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    Moratti, una grande famiglia e una passione unica per l’Inter

    Dopo Sandrino, conobbi e legai con altri ragazzi di Herrera, di Angelo Moratti, di Lady Erminia – come veniva chiamata da Nicolò Carosio nelle telecronache di Coppa dei Campioni la mamma di Adriana, Bedy, Gian Marco, Gioia, Massimo e Natalino. Nel tempo, avevo lavorato con Guarneri e Burgnich, arrivati a Bologna il primo come giocatore, l’altro come allenatore. Picchi l’avevo incontrato a Torino quand’era diventato allenatore della Juve e aveva smontato quell’aria da colonnello cubano che mostrava in nerazzurro. Jair me l’aveva presentato un giorno il suo scopritore, Gerardo Sannella, più tardi sbeffeggiato per aver portato alla Pistoiese Luis Silvio, il calciatorecameriere. Bellissimo l’incontro con Suarez, in tv e a cena, dove scoprii quant’era spiritoso, affabile, così diverso dal tuttagrinta di campo e di spogliatoio. E Corso? Facemmo amicizia a Chieti, quando veniva al Premio Prisco. Sembrava un duro, non amava le interviste, era sempre sul punto di andarsene stanco e annoiato – Brera l’aveva perfidamente definito “participio passato del verbo correre – invece lo conobbi allegro e disponibile, pieno di simpatici amarcord del ‘64: «Quel giorno all’Olimpico – continuavo a passare davanti alla nostra panchina e dicevo a Herrera “Mago, Capra non è un attaccante, non sostituisce Pascutti, rompe le balle a me”, ma lui non capiva…». A proposito, Gian Marco Moratti mi aveva ricordato – finalmente sorridente – che tutti gli anni, finito il campionato, Helenio andava in vacanza lasciando una lista dei desideri: il primo, cedere Corso ad ogni costo. «E a me che non dedicavo tempo all’Inter – ci pensava Massimo – era stato dato un incarico: rivelare ai cronisti che nessuno l’aveva mai chiesto».  

    Con Giacinto eravamo diventati amici davvero fin dal ‘66, dopo la Corea, quando lo incontrai per farmi confermare la sua firma sul dossier che Edmondo Fabbri aveva consegnato alla Federazione, un documento firmato da Bulgarelli, Mazzola e fra gli altri da Giacinto dove si diceva che un medico federale prima della partita gli aveva fatto un’iniezione di liquido rosa. Forse erano stati drogati. Ma quei fogli – consegnatimi da Fabbri nel convento di Camaldoli dove si era rifugiato – non servirono a nulla. Intanto, Giacinto mi rilasciava interviste, mi aveva preso in simpatia e quando ci ritrovammo ai Mondiali del ‘74, a Ludwigsburg, successe qualcosa che ci fece diventare amici. Avevo scritto, dopo la sconfitta della Nazionale a Stoccarda, che Bernardini avrebbe dovuto eliminare tutti i big litigiosi, da Mazzola a Rivera, da Chinaglia a Anastasi, tenendo però Facchetti, “il monumento azzurro”. Mi chiamò al telefono: «Perché darmi del monumento? Sono ancora in forma, corro, combatto…». Inutile dirgli che avevo voluto fargli un complimento. Più tardi fui fra i pochi che chetarono Bearzot quando Allodi gli impose di portare Facchetti in Argentina “capitano non giocatore”. L’ultima telefonata di Giacinto la ricevetti mentre ero al Mondiale del 2006, ancora in Germania. Lo sentii stanco, abbattuto, sapevo che stava male ma capii quanto dalle sue parole. Aveva sofferto il ruolo di presidente che gli aveva dato solo pensieri, non riusciva più a capire il nostro mondo dopo Calciopoli. Le sue parole mi strinsero il cuore. Se ne andò a settembre. Con la sua bellezza, signorilità, con la sua eroica tenerezza. 

    Arrivato a dirigere il Corriere dello Sport cominciai ad avere con Massimo Moratti un rapporto cordiale che non era mai nato a Stadio, al Carlino, al Guerin Sportivo. In particolare ci avvicinò il suo ruolo di presidente del Comitato per le Olimpiadi di Milano, idea naufragata nel nulla. Finché un editore-tifoso reggiano, Tiziano Pantaleoni, mi pregò di realizzare una storia della famiglia Moratti con l’Inter. Massimo accettò di buon grado, scrisse anche la prefazione dedicata al “nemico” tifoso del Bologna e assieme a Nicola Calzaretta realizzai un bellissimo “Moratti-Inter Album di famiglia” dal quale ricavo oggi, giorno della Seconda Stella, qualche momento della Grande Inter.  

    28 maggio 1955: è il grande giorno, quello che cambierà l’esistenza di una società di calcio, già ricca di gloria e di onori, e di una famiglia. Angelo Moratti, 46 anni, rileva la proprietà dell’Inter per una somma che si aggira intorno ai cento milioni. È lui il nuovo presidente nerazzurro, succede a Carlo Rinaldo Masseroni. È un sabato sera, Milano assiste al passaggio di consegne. Sospirato e atteso dal popolo interista. Un po’ meno dal commendator Moratti che fino alla fine aveva confidato in una soluzione diversa. Un accordo di gestione. C’era un fondo di verità nelle speranze di Moratti. Aveva da poco installato una raffineria in Sicilia. Sua volontà e, anche suo dovere, era quello di seguire da vicino l’avvio del nuovo impianto. Invece adesso c’era anche l’Inter… Ma al cuore non si comanda. E una bella fetta del suo cuore era occupato dall’amore per la moglie Erminia che amava il football, tifava per l’Ambrosiana che il marito nemmeno sapeva cosa fosse. Ricorda la figlia Adriana: «L’aveva scoperta, l’Ambrosiana, in una trasferta a Roma, mamma l’aveva portato a vedere la partita, lui si era sentito straniero ma coinvolto tanto che, quando nel Trentasei mamma stava per partorire Gian Marco, tre anni dopo di me, papà le diede una mossa: “Fa’ alla svelta che devo andare a vedere Ambrosiana-Sampierdarenese”. Aspettò la nascita e andò felice allo stadio per annunciare: “Mi è nato un maschio”. Il commendatore ormai da tempo seguiva le sorti dell’Inter. C’era anche lui in tribuna il 6 novembre 1949, quando i nerazzurri batterono il Milan per 6-5, dopo che i rossoneri si erano portati sul 4-1. Una delle partite emblematiche dell’Inter: una rimonta eccezionale per una squadra folle e fantastica. Da amare senza riserve. E quella partita in tribuna papà Angelo aveva portato con sé per la prima volta anche i suoi due ragazzi, Gian Marco, 13 anni, e Massimo che di anni ne aveva poco più di 4 e che ha ricordi confusi. Rivedo un’immagine fuggente e lontana. Davanti a me la gente scattò in piedi urlando, mio padre applaudì, mio fratello mi saltò addosso, abbracciandomi. Forse si stava festeggiando il sesto gol, quello decisivo».  

    Grande festa il 16 ottobre 1955 per il primo derby di Moratti presidente. Spalti gremiti e tribuna d’onore invasa dai flash dei fotografi che immortalano un sereno Angelo con un raggiante Gian Marco poco distante, mentre il piccolo Massimo appare un po’ sorpreso da tanta attenzione. Vince l’Inter quel primo derby. 2-1. Gol di Nesti, Nordahl e Lorenzi. Benito Lorenzi detto Veleno impressiona subito Massimo che lo ricorda così: «Veleno? No, non era cattivo, aveva un caratteraccio che in campo si sentiva. Se ne accorgevano anche gli arbitri. Era un buon soldato con tanta grinta e una totale dedizione alla bandiera nerazzurra, fu lui a tirar su Sandrino e Ferruccio Mazzola perché diventassero giocatori d ell’Inter».  

    Dopo il primo derby vittorioso a casa Moratti si fa festa, perché l’Inter è veramente un affare di famiglia. Coinvolge tutti, la passione non conosce limiti, né di età, né di sesso. La famiglia, un concetto che ritorna. Un modello che Moratti fa suo anche nel suo nuovo ruolo di presidente di una squadra di calcio. I giocatori come suoi figli. Ai quali vanno amore e rispetto, ma anche insegnamenti e disciplina. Oltre alla richiesta del massimo impegno e onore per la maglia che si indossa e per i tifosi che trepidano. Un meccanismo vincente, che lega ancora di più i giocatori tra di loro e con il loro presidente che diventa così parte attiva della squadra. La Beneamata. L’Inter è squadra che seduce, ma che può anche abbandonarti all’istante. Le prime stagioni sono travagliate. Nessuna vittoria, un tourbillon di allenatori che si alternano sulla panchina nerazzurra e qualche polemica di troppo. Angelo è pensieroso. Pensieri che arrivano anche a minare il suo entusiasmo e che lo inducono, per il senso di giustizia che governa le sue azioni, anche a proteste clamorose, come quando decide di schierare la formazione dei ragazzi contro la Juventus nel giugno 1961. La sconfitta è pesante (9-1) per una protesta che fa rumore e lascia il segno.  

    Un segno storico perché avvelena – forse per sempre – il Derby d’Italia e raffredda anche i rapporti fra le due famiglie, Agnelli e Moratti. Anche se Massimo parla di «rispetto reciproco e anche d’amicizia. Sempre rivali, però. Con Umberto, ch’era stato compagno di università di Gian Marco, diventato prima presidente della Federazione poi della Juve, abbiamo avuto scontri durissimi, ma veniva lo stesso a mangiare a casa nostra».  

    Già, Umberto Agnelli, come dire l’origine di una sfida calcistica senza fine e lui, il Dottore, non Gianni l’Avvocato, provocatore della Guerra dei Due Secoli. Che continua. Ma adesso – archiviate le battute spiritose di Peppino Prisco alle quali Boniperti rispondeva con un silenzio vittorioso – Massimo Moratti pensa ad altro, si gode l’Amarcord della Grande Inter e della prima Stella insieme al forte contributo dato per conquistare la seconda. E non abbandona la “sua” Inter, se non altro perché ha un ottimo rapporto con la famiglia Zhang, in particolare con Steven che gli fu affidato al suo arrivo a Milano. Dispensa consigli e pacche sulle spalle, pochi giorni fa si è fatto vedere in visita ad Appiano nel bel mezzo della crisi finanziaria dei cinesi. La spiegazione? Un giorno mi disse: «Perché la famiglia è stata sempre dietro l’Inter anche quando non c’era». Accompagnando altri presidenti alla conquista della Seconda Stella. «La Prima – racconta orgoglioso “Inter-calcio” – è nata alla fine del campionato 1965/1966 con il decimo scudetto. In campionato l’Inter si era confermata squadra solidissima e replicava il successo della stagione precedente, conquistando così il diritto di fregiarsi della stella dorata riservata ai vincitori di dieci scudetti. Alla fine del Girone di andata guidiamo la classifica, precedendo Milan, Napoli e Juventus. Vinciamo il campionato con una giornata di anticipo, a 50 punti, con ben settanta gol segnati». Si tratta del massimo assoluto, che può ben rispondere alle critiche di “gioco utilitaristico” del periodo. Già. Quando si parla di Catenaccio tutti pensano a Rocco e al suo Milan catenacciaro con quattro punte, ma Helenio Herrera non gli fu da meno. Come tanti anni dopo Mourinho.  

    I “giochisti” di oggi – fortunati che non c’è più Brera – sanno che con l’Inter, Beneamata o Pazza, non possono recitare poesie guardiolesche. Proprio con Angelo Moratti nasce e si concretizza la Grande Inter dei tre scudetti, delle due Coppe dei Campioni e delle due Coppe Intercontinentali. Durante la sua presidenza ebbe collaboratori importanti come Italo Allodi, Peppino Prisco, Franco Servello, Arrigo Gattai e Fortunato De Agazio. Altri tempi. Ma «una volta interisti, interisti per sempre».  LEGGI TUTTO

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    La cavalcata dell’Inter: un trionfo in cinque atti

    INTER-MILAN 5-1
    16 settembre: va in scena il primo derby stagionale, il quinto del 2023. Nei quattro precedenti l’Inter ha sempre avuto la meglio dei cugini (3-0 in Supercoppa Italiana il 18 gennaio a Riad, 1-0 in campionato il 5 febbraio, 2-0 il 10 maggio nell’andata della semifinale della Champions, 1-0 sei giorni più tardi nel ritorno). È la quarta giornata di campionato, entrambe le squadre arrivano a punteggio pieno, dopo una serie di vittorie convincenti. Si preannuncia così una stracittadina tirata, decisa dei dettagli, invece è un monologo nerazzurro, con Lautaro e compagni che rifilano uno schiaffo a mano aperta ai rossoneri, dominando una gara senza storia. Un sogno per gli interisti, un incubo per i milanisti. Apre Mkhitaryan, ancora in gol nel derby, raddoppia Thuram con un eurogol da vedere e rivedere. Leao accorcia, ma è solo un fuoco di paglia. Ancora l’armeno trova il 3-1, con Calhanoglu che su rigore che punisce i suoi ex tifosi e Frattesi chiude la festa allo scadere siglando un pokerissimo che per forza di cosa resterà nella storia.
    NAPOLI-INTER 0-3
    La detronizzazione degli ex campioni d’Italia arriva alla quattordicesima giornata, in programma il 3 dicembre. Con l’Inter che si impone a Napoli per 3-0. I nerazzurri, reduci dal pareggio di Torino contro la Juventus per 1-1, devono rispondere proprio ai bianconeri, capaci di imporsi per 2-1 a Monza nel recupero. Il Napoli è all’ultima chiamata per sperare di poter rientrare nel giro scudetto, in campo il match è più tirato di quanto si possa pensare, con la vera differenza che viene scalfita dal centrocampo nerazzurro e da Sommer. Calhanoglu, sul finire del primo tempo, porta infatti avanti gli ospiti con una staffilata dalla distanza. Nella ripresa arriva poi il raddoppio di Barella e il 3-0 di Thuram. L’Inter vola così a +11 sui campani, trovando anche il nono clean sheet stagionale in Serie A. Ottima la prova di Sommer, che mette definitivamente a tacere le discussioni sul suo conto.
    INTER-JUVENTUS 1-0
    L’Inter scappa via e si cuce mezzo scudetto sul petto il 4 febbraio, quando i nerazzurri battono in casa per 1-0 la Juventus, grazie a un’autorete di Gatti, allungando così sui rivali bianconeri. La prestazione dei ragazzi di Inzaghi, nonostante il successo di misura, è di quelle che non lasciano spazio a dubbi e interpretazioni. Con i padroni di casa che avrebbero potuto mettere a referto molte più reti, con Szczesny assoluto protagonista, nonché San Wojciech con due miracoli da far stropicciare gli occhi su Barella e Arnautovic. La classifica, aggiornata così alla quarta giornata di ritorno, vede l’allungo a +4 dei nerazzurri sui bianconeri, per un successo che sarà determinante non solo per rinfocolare l’entusiasmo interista verso la seconda stella, ma pure decisivo, in modo negativo, per la squadra di Allegri, superata minimamente nel punteggio e di gran lunga sul piano del gioco, che inizierà una spirale negativa che l’attanaglierà anche nelle partite successive. Con l’Inter che fugge via e vede sempre più vicino il Tricolore.
    ROMA-INTER 2-4
    Meno di una settimana dopo aver battuto la Juventus, alla ventiquattresima di A, l’Inter è di scena all’Olimpico di Roma. La gara, del 10 febbraio, vede i nerazzurri affrontare i giallorossi del nuovo corso De Rossi. Gli ospiti, che vogliono dare seguito al successo contro i bianconeri, partono forte, trovando con Acerbi, di testa, la rete del vantaggio. I padroni di casa però non demordono, anzi. E trovano prima l’1-1 con Mancini e poi con El Shaarawy, a pochi secondi dall’intervallo, il gol del 2-1. Potrebbe essere una mazzata, in realtà l’Inter – spronata dalla telefonata di Inzaghi (squalificato) nello spogliatoio rientra sul verde con ancora più voglia e convinzione del volere tornare a casa con i tre punti. E nella ripresa non c’è storia, con un parziale di 3-0 che spiega al meglio la superiorità nerazzurra e l’uragano interista che si abbatte sulla Capitale. Prima Thuram pareggia i conti, poi il francese provoca l’autorete di Angelino su un invitante cross di Dimarco, con Bastoni che infine, a tempo scaduto, fissa il risultato sul definitivo 4-2 per i nerazzurri. E pazienza se l’allenatore dovrà pagare una “dolcissima” sanzione.
    BOLOGNA INTER 0-1
    Nona giornata di ritorno, 10 marzo. L’Inter viaggia spedita verso lo scudetto e Inzaghi, nel match contro il Bologna, si affida a turnazioni ragionate, visto che tre giorni più tardi sarà in scena al Civitas Metropolitano di Madrid nel ritorno contro l’Atletico. Al Dall’Ara, con Lautaro in panchina per tutti i 90’, il gol partita viene siglato da Bisseck, con i nerazzurri che sfoderano una prestazione di qualità, ma soprattutto di grinta, cuore e abnegazione. Viene quindi esorcizzato con carattere e convinzione il trauma della stagione ’21-22: su quello stesso campo dove due stagioni prima era andato di fatto in frantumi il sogno scudetto, ecco che i nerazzurri sconfiggono una delle più belle realtà del calcio italiano, ipotecando il tricolore della seconda stella. LEGGI TUTTO

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    Cannavaro si presenta a Udine e sfida la Roma: rivivi la conferenza stampa

    14:35
    Gli impegni dell’Udinese da qui fino alla fine
    Dopo il recupero degli ultimi minuti contro la Roma, l’Udinese affronterà  Bologna, Napoli, Lecce, Empoli e Frosinone in quest’ordine.

    14:20
    Fine conferenza stampa e foto di rito
    Al termine della conferenza Cannavaro si è prestato per le classiche foto di rito.

    14:12
    Cannavaro: “Dobbiamo fare la corsa su noi stessi”
    “La Roma viene qui a giocarsi la partita per vincere in venti minuti. Noi dobbiamo fare la corsa su noi stessi, guardando gli altri rischi di bruciarti. Abbiamo tanto lavoro da fare e spero di vedere passione allo stadio”

    14:10
    Cannavaro: “Io sono affezionato al 4-3-3”
    “Io sono sempre stato affezionato al 4-3-3, poi ci sono situazioni in cui devi cambiare e leggere le situazione. Questa è una squadra che può fare più modul, in fase di possesso e di non possesso. “Le assenze sono importanti, io pretendo il massimo da tutti”.

    14:09
    Cannavaro: “Non possiamo aspettare gli scontri diretti”
    “Paradossalmente è più facile giocare contro squadre che giocano a calcio, senza dimenticarsi delle motivazioni, che devono essere triple contro Lecce, Empoli e Frosinone. Ma noi dobbiamo fare quello che ci interessa già dalla Roma, non aspettare gli scontri diretti”.

    14:05
    Cannavaro “Spero di aver preso un pezzettino da tutti gli allenatori che ho avuto in carriera”
    “Oggi vorrei parlare in maniera individuale con tutti, quando arrivi in un contesto nuovo con poco tempo per lavorare il fatto di poter comunicare è importante. Lippi e Capello erano dei fenomeni sotto il profilo della gestione avevano l’ambizione di vincere sempre. Io spero di aver preso un pezzettino da tutti gli allenatori che ho avuto in carriera. Oggi tutti pensiamo alla tecnica e alla tattica, ma questi sono ragazzi: a volte ci vuole la carota, altre il bastone. La gestione del gruppo è la cosa più complicata”

    14:02
    Cannavaro “Mi hanno scritto Di Natale, Quagliarella e Floro Flores”
    “Mi hanno scritto Di Natale, Quagliarella e Floro Flores. Tanti napoletani sono passati da qui, spero di lasciare lo stesso segno che hanno fatto loro. La squadra non l’ho mai vista dal vivo, poi io mi baso sugli allenamenti. Chiaro che Samardzic sia il giocatore da cui la gente si aspetta di più… Il tempo è poco, quindi dobbiamo concentrarci sulle cose più importanti, più che singolo dobbiamo parlare di collettivo. Per venire fuori da questa situazione non possiamo pensarla in modo individuale”

    13:58
    Cannavaro: “Partita contro il Napoli? ll calcio ti regala emozioni”
    “Match contro il Napoli e subito De Rossi? Il calcio è bello perchè ti regala emozioni, ti fa incontrare vecchi amici e il tuo passato. Ma la cosa più importante siamo noi. La squadra ha subito poco perché era spesso sotto la linea della palla, noi dobbiamo alzare il baricentro e cercare certezze in fase offensiva”.

    14:01
    Cannavaro: “Pinzi? Ho accettato senza problemi”
    “Pinzi? Ovunque sono andato ho chiesto collaboratori locali per accorciare i tempi di adattamento. Io ho accettato senza problemi”. Anche Balzaretti lo ha sottolineato: “Conosce l’ambiente e permette l’integrazione rapida nell’ambiente”.

    13:56
    Cannavaro: “Trent’anni in Serie A sono importanti”
    “I giocatori quando vengono qui vedono le maglie dei calciatori passati e trentanni in prima divisione sono importanti. Da calciatore quando venivo qui lo percepivo, la prima cosa da fare quando si entra in un nuovo club è capirne la storia”.

    13:54
    Cannavaro: “Serve alzare l’asticella dell’attenzione”
    “Serve alzare l’asticella dell’attenzione e della fame per portare il risultato a casa, quando non lo fai è soprattutto per un aspetto mentale. Oggi i giocatori sono super controllati e dobbiamo lavorare su quello”.

    13:51
    Cannavaro: “Dobbiamo fare di più qui tutti quanti”
    “La storia della squadra incide nella scelta, ma sono quelle cose che non ci pensi anche. Questa squadra ha avuto tanti problemi quest’anno, ma c’è anche tanta qualità che fa ben sperare. Questo non mi ha fatto pensare a niente e come ho detto ai giocatori, se aspettiamo partita per partita di gestire il risultato senza subire gol non ce la facciamo. Dobbiamo fare di più tutti quanti”.

    13:48
    Cannavaro: “Ho visto tanta paura nella squadra”
    Le prime parole di Cannavaro: “Grazie a dirigenti per le belle parole e alla società, ringrazio anche Cioffi che ho sentito ieri sera. Oltre alla tanta voglia ci sono le difficoltà. Ci sono tanti ragazzi che parlano lingue diverse, fondamentale è la comunicazione. Nel calcio c’è una lingua unica e nell’ultime partite ho visto un po’ di paura, e la paura fa brutti scherzi. L’aspetto psicologico è fondamentale, serve far tirare su la testa ai giocatori, fargli capire la storia del club e la tifoseria che gli sta dietro”.

    13:45
    Balzaretti: “Cannavaro scelta mirata”
    Anche il direttore sportivo Federico Balzaretti è intervenuto:”Cannavaro scelta mirata per quello che può rappresentare per i ragazzi. Conosceva la squadra e sa come e dove interventire. Sappiamo le qualità che ha livello di carisma ed esperienza, ma siamo convinti di quello che può portare in termini di idee e concetti. Nelle ultime cinque battaglie servirà compattezza, per i ragazzi e il mister, facciamo in modo che in casa ci sia il fuoco per salvarci tutti insieme”.

    13:40
    Collavino: “Cannavaro non ha bisogno di presentazioni”
    La conferenza si apre con le parole del dg Collavino: “Cannavaro non ha bisogno di presentazioni, l’abbiamo scelto per le sue capacità tecniche oltre che per la sua grande motivazione. Gli affidiamo la squadra in una situazione non semplice, ma non insuperabile. Permettetemi di ringraziare mister Cioffi con cui abbiamo condiviso un percorso tortuoso e in salita.”

    13:35
    La media punti di Cannavaro al Benevento
    Nell’ultima esperienza al Benevento. Cannavaro ha raccolto una media punti di 0,94 a partita, frutto di tre vittorie, sette pareggi e sette sconfitte.

    13:20
    L’ultima panchina di Cannavaro
    L’ultimo gettone in panchina di Cannavaro risale al 4 febbraio 2023 in Serie B: in quel caso era il tecnico del Benevento e perso 2-1 in casa contro il Venezia

    13:05
    Cannavaro, esordio giovedì contro la Roma
    Il nuovo tecnico dell’Udinese esordirà nel recupero del match contro la Roma, in cui si dovranno giocare i restanti venti minuti della gara dopo la sospensione dello scorso 14 aprile a causa del malore di N’Dicka.

    12:47
    Ufficializzato lo staff di Cannavaro
    Nel comunicato, l’Udinese ha reso noto anche il nuovo staff tecnico: “Mister Cannavaro sarà accompagnato da suo fratello Paolo come allenatore in seconda e da Francesco Troise come collaboratore tecnico. Inoltre, è con grandissimo piacere che la famiglia bianconera riaccoglie una leggenda dell’Udinese come Giampiero Pinzi”.

    12:40
    Cannavaro all’Udinese: il comunicato
    Questo il comunicato ufficiale del club: “È Fabio Cannavaro il nuovo allenatore bianconero. Udinese Calcio è lieta di accogliere il campione del mondo e Pallone d’Oro 2006 che guiderà la squadra fino al termine della stagione sportiva. Ha firmato un contratto fino al 30 giugno 2024. Non occorre richiamare le gesta sul campo di uno dei più grandi giocatori della storia del calcio italiano, Cannavaro è un giovane e preparato allenatore di statura internazionale che ha già avuto modo di provare le sue capacità anche all’estero. Il club ha individuato nella sua esperienza di campo e tecnica e nella sua leadership indiscussa la figura idonea a condurre la squadra all’obiettivo della salvezza”.

    12:33
    Cannavaro, il primo allenamento
    Cannavaro mette nel mirino la Roma. L’esordio il 25 aprile per la parte finale della gara contro i giallorossi. Ecco i primi scatti in allenamento: LEGGI TUTTO

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    Bologna, operai e ingegneri per Thiago Motta

    Bologna completo
    Per rendere l’idea della sua completezza, sfidando la noia del lettore, vale la pena descrivere prima il gol del 2-0 e poi quello, assai più sintetico, del 3-1. Un minuto e 33 secondi di palleggio, precisamente dal 43’11” al 44’44”, con 33 tocchi di fila, senza interruzioni romaniste. Dunque: rimessa laterale di Posch e poi, uno dietro l’altro, Beukema, Calafiori, Saelemaekers (numero da applausi su Celik, volato via), Freuler, Posch, Freuler (sempre smarcato), Saelemaekers, Posch, Beukema, El Azzouzi, Beukema, Calafiori, Beukema, El Azzouzi, Aebischer, Lucumi, Saelemaekers, Aebischer, Calafiori, Lucumi, Aebischer, Lucumi, Zirkzee, El Azzouzi, Posch, Zirkzee, Lucumi, Zirkzee, Aebischer, Saelemaekers, El Azzouzi (inserimento senza palla in area e assist di petto), Zirkzee (dribbling su Mancini), gol. All’appello mancavano soltanto Skorupski e Ndoye. Nemmeno il Barcellona di Xavi (in campo), Iniesta e Guardiola in panchina. Quindi il Bologna ama il possesso palla? Certo. Ma anche il contropiede, la ripartenza secca. Ecco il 3-1: palla persa da Dybala a metà campo su pressione di Freuler, agganciata da Lucumi, poi El Azzouzi, tocco a Zirkzee, assist immediato a Saelemaekers, pallonetto su Svilar, gol. Nove secondi in tutto, dal 64’14” al 64’23”. 
    Thiago Motta, l’allenatore azzecca-mosse
    Il Bologna ha battuto una Roma provata dalla fatica di giovedì scorso in Europa League, ma che non ha mai dato l’impressione di farsi schiacciare e ha avuto buone possibilità per segnare più di una rete. Ha vinto la squadra più vera, una cooperativa di operai con la laurea da ingegneri. Zirkzee ha segnato un gran gol, piazzato un assist da trequartista e rincorso di continuo, come un mediano, ora Paredes ora Mancini; Ndoye ha lavorato su tutta la fascia; El Azzouzi (pure lui, gol spettacolare in mezza rovesciata, stile Rummenigge, e assist di petto) ha marcato Pellegrini riducendone la brillantezza; Calafiori ha fatto il terzino sinistro, il mediano e l’ala. E le “uscite” di questa squadra sono da mostrare a Coverciano: sempre un uomo libero, e talvolta due, per ricevere palla, spesso è Lucumi, a volte Calafiori. Sono tutte idee di Thiago Motta, l’allenatore azzecca-mosse.  
    Contro Roma e Lazio
    Il Bologna ha preso 12 punti alle due romane, sei e sei, una vera par condicio. Ora è a soli due punti dal terzo posto della Juventus, gliene mancano sette, massimo otto, per la quasi certezza della Champions. De Rossi invece deve preoccuparsi dell’Atalanta, ma non può essere deluso del tutto dalla partita della Roma. Quando ha trovato le energie per alzare ritmo e intensità, ovvero a inizio ripresa, è andata per due volte vicina al gol prima di arrivarci con Azmoun. E anche nel primo tempo, per un paio di palloni persi dalla difesa rossoblu, avrebbe potuto segnare. Se nell’orchestra del Bologna non si è sentita l’assenza di Ferguson, nella Roma si è avvertita, eccome, quella di Lukaku. Per il grande finale De Rossi avrebbe bisogno della squadra al completo.  LEGGI TUTTO

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    Mazzola esclusivo: “Come brilla la mia Inter a due stelle”

    È il 15 maggio 1966, a San Siro c’è il sole e in campo dall’altra parte c’è la Lazio, penultima giornata di Serie A. L’Inter è campione d’Europa in carica e pure del mondo, perché a settembre aveva vinto la seconda Intercontinentale di fila. Sandro Mazzola ha ventiquattro anni, è già una leggenda: spinge il pallone del 2-0 in rete e alza le braccia al cielo in un’esultanza iconica fotografata in bianconero. Finisce 4-1, l’Inter è campione d’Italia per la decima volta e fa brillare la prima stella nel cielo di Milano.
    È il 22 aprile 2024, a San Siro c’è la luce dei riflettori e quella dei telefonini usati come tante piccole torce, in campo dall’altra parte c’è il Milan. Sandro Mazzola ha 82 anni e il suo mondo ha sempre due colori, quelli del cielo e della notte. Il derby più derby che c’è l’ha visto dal divano di casa. Sul tavolino una bottiglietta di Coca Cola e una copia di “Cuore nerazzurro. Una bandiera è per sempre”, l’autobiografia da poco in libreria. Sulla copertina c’è una stella che brilla in primo piano. «Ho i miei riti, ho invitato solo i miei figli, tutti devono vestirsi in un certo modo. Questa vigilia è stata lunga, continuavo a dirmi: non ci devo pensare. Potevo distrarmi per un paio d’ore, ma poi il pensiero tornava sempre alla partita decisiva, al ventesimo scudetto».
    Dal 1966 al 2024, cosa significa per l’Inter la seconda stella?«È qualcosa di fantastico, un grande traguardo per il club nerazzurro. Siamo stati i primi a portare la stella a Milano, siamo i primi a conquistare la seconda. Un momento storico».
    Che immagine ha di Inter-Lazio del 15 maggio 1966?«Un’emozione indescrivibile, che atmosfera a San Siro! Eravamo tutti impressionati, stavamo negli spogliatoi in silenzio, concentrati, ognuno seduto al proprio posto. Entrò il presidente Moratti e ci disse: “Ma cosa fate, non andate a giocare?”. Ma noi con la testa eravamo già in campo prima del fischio d’inizio».
    Emozionati? Ma se avevate già vinto tutto…«Vero. Ma a San Siro c’erano anche più di settantamila spettatori: i cori dei tifosi, il rumore degli spalti, l’atmosfera era qualcosa di impressionante. Avevamo già vinto tutto, direi che non eravamo male come squadra, no? E a inizio stagione avevamo rivinto la Coppa Intercontinentale, nella finale d’andata segnai una doppietta all’Independiente. Però noi avevamo un segreto».
    Quale?«La voglia di dimostrarci sempre superiori agli avversari, anche dopo tante vittorie. Ed era un qualcosa che partiva dagli allenamenti. Se c’era un compagno che non si impegnava o non era concentrato, beh eravamo tutti pronti a farlo rimettere in pista subito, non aspettavamo che fosse Herrera a dirgli qualcosa».
    Cosa c’è in comune tra la Grande Inter e la squadra della seconda stella?«La voglia di vincere, la voglia di prendere subito il controllo della partita. Può anche passare qualche minuto, sembra che l’Inter non attacchi e invece eccola: a quel punto non ce n’è più per nessuno».
    Pochi giorni fa è stato in visita ad Appiano Gentile, ha incontrato Inzaghi e la squadra. Cosa pensa di Simone?«Lo conoscevo già e l’ho sempre apprezzato come persona e come allenatore. E ora che è andata come speravamo, posso fargli i complimenti».
    Si può dire che la seconda stella è nata nella notte di Istanbul?«La squadra è cresciuta e dà la sensazione di poter decidere quando è il momento di vincere la partita. Corrono tutti, si aiutano, danno davvero la dimostrazione della forza del lavoro di squadra. È un’Inter troppo bella, sta giocando un calcio piacevole e lo ha fatto vedere anche a livello internazionale». LEGGI TUTTO

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    Scudetto Inter per Simone, l’Ernesto e il Moratti

    Sono felice per Simone Inzaghi, con quel modo tutto suo di fare l’allenatore. Non è un grande comunicatore, sa però parlare ai giocatori, li responsabilizza e tranquillizza, ed è la cosa che più conta.

    Il dominio stagionale è stato fin troppo evidente, frutto anche di assolute sorprese quali Thuram e Sommer. L’estate scorsa non immaginavo che potessero fare addirittura meglio di Lukaku e Dzeko, che metto insieme, e Onana. Ho il sospetto, fondato, che i due abbiano stupito, e non poco, anche chi li ha presi, Piero Ausilio, e chi ne ha avallato l’acquisto, Beppe Marotta.

    La squadra apprezza la lealtà, oltre alle idee, di Simone. Che ha una sola parola perché ha una sola convinzione.Stella o non stella, mai così Inter come quelle di Pellegrini e Moratti. Non ce l’ho con Steven Zhang, lui non ha colpe, ma almeno quelli i soldi li mettevano sul serio ed erano i loro soldi, miliardi di lire e poi milioni di euro. E genuina e potente e soprattutto antica era la passione che li muoveva.

    Ieri ho letto l’intervista di Franco Vanni all’Ernesto, del quale mi onoro di essere amico. Un paio di passaggi mi hanno colpito. Quando dice che «la notte sogno ancora i giorni dello scudetto. Al risveglio impiego qualche istante a realizzare che è successo davvero. Lo stesso succede con la coppa Uefa di trent’anni fa. Ed è incredibile come certe imprese uniscano gli uomini che le hanno compiute». Al punto che due mesi fa lo stesso Pellegrini organizzò un volo privato per consentire agli ex compagni di squadra di Andy Brehme, morto il 20 febbraio scorso, di andare a Monaco di Baviera a ricordarlo in presenza.

    «Zhang mi piace», questo l’altro momento segnalabile della chiacchierata con l’ex presidente. «Educato, rispettoso, eravamo seduti vicini a San Siro, poi lui ha smesso di venirci». Perché non lo stanno facendo uscire dalla Cina.

    Di Massimo Moratti credo di aver raccontato negli ultimi trent’anni tutto quello che sapevo: nell’autunno del ’94 mi rilasciò un’intervista esclusiva per questo giornale nella quale ipotizzò la sua Inter, a quel tempo non pensava di poterla acquistare. Qualche mese dopo, a febbraio, l’impresa gli riuscì. Ogni venerdì – lui scaramantico anche più del sottoscritto – lo raggiungevo in Saras ed erano racconti e battute e piccole provocazioni. Nel suo ufficio tutto sapeva di Inter, alle spalle di Moratti la foto di “Veleno” Lorenzi.

    Moratti resta il più grande presidente della storia interista, con il Triplete di Mourinho ha raggiunto e verosimilmente superato il padre Angelo.

    La seconda stella dell’Inter non sarebbe mai arrivata senza Pellegrini, Moratti e un calcio che per chi ha avuto la fortuna di viverlo resta ineguagliabile. Non sono mai stato un tipo nostalgico, vivo il presente e del passato non conservo nulla. Ma Pellegrini e Moratti non trasmettono il veleno della nostalgia, solo la speranza o l’illusione di qualcosa di più vero e autentico. Più di calcio.  LEGGI TUTTO

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    Diretta Lazio-Juventus: dove vederla in tv, in streaming e probabili formazioni

    Segui la diretta di Lazio-Juventus su Tuttosport.com
    Dove vedere Lazio-Juventus: diretta tv e streaming
    Il match tra Lazio e Juventus è in programma alle 21 allo stadio Olimpico di Roma. Sarà possibile seguire la sfida in diretta tv su Canale 5. La partita sarà inoltre disponibile in streaming sulla rispettiva applicazione Mediaset Infinity.
    Lazio-Juventus, le probabili formazioni
    LAZIO (3-4-2-1): Mandas; Patric, Romagnoli, Gila; Hysaj, Cataldi, Guendouzi, Marusic; Felipe Anderson, Luis Alberto; Castellanos. Allenatore: Igor Tudor.A disposizione: Sepe, Renzetti, Casale, Pellegrini, Lazzari, Kamada, Vecino, Rovella, Coulibaly, Gonzalez, Pedro, Isaksen, Immobile.
    Indisponibili: Provedel, Zaccagni.Squalificati: nessuno. Diffidati: Castellanos, Guendouzi.
    JUVENTUS (3-5-2): Perin; Danilo, Bremer, Alex Sandro; Cambiaso, McKennie, Locatelli, Rabiot, Kostic; Chiesa, Vlahovic. Allenatore: Massimiliano Allegri.A disposizione: Szczesny, Pinsoglio, Rugani, Djalò, Alcaraz, Miretti, Weah, Nicolussi Caviglia, Yildiz, Iling Junior, Milik.
    Indisponibili: De Sciglio, Kean.Squalificati: Gatti.Diffidati: Kostic, Locatelli, Weah.
    ARBITRO: Orsato di Schio. ASSISTENTI: Carbone-Pierozzi. QUARTO UFFICIALE: Marcenaro. VAR: Di Paolo. AVAR: Irrati.
    Lazio-Juventus: scopri tutte le quote LEGGI TUTTO

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    Scudetto Inter, festa e rissa nel derby: Acerbi e Thuram affondano il Milan

    Milan-Inter: diretta tv e streaming

    Milan-Inter, posticipo della 33ª giornata del campionato di Serie A, è in programma alle ore 20.45 allo stadio Giuseppe Meazza di Milano e sarà visibile in esclusiva in diretta su DAZN e Sky Zona Dazn (214). 

    MILAN (4-2-3-1): Maignan; Calabria, Gabbia, Tomori, T. Hernandez; Adli, Reijnders; Pulisic, Loftus-Cheek, Musah; Leao. Allenatore: Pioli. 

    A disposizione: Sportiello, Nava, Florenzi, Terracciano, Bennacer, Pobega, Giroud, Chukwueze, Okafor, Jovic. 

    INTER (3-5-2): Sommer; Pavard, Acerbi, Bastoni; Darmian, Barella, Calhanoglu, Mkhitaryan, Dimarco; Thuram, Martinez. Allenatore: Inzaghi. 

    A disposizione: Audero, Di Gennaro, De Vrij, Bisseck, Dumfries, Carlos Augusto, Buchanan, Asllani, Frattesi, Klaassen, Sanchez, Arnautovic. 

    ARBITRO: Colombo di Como. ASSISTENTI: Meli-Alassio. IV UFFICIALE: Massa. VAR: Marini. ASS. VAR: Mariani. 

    Milan-Inter: scopri tutte le quote

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