolare omaggio all’uomo e all’atleta. Pietro dopo venne a cercarmi, mi abbracciò fraternamente, da quel momento non so perché, giocando un po’ col mio nome, prese a chiamarmi “Ago”, di cui era stato amico. E io a ripetergli che ero felice di scambiare con la Freccia del Sud, che era stato mio idolo, quando avesse voluto, due parole e un caffè. Quattro lauree, uomo colto, sensibilissimo, capace di battaglie civili e di imprese taciute, forse più grandi di quelle sportive. Pietro Paolo Mennea da Barletta, era nato il 28 giugno 1952: papà era sarto, mamma casalinga, tre fratelli e una sorella. Campione olimpico dei 200 metri a Mosca nel 1980, primatista mondiale. Si allenava 6 ore ogni giorno, lo fece per venti anni. «Se potessi tornare indietro, mi allenerei otto ore al giorno, non sei. La superficialità non porta da nessuna parte. Se lavori costantemente per ciò che ami, si vince sempre». Vi è un gioiello dimenticato in pellicola del maestro Comencini: “il ragazzo di Calabria”. Volontè, uno dei miei maestri – che mi seguiva affettuosamente, era il 1987, nel mio lavoro su Aldo Moro, andato in scena al Teatro Olimpico – mi invitò su quel set col giovane Abatantuono, a Scilla, Polizzi e Motta San Giovanni. Incanto dei luoghi e poi tanta “corsa” sfrenata, gioiosa e vitale, icona come nelle imprese di Achille. Vi era nella sceneggiatura a firma di un maestro quale Ugo Pirro più di un riferimento a Mennea. L’Italia anche per questo accreditò al film di Fulvio Lucisano grande consenso popolare. Non si può non pensare a Pietro, allora come oggi, ai movimenti delle piccole leve del protagonista bambino, Santo Polifemo, al suono dei “concerti per mandolini” di Antonio Vivaldi, alla domanda in sussurro di Volontè/allenatore al piccolo atleta: «Quando corri a cosa pensi?». Non si può non pensare a quel raccogliersi in una parola della risposta: «Sogno». LEGGI TUTTO

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    Sarri e la Juve, storia di un matrimonio… infelice e vincente

    Mercato, compromessi, passi indietro velatamente minacciati e tanto altro ancora concorsero affinché l’avventura del tecnico toscano in bianconero durasse solo un anno Tra Maurizio Sarri e il mondo Juve non è mai scattata la scintilla. I motivi sono diversi. La scelta del club di sollevare dall’incarico l’allenatore e il suo staff al termine della prima stagione in bianconero fu solo l’effetto di una convivenza tormentata, snervante, probabilmente appesantita anche dal Covid e dai suoi effetti. LEGGI TUTTO

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    Il divorzio Potter-Chelsea riavvicina Lukaku all'Inter. Decisivo il fattore Conte

    Il destino del belga dipende da cosa succederà da qui a fine stagione a nerazzurri e blues. Big Rom non vorrebbe tornare in Inghilterra, ma molto dipenderà da chi siederà sulle due panchine Romelu Lukaku al centro del palcoscenico, attorno a lui scenari che cambiano in continuazione e che influiscono sulla trama. Il belga ha un imperativo, da qui a fine stagione: diventare protagonista in nerazzurro e provare a costruirsi il futuro che maggiormente desidera, anche se non dipenderà solamente da lui. Inter e Chelsea sono due realtà difficili da decifrare in ottica futura, a partire dal rebus su chi sarà l’allenatore delle due squadre il prossimo anno fino arrivare ai risultati sportivi – e dunque economici – che possono spalancare nuovi scenari o imporre decisioni drastiche. LEGGI TUTTO

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    Robi fu una delle vittime di una coppia di presunti banchieri genovesi: promettevano soldi facili investendo nelle miniere del Perù. A Baggio portarono via 7 miliardi, ma non fu l’unico a cadere nella trappola Lunedì 24 febbraio 1997 — alle 9.30 della mattina — Roberto Baggio entra nella caserma delle Fiamme Gialle di Forlì, accompagnato dal suo manager Vittorio Petrone. Il campione, all’epoca in forza al Milan, scende dalla Uno Bianca della Finanza, saluta i tifosi che — a decine, oltre i cancelli della caserma — lo stanno aspettando da un paio d’ore. LEGGI TUTTO