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    Koulibaly: “A Napoli piangi due volte. Ancelotti mi trattenne in pigiama, con Sarri fuoco e acqua”

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    Ancelotti in pigiama

     

    «Il Napoli aveva ricevuto un’offerta del Manchester United da 100 milioni e l’aveva rifiutata. Ancelotti arriva e mi dice: “Sono venuto qui per vincere il campionato: tu cosa vuoi fare?”. E gli rispondo: “Io voglio andar via, perché?”. Mi dice di sapere dell’offerta, ma che non sarei partito altrimenti lui si sarebbe dimesso il giorno dopo. Pensavo che il mio tempo a Napoli fosse finito. Avevo dato tutto. Erano passati quattro anni, avrei potuto avere il contratto della mia vita. La sera mi chiama e mi dice: “Vieni nella mia stanza”. Arrivo, apre la porta e mi dice: “Ah, mon ami Kalidou!”. Parlava francese. Eravamo entrambi in pigiama. Rimasi scioccato: un grande allenatore come lui che mi riceveva così, in pigiama. Gli spiego che non fossi contento, che pensavo il presidente mi avesse mancato di rispetto per come mi aveva parlato. “Ma no, l’ha fatto così perché non vuole che tu parta, ha rifiutato 100 milioni” disse, ma non era un mio problema. Gli dissi ad Ancelotti che l’adoravo, ma che le valigie erano pronte e che il giorno dopo sarei partito. Avevo già prenotato il taxi per le 13. “Non ti preoccupare, domani si risolve tutto” insistette. Il giorno dopo, verso le 12.30 non mi vede a pranzo. Sente che sto per partire, mi chiama e mi dice. “Ho sistemato tutto, tu non parti, resti con me, rinnovi il contratto”. Io non volevo rinnovarlo. “Hai detto che mi apprezzi, che mi adori, no?”. Insomma, alla fine ho fatto la pace con il presidente, abbiamo parlato con rispetto. Non voleva farmi partire, nemmeno per 100 milioni».

    Le liti con Sarri

     

    «Sarri? Con lui “fuoco e acqua”. Litigavamo tutto il tempo. All’inizio io avevo 23-24 anni, non capivo cosa volesse. Ma aveva capito che doveva “confondermi” per farmi dare il massimo. Aveva sempre qualcosa da dire, anche quando facevo una grande partita. Non voglio svelare cosa mi dicesse, ma vi giuro che per un ragazzo giovane era scioccante. Più volte i miei compagni mi hanno dovuto trattenere. Pepe Reina mi tranquillizzava. Una volta, tornato dalla nazionale, mi disse: “Oggi sei tu o tuo fratello che gioca?”. Gli chiesi spiegazioni e lui mi disse che quando si va in Africa si fanno viaggi di sette ore e poi tornano a giocare i ‘fratelli’, che in pratica non eravamo noi. Gli dissi che avrebbe potuto mettermi in panchina, e invece mi fece giocare. Quando è partito, però, ho capito davvero quanto mi apprezzasse».

    Il rapporto con Napoli

     

    «Si dice che a Napoli piangi due volte: quando arrivi e quando riparti. Io la adoro, è come l’Africa ma in Europa: un ‘casino organizzato’. L’ho davvero amata — la gente, il mare, le persone che impazziscono per il calcio. La nonna di 90 anni che ti parla di calcio, il vicino di casa che nemmeno conoscevo e che mi bussa alla porta per dirmi: “Oh, la prossima partita bisogna fare meglio”. La gente vive di calcio e la vita è ‘top’. Ti danno tutto. Ho sentito tantissimo amore e rispetto. L’Italia è razzista, ma a Napoli no: anche i napoletani si sentono un po’ vessati, perché dicono che sono i ‘contadini’ del Paese. E poi si mangia benissimo: il primo anno sono ingrassato di tre-quattro chili».

    «Higuain, uno dei migliori»

     

    «Higuain è stato uno dei migliori attaccanti con cui ho giocato. Gli potevi dare la palla in mezzo al campo e avrebbe segnato da solo. Incredibile. Con Sarri è stato qualcosa di pazzesco. Non ho mai visto uno lavorare così tanto: dopo l’allenamento prendeva trenta palloni e di questi ventotto li metteva in porta. Prendeva il terzo portiere e andava avanti così: controllo e tiro, controllo e tiro, destro, sinistro, incredibile. Era fortissimo mentalmente. Uno dei migliori, davvero. Non ho mai capito perché il Real Madrid l’avesse lasciato andare». LEGGI TUTTO

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