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    Cairo e il nuovo Toro: “Con Baroni voglio puntare all’Europa”

    TORINO – La cena di mercoledì a Milano non ha solamente riempito lo stomaco di Cairo, ha anche colmato la voglia del presidente di cambiare allenatore. L’incontro con Baroni ha portato alle firme sul contratto e all’inizio di una nuova era in casa Torino. Ieri, intorno alle 12.20, è arrivato il comunicato da parte della società che ufficializzava l’ingaggio dell’allenatore; un’ora prima era s LEGGI TUTTO

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    Vanoli resta a bagnomaria. Toro-Baroni, brividi viola

    Anche Vanoli è una persona seria, non solo un buon allenatore, per cui doppiamente ci chiediamo quanta… serietà possa avergli trasmesso quanto è andato in scena ieri a Milano. Una scena, appunto, oppure sarebbe meglio dire un insieme di scenette? Summit di tre ore abbondanti. Vanoli, Cairo, Vagnati e D’Amico, l’agente del tecnico. Incontro «positivo e chiarificatore», è stato fatto trapelare. Non abbiamo dubbi, su questo: non è cert LEGGI TUTTO

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    Cairo: “Disponibilissimo a vendere il torino se…”

    Torino – Sarebbe dovuta essere un’occasione per parlare del futuro del mondo dell’informazione e dell’editoria. Il palco del Festival della TV di Dogliani, nel Cuneese, per Urbano Cairo è stato invece il luogo dove registrare, ancora una volta, il malcontento della tifoseria granata, ma anche dove cercare di giustificare il proprio operato in questi vent’anni. Dal pubblico a un certo punto qualcuno gli ha gridato “vendi il LEGGI TUTTO

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    Torino, pronto l’incontro per blindare Perciun

    In casa Torino è già tempo di pensare al futuro, consideato anche che questo campionato ha ormai poco da dire, nonostante ci siano ancora novanta minuti da giocare. La gara contro la Roma domenica sera potrebbe pertanto rappresentare l’occasione giusta per rivedere in campo i giovani talenti granata lanciati nelle ultime settimane da Paolo Vanoli, che ha dimostrato personalità e coraggio nel dare spazio ai volti emergenti delle giov LEGGI TUTTO

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    Vanoli, pressioni su Cairo&Vagnati

    Torino – Con serenità, ma altrettanta chiarezza, Vanoli è tornato a mandare messaggi inequivocabili alla società oltreché ai giocatori, molti dei quali non esattamente esemplari nelle ultime settimane (“mi darebbe fastidio vedere la squadra non motivata a Lecce…”. Dopo il Venezia aveva parlato di “vergogna”). Per Cairo e Vagnati le frasi sono ben altre e riecheggiano dich LEGGI TUTTO

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    Cairo raggiunge Pianelli: 7030 giorni da Toro. Così parlava il grande Orfeo

    Orfeo Pianelli, già da tempo entrato nella dirigenza granata, diventò presidente del Torino il 20 febbraio del 1963. Quella sera, nella sede di via Prati, si riunirono 10 consiglieri del club. La riunione, cominciata alle 21, si protrasse sin quasi a mezzanotte. Al termine, la segreteria del club emise un comunicato: «Il consiglio direttivo dell’A.C. Torino (…) ha accettato le dimissioni del ragionier Angelo Filippone e ha eletto nuovo presidente, all’unanimità, il commendator Orfeo Pianelli». Era sull’orlo del fallimento da anni quel povero Toro del dopo Superga. Pianelli lo risanò, lo rilanciò, lo riportò ai vertici del calcio italiano e in un giorno di maggio del 1976 salì sul colle di Superga con i giocatori e migliaia di tifosi arrivando a guardare negli occhi il Grande Torino, guardando il cielo. Era la sera del 21 maggio 1982 quando Pianelli lasciò la lussuosa sede del Torino in corso Vittorio Emanuele II. Vide i cronisti sul marciapiede e scoppiò a piangere: «Sì, ho firmato, ho venduto. Non mi hanno lasciato neppure un’azione e potete pensare questo cosa voglia dire per me. Una ventina di anni nel Torino sono una vita, ma non c’erano altre vie d’uscita. Ho dovuto aspettare tre ore per poter firmare. Ora… però… vi saluto». Il più grande presidente granata dopo Ferruccio Novo non riuscì ad aggiungere altro. Singhiozzava. Esattamente quel giorno, il 21 maggio del 1982, Urbano Cairo compiva 25 anni. Il 2 settembre 2005, Cairo diventò il presidente del Torino. Oggi, (soltanto) nel calendario raggiunge Pianelli: stesso numero di giorni di presidenza, 7.030. E da domani sarà lui in solitudine il presidente più longevo della storia del Toro. Poi, martedì, il club compirà 118 anni di vita: un altro potente rintocco del tempo in questo trittico di date. In un giorno di inizio aprile del 1996 andammo a incontrare Pianelli nel suo “esilio” di Villefranche, nella sua abitazione a pochi chilometri da Nizza. Ci accolse la figlia Cristina, ci portò nella stanza dove i genitori attendevano seduti in poltrona. Su un tavolo vicino, un castello di medicine: erano già entrambi molto malati Orfeo e sua moglie Cecilia. Aveva 75 anni, Pianelli. Un tempo, da imprenditore fatto da sé, nato falegname, muratore, e poi cresciuto elettricista, vinse un mondo. Ma aveva l’effigie della sconfitta nel cuore, l’anziano presidente. Evocammo lo scudetto del ‘76, dopo un po’: «Vent’anni fa vissi la stagione più bella della mia presidenza. Oggi, invece, il presente è angosciante. Mi sembra di toccare con mano il senso di impotenza, di agonia che sta lacerando i tifosi granata. Quelli veri, intendo dire». No, non poteva parlare di Cairo! Però adesso sembra quasi così, vero? Ma ce l’aveva con Calleri, Pianelli: «L’unica cosa buona che ha fatto da presidente del Torino è stata evitare il fallimento». Parlava a fatica. La malinconia riempiva l’aria nella stanza. E la rabbia, quella rabbia che covava ormai da quasi 20 anni, nel corpo provato si trasformava solo in un filo di voce. «Sono sempre stato un tifoso. A differenza di quanto hanno fatto altri, non ho mai pensato al Toro per interesse. E dire che dopo la vittoria in campionato avrei davvero potuto badare ai fatti miei. Vendevo i migliori, recuperavo i soldi che avevo speso, me ne andavo da trionfatore e mi risparmiavo certe amarezze. Invece no. In 19 anni non ho mai svenduto nessuno. Il mio obiettivo era soffiare i migliori agli altri e non smembrare mai la squadra». Dopo un po’ che parlava: «Questo Toro è caduto troppo in basso. È tutto così triste». Alla fine di quella stagione, di lì a poche settimane, i granata sarebbero retrocessi in B. «Ma le sembra un Toro vero, questo? Di sicuro io non posso riconoscermi in questo Torino. Questa squadra che adesso sta soffrendo le pene dell’inferno non ha nemmeno un brandello di quel cuore granata che batte dal 1906. È una condanna il Torino di oggi. E io non guardo nemmeno la tv, non ho più le forze. Mi stanco subito». Per provare (ma chissà come!) a… sdrammatizzare, replicammo: presidente, almeno così ha evitato di vedere le immagini della sconfitta per 5 a 0 nel derby dell’andata. Si riscosse immediatamente: «Mi è bastato saperlo: non sono più le stracittadine mie, quelle che vincevamo noi». Più vittorie nei derby che sconfitte, nei 19 anni di Pianelli. «Da quaggiù continuo a fare il tifo per un Toro astratto, per dei simboli che saranno sempre dentro di me». E il suo Filadelfia abbandonato a rischio crolli?, gli chiedemmo. (L’anno dopo, il Fila sarebbe stato demolito, invece che salvato). «È Il segno di un crollo anche morale. Ai miei tempi studiai un progetto per ristrutturarlo e trasformarlo in una cittadella del Toro. Ma fui bloccato dalla politica e dalla burocrazia. Gente che contava mi disse: lascia perdere, non sei intrallazzato, i permessi non te li daranno mai. E il Filadelfia che oggi si sbriciola è il simbolo del Toro che va in rovina». Fu una lunga, faticosa, dolorosa, intensa chiacchierata di un paio d’ore: anche divagando molto, parlando non solo del Torino. Tra lunghe pause, prima dell’ultima: «Siamo appesi a un filo, io e la mia Cecilia. La vita non ha pietà. E io mi sento molto stanco». (Da diversi anni, dopo i coniugi Pianelli è volata in cielo anche la figlia Cristina). Lo salutammo nel modo più dolce possibile. Continuammo a chiamarlo al telefono ciclicamente, negli anni successivi. Ci concesse altre interviste. Poi tornammo a Villefranche nel 2005, 9 anni dopo, sempre ad aprile. Ma per il suo funerale. Eravamo di nuovo a casa sua vicino ai numerosi giocatori, dirigenti e collaboratori venuti apposti. Fuori, per strada e davanti alla chiesa, tanti, tantissimi tifosi. Si era in attesa del corteo funebre e della funzione celebrata da don Rabino. Suonò il campanello della porta: era un tifoso e in mano aveva un sacchettino di terra. Spiegò alla figlia di Orfeo: «L’ho raccolta al Fila, tra i ruderi rimasti dopo la demolizione. Sono venuto apposta per portarvela». Con quella terra appoggiata dentro alla bara vicino al cuore riposa Pianelli, da 19 anni. Anno Domini 2005: ad aprile morì Orfeo, poi a luglio il Toro, dichiarato fallito. Quindi, a metà agosto, un uomo all’improvviso squarciò un sipario: «Mi chiamo Cairo e voglio il Torino».
    Il confronto impossibile
    Il più grande presidente del Toro dopo Ferruccio Novo, il creatore del Grande Torino. Fede granata e gloria. Pianelli rimase alla guida del club dal 20 febbraio del 1963 al 21 maggio del 1982. Con al fianco il braccio destro Traversa, il segretario generale Bonetto e ottimi collaboratori (molti dei quali già in granata da tanti anni), circondato da un gruppo di soci tutti tifosi, salvò il Torino sull’orlo del fallimento e lo condusse progressivamente di nuovo ai vertici del calcio italiano. Ecco i suoi maggiori risultati in ordine cronologico: le finali (perse) di Coppa Italia del 1963 e del ‘64, il 3° posto in A e la semifinale di Coppa delle Coppe nel ‘65, la vittoria della Coppa Italia nel 1968, il bis nel 1971, il 2° posto in campionato nel ‘72, lo scudetto del 1976, i secondi posti in A del ‘77 e del ‘78, le 3 finali perse di fila in Coppa Italia nel 1980, ‘81 e ‘82 (l’ultima delusione, giusto il giorno prima di vendere il Torino). Per Urbano Cairo nello stesso periodo di tempo, 19 anni, i migliori risultati sono stati 2 settimi posti in A (4 stagioni in B). Per Pianelli, 17 derby vinti, 15 pareggiati e 14 persi. Per Cairo, una sola vittoria, 6 pareggi e 24 sconfitte. LEGGI TUTTO

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    Salvatori: “Toro, conosco Cairo. Ora potrebbe vendere”

    Il Cairo imprenditore e il Cairo presidente del Torino sembrano perfino due persone diverse. «Secondo me ha sempre pensato che fosse sufficiente fare quello che stava facendo, che fosse sufficiente dare quello che dava… Invece si è verificato il contrario, inevitabilmente. Credo che pensasse di poter costruire qualcosa di bello, di grande e duraturo anche con poco. Sono tutte scelte. Di sicuro non era nella condizione di dire: più di questo non posso fare. Non era questa la sua condizione. Cairo è una persona che nel calcio delega poco o nulla ai dirigenti. Nel calcio, se sei neofita, è sempre meglio circondarti di persone esperte e valide cui delegare le scelte chiave sotto l’aspetto sportivo… Poi deciderai se confermarli o meno, in base al lavoro e ai risultati. Ma lui ancora adesso vuole controllare tutto, me lo dicono, lo so… Altro che delegare! Per lui la strada giusta è quella dell’uomo solo al comando. Un limite, tanto più al giorno d’oggi». Il 1° dicembre raggiungerà il grande Pianelli, il giorno dopo diventerà in solitudine il presidente più longevo del Torino. «Ho letto, sì. Un primato temporale, statistico come questo gli fa certamente piacere, gli darà un orgoglio immenso. Ci tiene tantissimo di sicuro, per lui sarà come vincere una medaglia d’oro alle Olimpiadi, sa che passerà alla storia almeno sotto questo aspetto. E credo anch’io che se mai volesse vendere la società, lo farebbe sicuramente dopo e mai il giorno prima di raggiungere il suo personalissimo record». Ha letto le sue ultime dichiarazioni? «Ho letto che dopo la Fiorentina ha risposto male al vostro giornalista che gli domandava se nel caso avrebbe ascoltato un candidato acquirente… Ha perso la calma. Mi metto anche nei suoi panni, però: subire da settimane la contestazione che subisce non farebbe piacere a nessuno, ci sta che si senta particolarmente sotto pressione. Ai tifosi mi permetto però di dire una cosa: è legittimo che possano essere delusi, arrabbiati, che vogliano contestare… Ma ogni comportamento deve essere sempre il più possibile civile… Anche perché certe esasperazioni, certe derive non attraggono certo un candidato acquirente… C’è modo e modo per esprimere il dissenso. Aggiungo che umanamente mi dispiace per Cairo, immagino la sua sofferenza, mi metto nei suoi panni. Detto questo, però, è chiaro che se compri il Toro, poi devi dare qualcosa in più, sempre, per rispetto della storia e della piazza. Più del proverbiale decimo posto, insomma. Il Toro è nel mio cuore: è bastato un anno, quell’anno così pazzesco e trionfale». Buongiorno, Bellanova… Rinforzi modesti… E ora il Torino è in caduta libera. «Se vuoi costruire, se vuoi crescere, ne vendi al massimo uno. Ha spiegato che voleva sistemare il bilancio: restano delle scelte, però. Sarebbe stato meglio stare zitto, allora, invece di promettere… I tifosi si sono sentiti non rispettati, persino calpestati: comprensibile, e tanto più dopo 19 anni». «Non voglio vendere», ripete. «Ma dentro di sé, anche pensando a tutta la sua famiglia, ascoltando i sentimenti dei suoi cari… Insomma… conoscendolo, e per quel che si percepisce, secondo me ci sta pensando eccome alla possibilità di vendere, se già non sta facendo operare qualcuno per lui sotto traccia. Che poi smentisca è normale, in casi come questi: se no fai solo un favore a un candidato acquirente già esistente o in arrivo… e il prezzo scende… La mia sensazione è che quantomeno ci stia pensando. La contestazione lo ha toccato di sicuro e anche tanto: puoi avere il pelo sullo stomaco, ma vivere così è… pesante». Perché lei non è rimasto, dopo quel finale trionfale del 2006? «Ebbi la sensazione di essere stato usato e gettato. Ero molto deluso. Conquistammo la promozione e dovetti andarmene. Già da gennaio cercava un nuovo ds… Prima il caso Sartori, subito dopo Tosi… Tra gennaio e febbraio ci furono ripetuti battibecchi feroci… contestava tutto e tutti solo perché per un po’ non arrivarono grandi risultati sul campo… era già un pochino nervoso… (e dalla voce si coglie benissimo l’ironia, ndr). A promozione ottenuta chiesi un appuntamento, andai da lui a Milano, gli restituii il telefono aziendale e rifiutai la sua proposta di rinnovo. Presidente, io non amo le confusioni in società, gli dissi. Lei da mesi cerca un altro ds e l’ha anche trovato alla fine, seppur un po’ a fatica… E la riconoscenza? Arrivederci e grazie, presidente. Così gli dissi. Rimasi per un po’ senza squadra, ma con la mia dignità e il mio orgoglio intatti». E lei, adesso, con alle spalle una carriera lunga con diversi bei successi? Da giocatore, prima. E poi da ds, ancor di più: 2 promozioni in A e l’Intertoto vinto col Perugia, quindi altre 2 promozioni dalla B con Torino e poi Bologna. Una promozione anche con la Pistoiese, dalla C. Tante squadre, in questi lustri… «Mi auguro che una società seria possa apprezzare il mio percorso, la mia esperienza, le mie grandi motivazioni. E mi prospetti un progetto convincente». LEGGI TUTTO

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    Vanoli: “Il Toro è magia e storia. Sogno di finire la carriera allenando l’Italia”

    “Il Toro rappresenta la storia del nostro mondo calcistico, io sono veramente orgoglioso di poterla rappresentare, è una responsabilità veramente importante. Essere qui vuol dire questo”.
    Ad accoglierlo è l’eredità lasciata dall’ex allenatore Juric. Per Vanoli, però, non c’è nessun problema, anzi: “Non sono abituato a confrontarmi ai miei colleghi. Sicuramente, come ho detto, ho trovato una cultura del lavoro molto importante. Ora i giocatori devono capire velocemente quelle che sono le mie idee, che possono essere diverse da allenatore ad allenatore”.
    Tra bel calcio e l’esordio in Serie A, nessun timore: “Noi dobbiamo cercare la pressione, se vogliamo migliorarla. Chi ha la mentalità giusta, la pressione la va a cercare. È il bello di voler alzare l’asticella, per me fa parte di una mentalità vincente. Voglio ricercare la perfezione, il dettaglio, qualche cosa in più che ti porta ad arrivare a un obiettivo forte. È un processo di step. Grazie alla grande esperienza di gavetta che ho avuto, sono riuscito a imparare queste cose”.
    “Il calcio per me è una grossa passione. A volte mi vergogno un po’ del mio atteggiamento in campo – aggiunge l’allenatore -, perché la passione mi porta ad andare oltre, ma voglio che il mio giocatore sia un appassionato. Voglio che il mio giocatore capisca il perché di quello che chiedo. Mi piacciono le responsabilità forti e le sfide”.
    Zapata capitano, il tempo e la pazienza
    Dopo la battuta del presidente Cairo su Zapata capitano, Vanoli ufficializza l’investitura del colombiano: “Sì, sarà lui il mio capitano. Di certo sono contento che i tifosi appoggino questo, anche se io non mi baso sui sondaggi. L’ho scelto perchè rappresenta i valori di questo club, ha l’esperienza giusta e anche per lui è arrivato il momento di responsabilizzarsi. Penso abbia tutte le qualità per rappresentare al meglio il club e i compagni. Con questo non dimentichiamoci che all’interno di uno spogliatoio ci possono essere anche altri leader. Però Duvan si è meritato questa fascia”.
    Ma c’è ancora bisogno di tempo e pazienza: “È un progetto iniziato da 15 giorni, sicuramente oggi sul campo insisto sulle mie idee. Mi riferisco anche al fatto di capire cosa fare quando si ha il pallone tra i piedi. Una cosa che secondo me è importante per far capire ai giocatori che certe volte pensano di fare delle cose giuste, e invece non le fanno. La tecnologia bisogna sfruttarla, chiedo scusa ai tifosi per averli fatti aspettare, ma penso che oggi questo processo per me sia molto importante”.
    Sul rapporto con la tifoseria e gli obiettivi di calciomercato: “Ringrazio i tifosi per come mi hanno accolto, è stato fantastico. Il Filadelfia è la storia, è un onore allenarci lì e so cosa vuol dire. Per quanto riguarda il calciomercato, con la società parlo di caratteristiche e di profili. Poi sono in una società evoluta e aggiornata, il direttore ha dei profili che valuta avendo presenti quelle caratteristiche. Parliamo di questi profili insieme e poi è chiaro che se tra questi c’è qualcuno che conosco, indico la preferenza”. Per Schuurs c’è ancora da attendere: “Ho detto a Perr di andare un po’ in vacanza. E’ un ragazzo giovane e con quello che sta passando deve riposare un po’, sono anche una persona e guardo anche a questo. Deve staccare e stare vicino ai suoi. Quando rientrerà, decideremo quale sarà il suo percorso”.
    Il Grande Torino, Superga e il sogno Italia
    Una delle prime tappe di Vanoli è stata Superga: “Io sono stato un ex giocatore. Quando ho iniziato a fare questo lavoro, tutti mi parlavano del Grande Torino e di questo posto così magico. Quando vado a lavorare in un club, voglio capirne la storia, quindi la prima cosa che ho chiesto era quella di andare, insieme al mio staff, a capire cosa voleva dire Superga. Devo dire che, quando sono arrivato in quel posto, mi ha trasferito una sensazione incredibile, con la fortuna di avere anche un addetto stampa che mi ha raccontato per filo e per segno tanti aneddoti”. 
    Una carriera che raggiunge il suo apice proprio con il Toro, con un solo sogno: “I tanti anni di gavetta che ho fatto mi hanno aiutato tanto, e quando scelgo un collaboratore, so benissimo cosa serve e posso insegnargli quale errore non fare. Il mio sogno? Finire il percorso in Nazionale. Avendo fatto otto anni nelle nazionali ho conosciuto i migliori giovani in Italia; il mio desiderio sarebbe quello di chiudere il cerchio in Nazionale. Nel mio percorso, ho conosciuto allenatori e direttori importanti che mi hanno fatto capire l’importanza della maniacalità”.
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