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    L'Allegri dei 5 titoli consecutivi apre un nuovo ciclo e torna per rivincere

    TORINO – L’unico problema di Massimiliano Allegri è il tempo: perché avrà a disposizione solo due settimane per lavorare in modo organico, con la rosa al completo. Cioè dalla seconda settimana di agosto (quando il gruppo sarà finalmente al completo) al 22 quando inizierà il campionato a Udine. Poi ci sarà partita casalinga contro l’Empoli e subito dopo la pausa per le nazionali, nemica giurata di ogni allenatore che vorrebbe pianificare tabelle di lavoro specifiche per consentire una maggiore cura del lavoro e che, invece, si ritova con tempistiche sempre più compresse e quello che, nelle scorse estati, era il “ritiro precampionato”, durante il quale spiegare il proprio calcio e, soprattutto, provarlo e riprovarlo, si riduce a due settimane. Due settimane intense «da usare molto bene», dice Allegri che in quel periodo deve costruire la sua nuova squadra, quella con cui sfidare se stesso e il ciclo dei cinque scudetti consecutivi. (…)

    La prima sfida di Allegri

    Fra i suoi pregi più apprezzati da Agnelli è il distacco con il quale riesce a gestire le pressioni esterne, quelle che possono essere un fardello notevole per qualsiasi allenatore della Juventus. Allegri è un pragmatico e un ottimista. Cerca sempre la soluzione più pratica ai problemi che affronta, senza rispondere a un dogma calcistico particolare, ma utilizzando i giocatori a sua disposizione nel modo più efficace possibile. Davanti a lui c’è una stagione insidiosa, quella che segue una grande manifestazione, nella quale molti suoi giocatori sono stati impegnati, uscendone in modo trionfale (gli italiani) o molto deludente (Ronaldo, Szczesny soprattutto, ma in fondo anche Morata). Gestire le fatiche psicofisiche dell’Europeo sarà la prima sfida di Allegri nella parte autunnale della stagione.

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    Superlega, Ceferin: “Juve, Real e Barcellona come i bambini”

    ROMA – Aleksander Ceferin promette battaglia contro Juventus, Real Madrid e Barcellona. Nonostante il procedimento contro i tre club che non hanno ancora ritirato l’adesione alla Superlega sia stato sospeso, il numero uno della Uefa è perentorio. “La giustizia a volte è lenta, ma arriva sempre, io non sono entrato nello specifico delle competenze della nostra Disciplinare, ma ovviamente l’input è quello di risolvere la questione con i tribunali. Per come la vedo io – ha dichiarato ai microfoni di Raisport – non e’ uno stop definitivo, prima chiariamo le faccende legali e poi andiamo avanti”. Parole dure nei confronti di Andrea Agnelli. “Se gli stringerò la mano? E’ una questione personale. Non vorrei replicare, ma credo che lui lo sappia”. Drastico anche il commento sulle parole di Platini, che si era schierato a favore della Superlega. “Sorpreso dalle sue parole? No, nulla mi sorprende ormai nel calcio. Il suo commento non merita il mio commento”.
    Ceferin: “Europei un messaggio di speranza”
    Il numero uno della Uefa boccia la nuova formula dell’Europeo, che coinvolgerà 11 paesi. “Non sono favorevole a questa formula e non credo che lo rifaremo presto”. Oggi sarà presente in tribuna allo stadio Olimpico per la gara inaugurale tra Italia e Turchia. “Siamo felici, questa manifestazione è un messaggio di speranza, è la luce in fondo al tunnel. Il calcio porta speranza alla gente e questo è importante per noi, non vediamo l’ora di cominciare ed è stato ovvio scegliere Roma”. LEGGI TUTTO

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    Juve-Arrivabene, il sì tre anni dopo: il retroscena

    Meglio tardi che mai. Maurizio Arrivabene poteva essere l’amministratore delegato della Juventus già da quasi tre anni, perché era lui che poteva sostituire Giuseppe Marotta, nell’ottobre del 2018, quando l’ex ad bianconero lasciò il club. Un’ipotesi tramontata abbastanza velocemente perché in quel momento Arrivabene era ancora il direttore della Scuderia Ferrari. Inoltre, Andrea Agnelli aveva pensato una riorganizzazione della società puntando sui giovani manager già presenti (Paratici per il calcio, Ricci per il commerciale e Re per la parte finanziaria) e quindi, anche quando Arrivabene aveva lasciato la Ferrari qualche mese dopo (nel gennaio del 2019), il suo ruolo in Juventus era rimasto quello di consigliere d’amministrazione.

    Arrivabene e Agnelli, amicizia di lunga data

    L’amicizia fra Arrivabene e Agnelli, d’altra parte, è di vecchia data, così come la fiducia di John Elkann nel manager bresciano, con un grande passione per il calcio e i colori bianconeri in particolare. Nei prossimi giorni verrà ufficializzato il passaggio al ruolo di amministratore delegato della sua squadra del cuore, insieme con la riorganizzazione del management che vedrà la promozione di Federico Cherubini nel ruolo prima occupato da Paratici. Se Arrivabene farà, dunque, il “Marotta”, a occuparsi delle questioni tecniche sarà il manager folignate, che già da due anni aveva affiancato Paratici in tutte le vicende di calciomercato e che in precedenza aveva coordinato il settore dei talent scout, dell’Under 23 e delle squadre giovanili. Cherubini, 50 anni compiuti a gennaio, costruirà la sua squadra con Giovanni Manna e Matteo Tognozzi, giovanissimi dirigenti con il fiuto per i talenti. In tutto questo peserà molto anche il giudizio di Massimiliano Allegri, che con Cherubini ha un’eccellente rapporto e che nel suo nuovo ruolo potrà incidere un po’ di più rispetto al passato Maurizio Arrivabene, 64 anni, prossimo ad bianconero anche nelle scelte di mercato. E attenzione anche all’ex portiere Marco Storari, che è già entrato nella dirigenza nella passata stagione (nel settore giovanile) e che potrebbe essere a sua volta promosso. C’era anche lui, ieri, a Forte dei Marmi (posto caro ad Andrea Agnelli che lì passa spesso i fine settimana estivi), dove c’era, in clima vacanziero, proprio Arrivabene. Si dice che nella località della Versilia si siano svolte molte riunioni nelle ultime settimane, con al centro la riorganizzazione societaria bianconera, alla quale Agnelli ha accennato proprio venerdì a margine della conferenza stampa di saluto a Paratici. Il giorno in cui ha promesso un’altra conferenza per spiegare e illustrare i cambiamenti a cui andrà incontro il club nella dodicesima stagione della sua gestione.

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    Juve, Van Persie, il blitz di Paratici e la cena: il retroscena

    TORINO – «L’unico rammarico, tra le tante trattative, è quel Van Persie con quella cena organizzata a casa mia in 3 minuti. Se penso a un rimpianto è sicuramente Robin, anche per la missione in avanscoperta che avevi fatto tu, Fabio (Paratici, ndr), qualche settimana prima». Andrea Agnelli dixit. È passato parecchio tempo, quasi 10 anni. Tuttavia probabilmente molti tifosi ricorderanno quella intensa primavera-estate del 2012. Il nome di Van Persie giunse come un fulmine (meglio, una scarica di adrenalina) a ciel serenissimo, cioè in un periodo in cui la Juventus alzava le proprie ambizioni e si apprestava a vincere lo scudetto con Antonio Conte. Le voci e le indiscrezioni legate al possibile acquisto del campione olandese suonavano come certificazione del nuovo status della Juventus quale ritrovata big con ambizioni internazionali.

    Van Persie, il tormentone dell’estate 2012

    Il tormentone ebbe inizio anche, soprattutto, su Tuttosport a partire da aprile. Galeotto fu il secondo di due blitz di Fabio Paratici, allora ds e braccio destro di Beppe Marotta, a Londra. Teoricamente partì per assistere ad una partita del Chelsea, ma praticamente per incontrare gli agenti Kees Vos e Alex Kroes e parlare del futuro di Van Persie, il cui contratto con l’Arsenal sarebbe scaduto di lì a un anno. E’ proprio questo il viaggio preparatorio cui fa riferimento il presidente Agnelli. Da quel momento l’affare prese quota e la trattativa divenne di dominio pubblico. Chi era più fiducioso e ottimista, chi invece scettico. Tutti, però, avevano capito che qualcosa bolliva in pentola.

    La Juve e quell’offerta per Van Persie

    Parallelamente alle indiscrezioni, infatti, giungeva la voce dei diretti interessati. Van Persie ammiccava pubblicamente all’ipotesi di un trasferimento in bianconero spingendosi di fatto al massimo di ciò che potesse fare, considerando che era ancora un giocatore dell’Arsenal. All’allora inviato di Tuttosport, Gianni Lovato, dopo una partita con la Nazionale, spiegò in esclusiva che «voglio vincere, la Juventus è una grande squadra». Mentre il tecnico-manager dell’Arsenal, Arsene Wenger, ammetteva di voler prolungare il contratto con l’attaccante, ma che «sarà lui a decidere». Nel frattempo i pezzi del puzzle, in ottica dei dirigenti bianconeri, parevano andare tutti al posto giusto: i risultati sul campo (aritmetica qualificazione in Champions, prima ancora che il trionfo tricolore) garantivano di conseguenza i soldi da investire per Van Persie: considerando l’imminente svincolo dell’olandese, la Juventus era convinta di potersela cavare mettendo sul piatto una offerta da 20, massimo 25 milioni di euro. Marotta e Paratici avevano già apparecchiato la trattativa e, per la verità. anche una bella tavolata (a casa Agnelli) cui lo stesso Van Persie si era accomodato per pranzare con la dirigenza dopo aver visto il centro d’allenamento.

    Sorpasso United

    Insomma, tutto sembrava pronto: lo stesso presidente Agnelli, come confermato proprio venerdì, aveva già messo in conto di poter inaugurare formalmente la nuova stagione con l’annuncio di un campione del livello dell’olandese. Ma a mandare il boccone di traverso giunse l’interferenza del Manchester United. Una turbolenza in grado di far vacillare persino le più squisite e sincere buone intenzioni dell’attaccante: una maxi offerta arrivata, per l’Arsenal, di 28 milioni di sterline (oltre 30 milioni di euro). Van Persie dimostrà comunque rispetto per la controparte e manifestò l’intenzione di mantenere la parola data e aspettare, prima di accettare il trasferimento allo United, che la Juventus decidesse eventualmente di pareggiare l’offerta. Proprio perché la parola data davanti ad un gustoso piatto di cucina italiana e un buon bicchiere di vino ha un che di… gustoso. Ma, ai tempi, la crescita di fatturato e potenziale economico del club che di lì a poco avrebbe scritto la storia del calcio (comprando Higuain, Ronaldo a cento milioni e giù di lì) era ancora in fase embrionale. A Ferragosto, il gavettone ghiacciato: l’annuncio dell’accordo tra United e Arsenal per il trasferimento di Robin Van Persie.

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    Juventus, perché Paratici lascia (e potrebbe tornare)

    TORINO – Commozione, risate e ricordi: undici anni di Juventus sono un grumo di emozioni che si blocca nella gola di Fabio Paratici, costretto un paio di volte a fermarsi per trattenere le lacrime, durante la sua conferenza stampa di addio. Prima il ringraziamento di Andrea Agnelli, che parte citando il bloc notes di Palazzo Parigi, ovvero la sede milanese della Juventus, quartier generale di Paratici in tempo di mercato. Ma sono tanti i riferimenti intimi fra i due, a dimostrare un rapporto che è andato oltre la questione strettamente professionale ed è sconfinato nell’amicizia umana. «Penso che alla Juventus sia arrivato un ragazzo e vada via un uomo, col grande pregio della curiosità. Un uomo istintivo, che segue il suo talento, ma anche responsabile», dice Andrea prima di abbracciare Paratici e consegnargli una targa che celebra i suoi anni in bianconero.

    Paratici come Allegri

    Il clima ha ricordato a tutti quello con cui Agnelli aveva salutato Massimiliano Allegri, che due anni dopo è di nuovo alla Juventus. Ci sarà un ritorno anche per Paratici? È possibile, forse addirittura probabile, ma non sarà a così breve scadenza. Paratici adesso è atteso da un avventura in Inghilterra, il Tottenham è la soluzione più calda in questo momento, e i cicli dirigenziali sono più lunghi. Ma il legame con Agnelli e, soprattutto, con il club resta fortissimo per il dirigente che più di una volta ha sottolineato come «passare alla Juventus è una grande fortuna per quello che si impara a livello di educazione, mentalità, determinazione, cultura del lavoro».

    Perché si è consumato il divorzio: il dubbio

    Resta il dubbio sul perché, di fronte a tanta commozione e amicizia, si sia consumato il divorzio. Agnelli dice: «A fine stagione abbiamo avuto una lunga chiacchierata nel mio ufficio: è stato naturale convenire che forse era il momento di chiudere e aprire un percorso diverso». Mancanza di stimoli? Forse un poco: stare alla Juventus e nella posizione di Paratici logora in modo sovrumano e Fabio, da un po’ di tempo, un po’ di stanchezza la sentiva, per quanto sempre soverchiata dalla smania di fare, decidere, non stare con le mani in mano. Contrasti interni? Pare di no, visti i saluti e la secca smentita di Agnelli che l’arrivo di Allegri abbia comportato in automatico l’addio a Paratici. Resta la vecchia filosofia del presidente: cambiare sempre prima di essere costretti a farlo. E la forza della Juventus, in questi undici anni, è sempre stata la capacità di cambiare: in campo e fuori. Poi non sempre si può azzeccare tutto, ma fra i motivi di un ciclo così mostruosamente lungo vanno cercati proprio nel cambiamento continuo.

    I perché della separazione

    Paratici, insomma, non sembra un dirigente mandato via perché «ha sbagliato qualcosa», come si legge da più parti, elaborando illazioni assortite su quale sia, la cosa. Ha certamente commesso degli errori, alcuni dei quali possono aver pesato nella decisione. Ma ridurre tutto a «se ne va perché ha sbagliato Sarri» è un po’ semplicistico e riduttivo. La Juventus cambia perché è convinta che solo così si può continuare a vincere, alimentando la macchina con altri stimoli, diverse motivazioni, nuove responsabilità. LEGGI TUTTO

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    Juve, imita il Chelsea: stop alla Superlega

    È accaduto soltanto quaranta giorni fa, ma è già storia del calcio. Ricordate? È la sera del 20 aprile scorso, a Stamford Bridge, una folla di tifosi del Chelsea grida «il calcio appartiene a noi non a voi», blocca il bus dei Blues impedendone l’accesso allo stadio. Soltanto l’intervento di Petr Cech, per undici anni portiere del Chelsea e ora suo dirigente, riesce a convincere i fan a togliere l’assedio. Di lì a poco, il club di Abramovich fa ufficialmente retromarcia, esce dalla neonata e già moribonda Superlega al pari degli altri cinque club inglesi cofondatori  e coaffossatori. Otto settimane più tardi, a Oporto, il Chelsea conquista la seconda Champions League della sua storia, fra il tripudio dei suoi fan, tre dei quali, da luglio, parteciperanno alle riunioni della dirigenza londinese. «Vogliamo fare il meglio per i nostri tifosi», assicura Cech.

    Ecco, forse è ancora lontano il giorno in cui immaginare tre tifosi della Juve nella stanza dei bottoni della Continassa insieme con Andrea Agnelli, John Elkann e lo staff bianconero. Ma, memori del precedente Chelsea, non è mai troppo tardi per la Juve perché arrivi il momento in cui molli il Real Madrid e il Barcellona al loro destino e si sganci dal carro che andrà a sbattere contro la stangata Uefa. I comunicati ufficiali che riflettono la strategia del muro contro muro, tanto a cara a Perez, hanno fatto il solletico a Ceferin. Tant’è vero che Evelina Christillin, signora del calcio italiano molto stimata  nel Palazzo del calcio mondiale dove il 21 aprile è stata confermata rappresentante Uefa in seno al consiglio Fifa, prima della finale di Oporto è stata chiara: «In questo momento ci sono due articoli, il 49 e 51 dello Statuto Uefa che sono stati disattesi. Ora o si trova un accordo oppure si andrà avanti. È competenza degli organi Uefa decidere la sanzione, poi ci sarà il ricorso al Tas e poi si potrebbe anche passare alla giustizia ordinaria. La situazione è tutta in divenire».

    Se è tutta in divenire, tutto può succedere ed è meglio che la Juve si sbrighi a fare la pace con l’Uefa. Ceferin dixit: «Bianconeri, Real e Barcellona? La nostra Disciplinare è indipendente, quindi non so niente, né quale sarà la portata della pena né quando sarà resa nota. La cosa che mi lascia basito è vedere che pubblicamente difendano la Superlega e poi vogliano giocare la Champions. È difficile capire che cosa vogliano davvero. Non ci può essere dialogo perché loro mandano solo lettere formali all’Uefa e agli altri nove club che sono usciti dal patto. Loro non comunicano, avrebbero dovuto chiamarci per un incontro». Il Chelsea è uscito dalla Superlega e ha vinto la Champions; la Juve rimane dentro la Superlega, ma vuole giocare nella prossima Champions che le frutterà almeno fra i 70 e gli 80 milioni, però rischia di esserne esclusa dall’Uefa. Non si può tenere il piede in due scarpe. La caduta può fare molto male. LEGGI TUTTO