Totti e l’amore eterno nei confronti della Roma
“Ho iniziato alla Lodigiani: in casa si tifava Roma, solo nonna e nonno erano un po’ della Lazio. Io giocavo a moscacieca, non sentivo la pressione del mio talento. Mio padre in 25 anni di carriera non mi ha mai detto bravo ma vedevo che i miei genitori erano fieri di me. Quando avevo 12 anni venne Braida a casa della mia famiglia e offrì 160 milioni di lire per portarmi al Milan. Mia mamma mi voleva proteggere e voleva che restassi a Roma, per cui non si fece nulla. Giannini? Lo vedevo come un dio, non pensavo mai di poterci giocare insieme. Quando ho avuto la fascia da capitano ho cambito mentalità. Mazzone? Un mio secondo papà. È riuscito a capire quando potevo o non potevo giocare. Nel 2004 invece fui vicinissimo al Real Madrid. È mancata solo la firma, ma sono stato io a non metterla: è prevalso il cuore e l’amore per la gente di Roma”. Così Francesco Totti racconta all’ex compagno di club e di Nazionale Luca Toni il suo vissuto giallorosso, durato tutta una carriera. “Più avanti potevo andare in MLS negli Stati Uniti, mi chiamò anche Mihajlović per andare al Torino. Ma non avrei mai potuto accettare e non mi sono pentito. La mia scelta è sempre stata Roma o Roma, da subito ho pensato: qua sono nato e qua muoio. Sarà difficile trovare un altro personaggio che farà quello che ho fatto io con la mia gente e la mia maglia. I miei record con la Roma? Qualcuno potrà battere quelli in campo, spero per la Roma che succeda. Superare il mio affetto e il legame con la gente è impossibile: nessun Messi o Ronaldo potrà mai amare così. Non sono mai stato più grande della Roma: ci siamo portati in alto a vicenda”.
Lo scudetto? Un sogno più grande del Mondiale
“Non ho vinto uno scudetto, ho vinto lo Scudetto con la mia maglia, perché la maglia della Roma è disegnata su di me. Viverlo da capitano, simbolo della Roma e romanista, è stato indescrivibile. Quella settimana fu di totale silenzio dopo il pareggio con il Napoli, a rischio Serie B. Era destino che lo vincessimo all’Olimpico davanti alla nostra gente. Partimmo con la contestazione per Roma-Bologna e poi rimanemmo primi in classifica per tutta la stagione. Batitusta? Pensavo non potesse mai arrivare da simbolo della Fiorentina e invece Sensi quell’anno riusciva a comprare tutti. La sera prima del Parma? Eravamo in ritiro e alle 9 del mattino mio fratello e i miei amici mi mandarono un messaggio che mi aspettavano già lì allo stadio. Capello? Aveva paura che sospendessero il match per l’invasione dei tifosi e ci dessero sconfitta 3-0 a tavolino. C’erano feste scudetto per mesi, in ogni luogo della città e noi giocatori non potevamo muoverci perché come si spargeva la voce della nostra posizioni, accorrevano tutti. Un milione? Erano due milioni al Circo Massimo, era impressionante, non si vedeva la fine dei tifosi. Speravo che ce ne potessero essere altri di scudetti: l’anno dopo e nel 2010 abbiamo buttato due occasioni. Vincere Mondiale e scudetto sono due sogni che ogni giocatore vuole realizzare: per me il primo era lo scudetto con la Roma. Qualcuno dirà che sono pazzo, ma lo metto un gradino sopra. Il segreto del mio cucchiaio? Semifinale contro l’Olanda agli Europei del 2000: due gironi prima provammo i rigori in allenamento e scherzando con Di Biagio e Maldini dissi ‘se famo i rigori je faccio er cucchiaio’. E da lì è partito tutto. Camminando verso Van der Sar dissi a Maldini ‘mo je lo faccio’. Lui me rispose ‘sei matto’. Se avessi sbagliato tutta l’Italia mi avrebbe ucciso e invece nonostante avevo un muro arancione gigantesco, non sbagliai. Sono stato fortunato, sono quelle cose istintive che si fanno quando sei giovane e non hai pensieri. I miei gol più belli? Contro l’nter a San Siro, contro la Samp a Genova e al derby contro la Lazio, il 5-1 a Peruzzi. Lo scudetto perso nel 2010 e quel match contro la Samp? In quei sei mesi abbiamo vissuto un sogno, eravamo 16 punti sotto l’Inter e ci chiamavano sempre eterni secondi. Venne Ranieri e non perdemmo più una partita. Facesti tu un gol (Luca Toni, ndr) e uno Daniele (De Rossi, ndr). Mancavano solo 4 partite di campionato, quel match finì al primo tempo 1-0 per noi: Storari pareva avesse sette guanti, nemmeno alla playstation hai tutte quelle occasioni per fare gol. Nell’intervallo Perrotta e Vucinic ebbero una discussione e da lì si ribaltò tuto. Entrò Pazzini e fece due gol ma noi non riusciummo più a giocare. Le vincemmo tutte ma fu una batosta con l’Inter che vinse. Avevamo un gruppo spettacolare, mai visto uno così nemmeno per lo Scudetto. Ranieri da quando è arrivato alla Roma non l’ho più sentito, ma non c’è stata alcuna discussionetra noi. Sono contento della carriera che ha e sono sicuro che riesce a far capire cosa vuol dire la Roma e la romanità, l’importanza di questa maglia”.
Il rigore contro l’Australia ai Mondiali 2006
“Il mio sguardo nel Mondiale 2006? Nel match contro l’Australia, quando l’arbitro ha fischiato il rigore, si sono aperti tutti. Eppure c’er agente come Gattuso e Pirlo. Ho preso il pallone e mi sono incamminato. ‘Mo je lo faccio il cucchiaio’, parlavo tra me e me. Arrivo là, dopo 40 metri e vedo la porta piccola, il portiere grande. ‘No, no stavolta non lo faccio’, ho pensato. Per me era il primo gol dal rientro dall’infortunio. ‘Fammi calciare come sempre: interno forte, al massimo sbaglio così’. Poi hanno catturato “questo mio sguardo maledetto”. Ero concentrato, ero sicuro. Volevo mettere la mia firma nel Mondiale, era da dentro o fuori: se non avessi segnato sarebbe stato tutto difficile. Quello è stato il rigore più pesante che ho segnato.”
Lo sputo a Poulsen e il calcio a Balotelli
“Ancora oggi non mi rendo conto di aver sputato contro Poulsen. Rivedo l’immagine e dico è impossibile che sono stato io. So scemo? Sì. Cosa mi è scattato? Mi massacrava, mi dava fastidio, mi dava i pizzichi. Poi ho sbroccato, forse è il caldo che mi ha dato alla testa. Me ne vergogno, è un gesto brutto che da calciatore non avrei accettato di subire, perché lo sputo è indegno. Che mi ha detto lui? Non lo capivo, mi parlava in inglese. Il calcio a Balotelli? Non mi sono pentito, lo sa anche lui. Era una cosa che covavo da tempo. Ogni volta che giocavo contro lui era giovane ed era un fenomeno, ma era anche arrogante e presuntuoso. Il mio obiettivo quel giorno non era pareggiare la partita, pensavo solo che se mi fosse capitato avrei colto l’occasione per mandarlo in curva. Poi l’ho sentito e gli ho chiesto scusa, mi dispiace e l’abbiamo buttata sul ridere. Gli ha detto bene che non l’ho preso. Il pugno a Colonnese? La prima volta che ho dato un pugno a qualcuno. Mi ha gonfiato di botte e mi ha detto che Cristian non era mio figlio e lì non ci ho più visto. Menomale che era un mio amico”.
L’infortunio nel 2006
“In quel momento era davvero il top, percepivo la differenza tra me e gli altri giocatori. Rivedendo alcune immagini, ora sembrano ancora più belle, in quel momento ero tra i migliori al mondo, non è da me dirlo ma ora che mi rivedo facevo cose impensabili. Nel calcio capita, non credevo che avrei potuto partecipare al Mondiale. Era veramente brutto, interessava perone e legamenti della caviglia. La sera stessa di quel 19 febbraio mi operò il professor Mariani e mi disse che avrei potuto fare questa cavalcata recuperando in 3-4 mesi. Al momento dell’infortunio non sentivo nessun dolore. Dovevo sorreggermi la caviglia o mi sembrava cadesse. Non ho pensato subito al Mondiale, ma alla domenica successiva: c’era il derby. Il difensore dell’Empoli Vanigli non voleva farmi male, ma in 6 minuti mi ha fatto una cose come 7-8 falli. Mi ha chiamato dopo 2/3 giorni dall’infortunio. Lippi mi venne a trovare la mattina dopo l’operazione in ospedale, mi disse ‘fai come ti pare ma al Mondiale devi venire’. Mi scattò qualcosa nella testa, lui veniva ogni due/tre settimane a Trigoria a vedere come stavo. Mi allenavo per 8/9 ore al giorno, è stato pesante però il Mister è quello che mi ha dato la carica in più”.
Il rapporto con Spalletti
“Giocavo poco, man mano poi scendeva di minutaggio. Avevamo litigato? Diciamo che avevamo discusso fortemente. Spalletti secondo me nel 2016 arrivò alla Roma per farmi smettere, assecondato dalla società. Io lo so, poi un giorno glielo chiederò personalmente. Con lui ogni volta c’erano problemi, e strillava sempre contro di me. Spalletti che conoscevo io, era l’opposto. Lo percepivo che non era lui, non era lo stesso nei miei confronti era uno Spalletti opposto rispetto a quello del 2005, ero in secondo piano e venivo anche da un infortunio alla coscia. C’era attrito, lo percepivo. Lui forse è convinto che io e De Rossi lo abbia fatto allontanare prendendo al suo posto Ranieri, ma non è vero: la dirigenza convocò me e altri giocatori per chiederci chi volessimo tra Mancini, Ranieri e altri. Dicemmo che Mancini sarebbe stato l’ideale per noi, come squadra. Sul mio addio, fu la società a dirmi che dovevo smettere: un giorno vennero a casa a dirmi che avrei giocato l’ultimo derby a tre partite dalla fine della stagione. Mi avevano detto che avrei dovuto scegliere io se smettere o meno a inizio stagione. Mi hanno dato fastidio i modi e i tempi. Io non sono stupido, sapevo che prima o poi avrei dovuto smettere ma mi sentivo ancora bene di gambe e di testa. Avrei potuto giocare ancora: avrei fatto bene ai giovani, allo spogliatoio, al gruppo, all’allenatore.. Se ci fosse stato un altro in panchina non avrei smesso. Forse in quell’occasione mi ha deluso più la Roma rispetto a Spalletti, secondo me davo fastidio purtroppo. Avevo detto che avrei giocato pure gratis, per la Roma avrei dato tutto”.
Il sofferto e difficile addio al calcio
“Quando ho smesso di giocare potevo andare all’esterno in America in MLS, lì per lì. Mihajlović mi chiamò l’anno dopo per andare al Torino in Serie A. Fondamentalmente non mi andava e non volevo rovinare tutto. Non mi sono pentito. La mia scelta era Roma o Roma. Mi sentivo senza terra sotto i piedi. Noi siamo schematici, facciamo per tanti anni sempre le stesse cose, tutti i giorni. E io mi sono trovato in difficoltà, spaesato. Non sapevo cosa fare, cosa pensare, come organizzarmi, cosa aspettarmi. Per tre settimane ho pianto tutti i giorni. Ero spaventato, sentivo un’atmosfera paurosa. Rileggevo in bagno la lettera di addio e piangevo, pensavo a come erano volati quei 25 anni. Ero convinto che avrei fatto una partita di addio, ma dopo le emozioni di quel giorno all’Olimpico ho capito che non ci sarebbe potuto essere un altro addio al calcio e alla Roma. Quel giorno per me è stato come un distaccamento tra madre e figlio. Ero freddo, mi ero chiuso in me stesso. Nascondo bene le mie emozioni, me le tengo per me ma non so se è un bene o un male”.
La nuova Roma di Gasperini
“Mi piace, è prima in classifica ma non sta giocando alla Gasperini perché all’Atalanta era totalmente diverso. Se questo però è il risultato, ben venga. Se gli sarebbe piaciuto un Totti? Mi hanno detto che con lui si corre tanto e si lavora molto, adesso non ce la farei. Penso che mi sarei trovato ebne anche con lui”.
La verità sull’audio virale per i tre rigori sbagliati con Dovbyk e Soulé
“Ho mandato questo vocale a un mio amico che ha 58 anni e fa l’avvocato. Non è un ragazzino, non pensavo lo facesse girare. Abbiamo un grandissimo rapporto ma ha inoltrato il mio audio in una chat con 7/8 persone e da lì è partito tutto. Ho detto la verità: mi dicevano sempre che era facile segnarli, ma li devi sempre tirare. Sì, l’ho insultato dopo. Gli ho detto manda pure questo(ridono, ndr). Però non si possono sbagliare tre rigori, poi tutti attaccati, nemmeno alla playstation si sbagliano. Non era facile nemmeno sbagliarli così”. LEGGI TUTTO